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Dario Saltari
Il Chelsea cambierà Graham Potter?
13 set 2022
13 set 2022
L'allenatore inglese arriva al Chelsea dopo un percorso unico.
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Dario Saltari
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Catherine Ivill/Getty Images
(foto) Catherine Ivill/Getty Images
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Pensate dover spiegare le ultime scelte del Chelsea non dico a un alieno ma anche solo a un dirigente di una franchigia americana. Cioè l’esonero, dopo appena tre sconfitte, dell’allenatore che ha vinto la Champions League poco più di un anno fa e la Coppa del mondo per club circa 7 mesi fa. Che l’anno scorso, dopo una stagione complicata, è comunque riuscito ad arrivare in finale di FA Cup, perdendola solo ai rigori, e ad ottenere un terzo posto in Premier League dietro a Manchester City e Liverpool, cioè le due squadre più forti e influenti del calcio contemporaneo. E tutto questo dopo una carriera che lo ha visto allenare, tra gli altri, Borussia Dortmund e PSG, e vincere diversi trofei in due Paesi diversi oltre all’Inghilterra. Poi immaginatevi di dover spiegare a questa stessa persona, non proprio inserita nel mondo del calcio, la sua sostituzione con un allenatore il cui massimo risultato è stato un nono posto al Brighton, che si è costruito una reputazione in una semi-sconosciuta squadra svedese, e che è appena alla sua quarta stagione in carriera in Premier League. Ecco, che parole utilizzereste per spiegargli tutto questo? Il mio era ovviamente un modo volutamente semplicistico di porre la sostituzione di Thomas Tuchel con Graham Potter, e per fortuna il calcio è più complicato di così, ma faccende come quelle che abbiamo visto gli ultimi giorni al Chelsea ci fanno chiedere se non sia troppo complicato, se raccontare le cose in maniera semplice o addirittura semplicistica non ci avvicini di più alla realtà di quanto faccia una qualsiasi spiegazione complessa. In altre parole: è difficile razionalizzare senza dirsi che al Chelsea siano usciti tutti di senno.

Molto si è detto di ciò che ha reso molto impopolare Thomas Tuchel nelle ultime settimane. I risultati certo: l’ultima amara sconfitta contro la Dinamo Zagabria, con l’allenatore tedesco che probabilmente già sapeva del suo esonero imminente, e ancora prima quelle forse ancora più inspiegabili in Premier League contro Leeds (3-0) e Southampton (2-1). Ma anche, come rivelato dal giornalista della Bild Christian Falk, gli attriti con il nuovo proprietario statunitense del Chelsea, Todd Boehly, riguardo l’acquisto di Cristiano Ronaldo, un’altra cosa che, se vista con non troppa attenzione dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, non deve essere troppo facile da capire. E infine la difficoltà nel gestire il nuovo ruolo da manager, un ruolo quindi non più solo da semplice allenatore ma anche da gestore del calciomercato (che non è detto avrebbe mantenuto, comunque, visto che è notizia delle ultime ore che il Chelsea starebbe finalmente cercando un nuovo direttore sportivo). Lukaku rispedito a Milano dopo solo una stagione e un investimento da quasi 115 milioni di euro solo per il cartellino, i quasi 300 milioni di euro spesi in questa sessione per Sterling, Koulibaly, Cucurella, Fofana, tra gli altri. Le difficoltà nell’integrare questi nuovi acquisti in maniera coerente, fisiologiche dopo meno di un mese dall’inizio della stagione ma evidentemente inaccettabili per chi quei milioni ha dovuto metterceli. Su tutto questo ha scritto Federico Sborchia pochi giorni fa.

È molto meno intuitivo e discusso ciò che invece rende così popolare Graham Potter. Anche in questo caso i risultati danno una risposta facile. Il nono posto ottenuto in Premier League lo scorso anno ha fatto molto rumore, soprattutto alla luce del fatto che il Brighton avesse solo il quindicesimo monte ingaggi (il Manchester United aveva un monte ingaggi quasi sei volte superiore e ha chiuso il campionato con appena sette punti in più), ma ancora più fragorosi sono stati i risultati ottenuti in queste prime giornate, l’1-2 all’esordio proprio contro il nuovo Manchester United di ten Hag, lo 0-2 al West Ham, il roboante 5-2 rifilato al Leicester nell’ultima partita di Premier League giocata. Così come per Tuchel anche per Potter il calciomercato estivo ha agito da specchio distorsivo, questa volta in positivo, e i risultati hanno brillato alla luce delle cessioni di Marc Cucurella (per oltre 65 milioni di euro al Chelsea), Yves Bissouma (quasi 30 milioni, al Tottenham) e Neal Maupay (12 milioni all’Everton), quest’ultimo nemmeno sostituito, almeno numericamente.

