
«Prima delle Olimpiadi di Parigi nessuno conosceva Cole Hocker. Ora in tanti conoscono Cole Hocker, e Cole Hocker piace, e tutti vogliono vederlo gareggiare. È bello che ci sia una format grazie al quale lui possa competere più spesso e mostrare di cosa è capace».
In questo spezzone di una lunga intervista rilasciata qualche settimana fa da Michael Johnson a Citius Mag è racchiusa l’essenza di Grand Slam Track, la neonata lega professionistica di atletica leggera di cui il quattro volte campione olimpico è ideatore e principale volto mediatico. Dopo dieci mesi di attesa frenetica accompagnata dall’incessante lavorio dei social media manager sui canali di comunicazione ufficiali, nel weekend del 4-6 aprile 2025 il primo meeting di Grand Slam Track si è finalmente tenuto a Kingston, Giamaica, in attesa delle tappe americane di Miami all'inizio maggio - per finire con due tappe tra l’inizio e la fine di giugno, rispettivamente a Philadelphia (30 maggio - 1 giugno) e Los Angeles (27-29 giugno).
Spiegare Grand Slam Track in poche parole non è apparentemente complesso: è una superlega circoscritta agli sprinter, ostacolisti e mezzofondisti più veloci in circolazione, invitati a partecipare dall’organizzazione (capitanata da Johnson stesso in veste di commissioner) in virtù dei loro meriti sportivi e del loro appeal mediatico - l’adagio che accoglie i visitatori sul sito web ufficiale della competizione è: "Only the fastest". Le discipline del field in blocco (i concorsi, lanci e salti), le prove multiple (eptathlon e deacathlon), e le distanze del mezzofondo lungo (10,000 metri piani e ovviamente le prove in strada) sono escluse dalla programmazione della lega per senziente volontà dell’organizzazione.
Fermarsi alla definizione letterale di Grand Slam Track, però, non restituisce completamente l’importanza sportiva - e per certi versi anche sociale e culturale - di questo esperimento potenzialmente trasformativo dell’intera esperienza del track and field come sport praticato e partecipato dal pubblico. Dopo anni di dibattiti e discussioni sullo stato dell’atletica, della sua attuale forma e delle narrazioni attorno ad essa, Michael Johnson ha deciso di piazzare una doppia scommessa sul suo sport, mettendone completamente in discussione le strutture correnti. Da un lato ci sono gli atleti: se trattati da professionisti - e quindi messi nelle condizioni di gareggiare per il giusto compenso economico e sotto i giusti riflettori mediatici - le superstar più importanti dell’atletica sarebbero pronte a scendere dal proprio piedistallo per sfidarsi testa a testa contro i propri rivali con continuità durante tutto l’anno. Dall’altro ci sono gli spettatori: l’atletica avrebbe più attenzione se fosse resa più facilmente fruibile in una confezione mediatica più accessibile e un formato più vicino ai linguaggi mainstream di altri sport.
Nell’autunno del 2023 Johnson comincia i lavori per tradurre questa visione in una proposta per gli investitori. Ottenuto un finanziamento complessivo di circa 30 milioni di dollari, c’è finalmente lo spazio di manovra per costruire una creatura mai vista nel panorama dell’atletica. Grand Slam Track prende il meglio di ciò che esiste già - la struttura di base della Diamond League di World Athletics e il sistema a punti - lo puntella con alcune novità, come un vantaggioso sistema di retribuzione per gli atleti, l’introduzione di obblighi contrattuali che prevedono la partecipazione fissa delle superstar a tutti e quattro i meeting del circuito durante il corso dell’anno, nonché la partecipazione da parte di ogni atleta ad almeno due gare su due specialità diverse nell’arco di ogni weekend.
In breve, le discipline della pista sono divise in sei macro categorie: sprint brevi (100m e 200m piani), sprint lunghi (200m e 400m piani), ostacoli brevi (110m ostacoli e 100m piani), ostacoli lunghi (400m ostacoli e 400m piani), distanze brevi (800m e 1500m), distanze lunghe (3,000m e 5,000m piani). In ognuna di queste macro-categorie compete un numero fisso di quattro racers - le superstar più blasonate, scelte secondo criteri come i meriti sportivi, la larghezza della fandom e le rivalità con altri racers - e quattro challengers - atleti élite di livello mondiale, che invece possono ruotare tra meeting. Racers e Challengers devono obbligatoriamente sfidarsi su entrambe le discipline previste dalla propria categoria di riferimento.