A inizio stagione Potter ha perso la pazienza di fronte alle continue domande di chi gli chiedeva perché il Brighton, una squadra con un problema cronico nel convertire le occasioni da gol, non comprasse una punta da 20 gol, e successivamente ha reiterato un concetto che è dovuto suonare rivoluzionario nella Premier League attuale dove persino una squadra neopromossa come il Nottingham Forest può comprare giocatori come caramelle, e cioè che il Brighton avesse fatto benissimo a non sostituire Maupay. «Alla fine della mia seconda stagione qui [la 2020/21, ndr] non potevo camminare per Brighton senza che qualcuno non mi gridasse che dovevo liberarmi di Neal Maupay, quindi non mi interessa molto di quello che dicono le persone da fuori», ha dichiarato Potter «Capisco che dal punto di vista dei tifosi a volte un nome che tutti conoscono sembra un’idea migliore, perché è un po’ come se questo giocatore arrivasse per salvarci, mentre i giocatori che abbiamo già in rosa sono un po’ sconosciuti. Ma anche Marc Cucurella era sconosciuto e lo stesso si può dire di Ben White, Dan Burn, che a un certo punto non era molto amato, e Yves Bissouma. Quindi questo è il modo con cui lavoriamo come club».

Forse in un altro campionato queste parole non sarebbero state così significative. Ma in Premier League, dove il dominio economico rispetto al resto d’Europa permette alle squadre semplicemente di buttare i giocatori e di ricomprarne di nuovi quando le cose non funzionano, sono dovute sembrare acqua nel deserto. Non è solo una questione di risparmio ed economia, come viene fatto notare da chi attribuisce (giustamente) i successi del Brighton anche alla programmazione fatta dal club e all’occhio dei suoi scout. Ovviamente gli acquisti di Pervis Estupiñan e Moises Caicedo, solo per fare i due esempi più recenti, hanno aiutato il club inglese a competere in Premier League, ma non spiegano da soli il successo di Potter, e soprattutto la sua popolarità piuttosto trasversale in Inghilterra. Al di là dei talenti prelevati da ogni angolo del mondo, infatti, l’intelaiatura del Brighton è composta da giocatori che pensavamo avessero esaurito la loro parabola ad alti livelli, come Adam Lallana o Danny Welbeck, o che non pensavamo nemmeno potessero competere per le prime dieci posizioni del campionato più competitivo al mondo. Parlo per esempio di Joel Veltman, il più dimenticabile dei giocatori dell’Ajax che arrivò a un passo dalla finale di Champions nel 2019, o Pascal Gross, una vita passata all’Ingolstadt senza che nessuno se ne curasse troppo, o ancora Leandro Trossard, uno che si pensava non potesse farcela nemmeno al Genk, in Belgio. Nel calcio esistono un milione di variabili, ma per questi giocatori non è troppo avventato dire che senza Potter non sarebbero mai arrivati a questo livello.

La vittoria all'esordio di questa stagione contro il Manchester United, grazie alla doppietta di Pascal Gross.

Quella di rigenerare giocatori che sembravano non avessero più nulla di dire è una qualità che viene riconosciuta a Potter ancora prima del Brighton. All’Ostersunds, piccolo club svedese in cui Potter ha di fatto cominciato la sua carriera tra i professionisti, portandolo dal quarto livello del calcio svedese al primo e ottenendo nel frattempo una qualificazione in Europa League e una Coppa di Svezia, molti dei giocatori erano «persi, incerti, scarti», come l’ha messa Douglas Bergqvist, difensore che nel febbraio del 2014 ha deciso di seguirlo in Svezia lasciando l’Exeter. Bergqvist è uno dei tanti ex giocatori di Potter che parla di lui più in termini umani che calcistici. «È qualcuno che ha cambiato non solo la mia carriera ma soprattutto la mia vita. Con lui sono diventato un essere umano più maturo e rispettoso. [A Potter, ndr] Gli importava di te più come persona che come calciatore». Oli McBurnie, attaccante scozzese che ha giocato con lui allo Swansea, ha detto che Potter cerca di aiutare i suoi giocatori a migliorare non solo come calciatori ma anche come persone: «Non avevo mai ricevuto nulla di simile da un allenatore prima». Non è solo retorica spicciola, il fatto che Potter ottenga risultati con giocatori come questi rende autentica, in sostanza vera, la storia di riscatto delle sue squadre. Quanti altri allenatori in Europa sono riusciti a fare lo stesso negli ultimi anni? Il calcio contemporaneo, e la Premier League in particolare, fa sempre più fatica a produrre storie che siano credibili. Il calciomercato accorcia sempre di più il periodo che i giocatori (e ormai anche gli allenatori) spendono nelle singole squadre, che preferiscono cambiarli finché l’ingranaggio non inizia a girare anziché trovare un modo per farlo funzionare, e in questo modo qualsiasi narrazione che non includa il calcolo economico appare fittizia. Come ha detto McBurnie: «Il calcio è un business che si basa sui risultati e a volte i calciatori sono visti quasi come dei pezzi di carne».