Un esempio pratico: il campione olimpico e specialista dei 1,500 metri piani Cole Hocker e il campione olimpico e specialista degli 800 metri Emmanuel Wanyonyi sono all’interno dello stesso gruppo di discipline (distanze brevi) e nello stesso weekend di gare entrambi corrono sia la propria specialità che la specialità del diretto avversario. I piazzamenti finali in entrambe le prove daranno un punteggio e la somma dei punteggi delle due gare formerà la classifica che determinerà il vincitore dello slam nella propria macro-categoria di riferimento. Oltre a una base fissa, a ogni atleta, indipendentemente dal piazzamento tra il primo e l’ottavo posto, è corrisposto un premio in denaro in un range che varia tra i centomila e i diecimila dollari - su un cachet complessivo di oltre dodici milioni di dollari.
La risposta da parte delle superstar dell’atletica è stata unanimemente positiva: alla prima, magniloquente firma di Sydney McLaughlin (campionessa olimpica e detentrice del record mondiale sui 400 metri a ostacoli) sono seguite a cascata le adesioni di campioni, medagliati e finalisti olimpici, campioni mondiali e detentori di record mondiali, e il field di 96 tra atlete e atleti si è riempito alla svelta - tra gli altri Cole Hocker, Fred Kerley, Yared Nuguse, Gabby Thomas, Marco Arop, Masai Russell, Josh Hocker, Marileidy Paulino, Alison Dos Santos, Chris Bailey, Kenny Bednarek.
Nessuno si nasconde dietro un dito: i soldi fanno gola a tutti. Il piatto ricco di centomila dollari per il vincitore di ogni categoria è un montepremi mai visto nella storia dell’atletica. Chiedere a un atleta blasonatissimo come Fred Kerley. Alla classica domanda sul «perché hai firmato così in fretta?» la risposta è stata: «Per essere pagato» - frase che scandisce con un sorriso a trentasei denti sul suo volto affilato da velociraptor. La comunicazione di Grand Slam Track non fa nulla per nascondere questo aspetto del trattamento economico degli atleti, anzi. Al di là delle questioni di buon gusto nello sbandierare i guadagni con eloquenti passaggi di assegni, nel programma ideologico di Michael Johnson c’è la precisa volontà di imprimere nel pubblico il concetto che grandi professionisti meritino grandi guadagni - che devono essere garantiti, oltre che dagli sponsor, dalle leghe per cui essi competono.
Completato con successo il reclutamento di un roster di livello stellare, la prima tappa di Kingston ha segnato per Grand Slam Track il passaggio alla seconda e delicata fase della propria esistenza: il confronto con il pubblico. Il formato proposto dal circuito rappresenta un potenziale uragano per l’atletica per come la conosciamo oggi. L’insieme delle decisioni drastiche tra cui l’eliminazione dei concorsi e l’obbligo contrattuale per gli atleti di gareggiare in discipline esterne alla propria comfort zone seguono un disegno preciso: creare un format digeribile per il pubblico, e televisivo by design.
Con un palinsesto più asciutto, una finestra di trasmissione di massimo due ore per ognuna delle tre serate, e senza che più eventi all’interno dello stesso meeting vadano in sovrapposizione, Grand Slam Track è un prodotto di intrattenimento studiato per canalizzare il focus completo dell’audience sul momento topico della competizione. È un’atletica semplificata e per certi versi primordiale nella sostanza: estremamente curata e imbellettata, invece, nella presentazione - guardare alle grafiche che accompagnano le presentazioni degli atleti, che si rifanno a quanto si vede da anni nella NBA o nella NFL. Questo format estremamente lineare è la differenza più lampante con i classici meeting, cui l’attenzione del pubblico è portata a spasso dalla regia tra la pista e le pedane durante le gare in contemporanea, obbligando il commento tecnico a salti in rapida successione tra discipline - un approccio straniante per uno spettatore alle prime armi.
Non è un caso che all’indomani della prima tappa il dibattito tra gli spettatori abbia visto una cesura tra chi ha trovato il programma intrattenente e chi lo ha trovato troppo lento. I più accaniti fan dell’atletica, abituati al ritmo serrato dei meeting canonici, hanno in molti casi trovato i tempi morti tra una gara e l’altra (fino a mezz’ora di tempo) noiosi. Da un punto di vista televisivo, però, è una scelta fatta con la logica di ammiccare ai pubblici nuovi. Le otto gare sono ovviamente il centro nevralgico della serata ma allo stesso tempo sono anche pensate per essere parte di uno show stratificato. Gli spazi tra le gare sono riempiti, oltre che da spazi pubblicitari non invadenti, di contenuti di vario tipo, dalle interviste ad approfondimenti completi. La trasmissione televisiva è poi integrata dal complemento dei contenuti postati a raffica sui social ufficiali del circuito (e dei media collaterali invitati all’evento) - su cui l’interazione è stata molto alta nel corso di tutto il weekend.