Potter viene percepito come un allenatore diverso dagli altri, per certi versi più puro, anche per il rapporto controverso che il pubblico inglese ha verso l’estero. La Premier League è di gran lunga il campionato tra i cinque principali europei ad avere la proporzione più alta di allenatori stranieri e, anche se le motivazioni pratiche anche in questo caso sono in primo luogo di natura economica (il più ricco campionato al mondo attira inevitabilmente i migliori allenatori di tutto il mondo), questo viene percepito in maniera ambivalente: da una parte gli allenatori stranieri appaiono come più raffinati rispetto a quelli britannici, dall’altra sono talmente tanti che sembra che tolgano spazio ad altri allenatori britannici che forse nel miglior campionato del mondo potrebbero starci. Potter mette d’accordo entrambi i punti di vista: è inglese - la sua faccia è talmente inglese che lo avreste capito anche solo guardandolo - ma allo stesso tempo si è affermato all’estero, seppur in un Paese, la Svezia, che ha una forte tradizione di allenatori inglesi (basti pensare alla carriera che ha avuto lì Roy Hodgson). Non è un caso che si parli di lui in ottica Nazionale da ben prima dell’approdo al Chelsea: la BBC, per esempio, lo faceva già il 29 ottobre dello scorso anno.

A Potter non può nemmeno essere rimproverato di non aver dimostrato il suo valore sul campo. Da calciatore è stato un terzino piuttosto modesto e la sua carriera da allenatore non è nemmeno iniziata nel mondo del calcio, ma in quello delle università. Prima di arrivare all’Ostersunds (quarta divisione del calcio svedese, giova ripeterlo) Potter ha fatto un po’ di tutto: da allenatore della squadra della Leeds Metropolitan University (mentre studiava per un master) a direttore tecnico del Ghana femminile per i Mondiali cinesi del 2007. Potter ha dichiarato che sottostare a persone che erano fuori dal calcio ha avuto una grande influenza sulla sua carriera successiva. «Per il modo con cui trattavano le persone, e strutturavano il processo di feedback, e parlavano ai calciatori. Tutto ciò di cui avevo fatto esperienza era il calcio professionistico e queste persone guardavano tutto da un prospettiva diversa».

Partendo da questa posizione di semi-professionismo, Potter ci ha messo incredibilmente poco a iniziar a far parlare di sé in Inghilterra, e ancora una volta non per i motivi che ci si aspetterebbe. Certo, anche in questo caso i risultati, in particolare l’1-2 con cui l’Ostersunds riuscì a battere l’Arsenal di Wenger all’Emirates nei sedicesimi di finale di ritorno dell’Europa League 2017/18 (venendo però eliminato), sono stati decisivi. Ma in realtà la stampa britannica ha iniziato a occuparsene ancora prima, e principalmente per i suoi metodi d’allenamento e team building del tutto non convenzionali. Rory Smith, per esempio, ne scrisse sul Times il 18 gennaio del 2016 in un pezzo dal titolo che non poteva non rubare l’occhio: «Un allenatore inglese sta utilizzando il teatro per realizzare i sogni della sua squadra». Il riferimento è alla specie di saggio (nel pezzo viene utilizzato il termine cultural showcase) a cui tutta la squadra e lo staff dell’Ostersunds doveva partecipare alla fine di ogni stagione. Un anno, per l’appunto, era la messa in scena del Lago dei Cigni di Tchaikovsky, un altro la scrittura di un libro collettivo dove i calciatori raccontavano il percorso personale che li aveva portati a Ostersunds. Potter ha proposto queste iniziative con l’intelligenza di non apparire mai fuori posto, ma sempre in concerto con i club che hanno deciso di puntare su di lui. Nel caso dell’Ostersunds, una squadra nata nel 1996 in una cittadina a circa 500 chilometri a nord di Stoccolma dove la temperatura in inverno si aggira intorno ai -20 gradi, con l’eccentrico presidente Daniel Kindberg, ex colonnello di fanteria dell’esercito svedese che alla fine del pezzo profetizza il suo arrivo in una delle più grandi squadre del mondo.

Potter in questo senso non si è mai posto come figura di rottura e, anzi, si è sempre sforzato per apparire più normale di quanto il suo percorso non suggerisse, anche per il calcio che propone. In un’intervista realizzata da The Coaches’ Voice nel maggio dello scorso anno, parlando della sua esperienza allo Swansea nella stagione 2018/19, Potter ha dichiarato che «tutti hanno il diritto di giocare come vogliono giocare» e che questo «è il bello del calcio»: «Lo Swansea voleva quello stile, quindi non è che ho preso una squadra di successo che aveva un certo stile e l’ho cambiato. Stilisticamente ci siamo incontrati. Ma poi devi essere sufficientemente umile per sapere che gli stili [di gioco, ndr] non ti fanno vincere le partite: devi farli funzionare, portare le persone a crederci, spiegargli perché funzionano e come».

Parlare del calcio di Potter in questo senso può essere fuorviante. L’allenatore inglese non ha mai fatto mistero di apprezzare Guardiola e di voler proporre un gioco di possesso che cerca di recuperare il pallone in alto in maniera proattiva (e l’evoluzione del Brighton nelle ultime tre stagioni lo conferma), ma chi ha giocato con lui di solito mette l’accento più che altro sull’adattabilità che richiede alla sua squadra a seconda delle situazioni. Potter non ha un modulo di riferimento, e anzi ne studia diversi per ogni partita a seconda dell’eventualità e dell’avversario, e cerca di cucire le sue idee sui giocatori che ha a disposizione, chiedendogli spesso di giocare in ruoli inusuali. Non è retorica dire che i limiti finanziari delle squadre che ha allenato lo abbiano reso un tecnico più maturo e creativo, in definitiva migliore. A questo proposito è interessante quello che ha detto sulla sua esperienza in Championship allo Swansea in un’altra intervista, realizzata da The Athletic nel maggio del 2020. La squadra gallese era appena retrocessa e secondo l’allenatore inglese tra i suoi tifosi c’era una certa sensazione di sollievo. «Senti i commentatori dire che i tifosi vogliono andare in Premier League ma in realtà i tifosi dello Swansea ne avevano abbastanza. Non ce la facevano più ad andare allo stadio a guardare una squadra non ci pensava nemmeno a vincere ma che sperava di cavarsela parcheggiando il bus davanti alla porta. Tutto ciò che apprezzavano della loro squadra se ne era andato. I tifosi dicevano: vogliamo solo tornare a giocare come vogliamo, guardare un gruppo di giocatori che cercano di vincere, o almeno che provano a fare qualcosa. Questa è stata una buona cosa dal mio punto di vista di allenatore».

In altre parole: Potter allo Swansea era libero di sbagliare e di perdere, e questo lo ha fatto crescere come allenatore. L’allenatore inglese ripete spesso quanto sia importante lavorare per costruire un metodo che porti a risultati di lungo periodo, che è qualcosa su cui teoricamente tutti sono d’accordo finché non si ricordano che lungo periodo può voler dire anche aspettare alcuni anni. A questo proposito è bene ricordare che il suo percorso non ha nulla a che fare con la predestinazione, almeno come viene intesa di solito. Il suo Swansea, che era una squadra appena scesa dalla Premier League, arrivò decimo in Championship, a 18 punti dal terzo posto che avrebbe garantito la promozione, e il Brighton, nelle due stagioni precedenti al miracoloso nono posto dello scorso anno, è arrivato prima 16esimo e poi 15esimo. Il calcio di errori, tentativi ed esperimenti può essere bello in teoria, ma può sopravvivere a contatto con la politica dei top club che hanno bisogno di risultati subito?

Alla fine del suo percorso irripetibile Potter arriva al Chelsea, il club che forse più di qualsiasi altro ha dimostrato di essere disposto a bruciare allenatori e giocatori al primo cambio di vento. Il nuovo proprietario della squadra londinese, Todd Boehly, ha puntato su di lui come il miliardario che compra alla cieca l’ultima opera d’arte dell’artista più in voga del momento, ma ne ha davvero bisogno? Il Chelsea non ha tempo per sperimentare moduli e giocatori in ruoli non convenzionali, non può permettersi il lusso di perdere, soprattutto non ha bisogno di rigenerare giocatori apparentemente finiti. A cosa serve un allenatore che ha fatto la sua fortuna pescando dal bidone dell’immondizia del calcio europeo, quando il suo proprietario può ordinare ogni sera dai migliori ristoranti del mondo solo perché ha voglia di qualcosa di diverso?

In questi giorni in molti si stanno chiedendo come Potter potrà cambiare il Chelsea, ma mi sembra che rovesciando la questione si ottenga un interrogativo molto più interessante. E cioè se e come il Chelsea cambierà Graham Potter. L’allenatore inglese non è assolutamente il primo che entra in una delle big six dalla porta di servizio per venire divorato dalla cultura consumistica del campionato inglese. Si potrebbe fare il nome di Brendan Rodgers, anche lui considerato tactical genius allo Swansea prima di diventare uno zimbello per via della sua rovinosa caduta a Liverpool, ma la lista è lunga. La domanda è sempre la stessa: ora che Potter non è più solo una favola lontana e innocua la Premier League gli permetterà di rimanere fedele a sé stesso?

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