Insomma, ha senso definire Grand Slam Track anche un’operazione di intrattenimento - qualcosa a metà tra lo sport vero e proprio e un esperimento narrativo, dove una serie di storyline alimentano l’attesa degli eventi e in qualche modo li completano. Un modello che proviene sia da leghe sportive in cui lo storytelling è cruciale (su tutte la WWE), sia da sport che in passato hanno vissuto problemi di appetibilità simili a quelli che attraversa l’atletica: su tutti l’automobilismo con la Formula 1 e il tennis con l’ATP Tour. La prima è uscita da un'impasse decennale in fatto di affezionamento da parte di pubblici nuovi grazie a un’operazione puramente narrativa come Drive to Survive, un prodotto che sacrifica senza troppe remore il lato sportivo in favore di una narrazione epica. Il secondo, attraverso un lavoro incessante sulla valorizzazione e l’umanizzazione dei propri atleti, continua ad avvicinare al tennis larghe fette di curiosi, che finiscono per appassionarsi alle carriere dei campioni nonostante una conoscenza tutto sommato limitata degli aspetti più tecnici del gioco.
Dal tennis Grand Slam Track mutua addirittura parte del suo linguaggio, a partire dal calco semantico del termine slam per riferirsi a quello che per l’atletica chiameremmo meeting, con un tentativo di distillare l’appeal culturale ed economico dei grandi tornei di tennis e infondere lo stesso fascino sulla pista di atletica.
Per quanto riguarda il rapporto di ispirazione nei confronti del modello narrativo della WWE, Michael Johnson non ha mai nascosto che il futuro di Grand Slam Track sia proprio nella costruzione di rivalità tra i diversi atleti, o addirittura tra il gruppo dei racers e quello dei challengers, pronti a sfidare lo status quo. È questo - dice a più riprese - che il pubblico vuole vedere. Un assaggio di quello in cui queste storyline potrebbero trasformarsi lo avevamo già avuto a Kingston, in occasione dello scontro tra il triumvirato del mezzofondo Hocker-Kerr-Nuguse sui 1,500 metri - siamo comunque molto lontani dalle proporzioni della rivalità tra Josh Kerr e Jacob Ingebrigtsen (l’ultimo battibecco tra i due è stato proprio a proposito della non partecipazione del norvegese a Grand Slam Track). La produzione di contenuti attorno a questa singola gara è stata massiccia, sia prima che dopo la gara - tanto più per il fatto che il terzetto (che, va ricordato, rappresenta il podio olimpico di Parigi 2024 nella sua interezza) è stato scalzato dallo specialista degli 800 metri Emmanuel Wanyonyi in una gara tattica e apertissima fino all’ultimo metro, dove a contare non sono personal best o record mondiali o continentali, ma solo chi taglia per primo il traguardo (da un punto di vista cronometrico, infatti, la gara è stata tutto sommato mediocre rispetto ai tempi visti nella stagione indoor).
Mentre Diamond League prende le proprie contromisure - aumentando i premi dei propri meeting (pur lontanissimi da quelli principali di GST) e sparando qualche cartuccia contro Grand Slam Track snocciolando le foto degli atleti più forti del proprio circuito - Michael Johnson pensa già a come migliorare il proprio prodotto. Nella parte finale dell’intervista a Citius Mag menzionata in precedenza, Johnson confessa la sua ammirazione per esperimenti come la King’s League di Gerard Piqué, per la capacità del prodotto di coinvolgere il pubblico più giovane attraverso il coinvolgimento dei content creator.
«È qualcosa che vogliamo integrare anche noi: aggiungere alcune prove in pista dove creators e gamers con fandom importanti e che abbiano dimostrato passione per l’atletica possano essere messi gli uni contro gli altri». Il primo caso noto di invito ufficioso (non c’è nulla di ufficiale, né tantomeno di formale) è quello allo streamer IShowSpeed.
Nella stessa intervista, a Johnson vengono chiesti dettagli su un suo incontro con Tyreek Hill, il wide receiver dei Miami Dolphins coinvolto in un beef con Noah Lyles - un match up sui 60 metri tra l’uomo più veloce del mondo e il suo sfidante sarebbe in previsione per l’estate del 2025. Anche in questo caso, sarebbe improprio parlare di un’apertura ufficiale a ospitare la sfida tra i due all’interno del proprio palinsesto, ma il flirt disinvolto di Johnson con questo genere di notizie a metà tra lo sport e un diverso tipo di intrattenimento fanno intendere, se non l’apertura, almeno l’attenzione del commissioner a quello che succede attorno all’atletica.
Se da questi indizi si può individuare un pattern per il futuro di Grand Slam Track, quello che sembra trasparire è il progetto di un’atletica meno ingessata e autoreferenziale, e più aperta a commistioni con varie sfaccettature della contemporaneità, che sia sport tout court o intrattenimento in senso lato. Lo slam di Kingston non offre ancora abbastanza dati per capire se Grand Slam Track sia vincente almeno quanto il suo ideatore. Certo, i primi passi fanno ben sperare chi vede in questo tipo di progetti il futuro dello sport.