Per la prima volta dal lontano 1976, quest’anno Duke e Kentucky – due dei programmi più vincenti degli ultimi decenni – non saranno presenti alla March Madness, non essendo riusciti a qualificarsi né attraverso i tornei di Conference né grazie alla benevolenza del Comitato Selezionatore. E il 1976 è anche l’ultimo anno in cui una squadra riuscì a laurearsi campione NCAA senza subire neanche una sconfitta in stagione, quando ci riuscì l’Indiana allenata da Bobby Knight – che da allora è diventata il simbolo di chiunque sogni la stagione perfetta senza sconfitte fino ai confetti di carta. Kentucky è stata l’ultima ad aver avuto l’ardore di provarci nel 2015, almeno fino a quando non si è scontrata alle Final Four con Frank Kaminsky, Sam Dekker e i loro Wisconsin Badgers.
Kentucky, ad essere precisi, era stata l’ultima a provarci. Oggi infatti tocca a Gonzaga inseguire il fantasma di Bobby Knight e degli Hoosiers, arrivando a questo Torneo NCAA cavalcando una striscia di 26 vittorie consecutive. Frutto di un attacco formidabile (126.1 di Adjusted Offense, uno dei dati più alti mai registrati in Division I), in grado di frantumare numerosi record e animato da giocatori di grande interesse, su tutti Jalen Suggs, serio candidato ai primissimi posti del prossimo Draft.
Contrariamente alle altre squadre citate prima, Gonzaga non ha sangue blu e non è nemmeno la Powerhouse di uno stato di grande tradizione cestistica. Arriva da Spokane, Washington, l’angolo più a nord-ovest della mappa a stelle e strisce, ha un corpo studentesco che è un quarto di quello di Kentucky e nemmeno una squadra di football ad arricchire le casse dell’università.
Questo però non significa che parliamo di una Cenerentola. Gonzaga è, se volete, un’aristocratica di umili origini che ha conquistato sul campo i gradi di nobiltà. Perché è da anni ormai che sta scrivendo una storia ben diversa da quelle alle quali ci abitua la pallacanestro universitaria: non Davide contro Golia, bensì Davide che si trasforma in Golia. (Sì, ok, lo sappiamo che Golia è quello che ci resta secco alla fine. Però ci siamo capiti, dai).
I numeri di un dominio
Ci sono molti modi di essere vincenti e Gonzaga quest’anno lo è stata dando pieno senso a una parola forse un po’ abusata nel linguaggio sportivo: dominio. Ecco qualche dato utile per rendere meglio l’idea.
Lo scarto medio fatto registrare in stagione è un tondo +23 rispetto ai malcapitati avversari e ha una striscia aperta di 23 vittorie consecutive con vantaggio in doppia cifra, la più lunga negli ultimi 60 anni. Fin qui ha messo insieme un +37.7 di differenziale su 100 possessi che, mantenuto fino alla fine, andrebbe a stabilire un nuovo record in 20 anni di esistenza di KenPom, sito di culto nel college basketball che rileva questa statistica.
Ed è qui che di solito partono i sì-ma-però che accompagnano i successi di Gonzaga nei discorsi da bar sport. Innanzitutto: “Gioca contro nessuno”. Certo, la West Coast Conference (WCC) non regge il confronto con Big 12 e Big Ten. Però Kansas (attuale #22 su KenPom), West Virginia (#27), Iowa (#5), Virginia (#11) e BYU (#24) – tutte battute dagli Zags in stagione – non sono certo delle avversarie di basso livello, e negli anni Gonzaga ha imparato a gonfiare il programma di partite fuori dalla Conference proprio per bilanciare la scarsa competitività della WCC. Quest’anno poi Gonzaga ha record 7-0 contro formazioni di quella Top 30, mentre le altre #1 Seed nel bracket – Baylor e Illinois – sono entrambe a 7 vittorie e 2 sconfitte, Michigan è 5-2. Insomma, gli Zags la prima testa di serie assoluta se la sono sudata e meritata.
Perché ad un’annata del genere non si arriva con uno schiocco di dita. Mark Few è il capo allenatore a Spokane da 22 anni e con lui gli Zags non hanno perso un solo appuntamento col Torneo NCAA, anticipando tempi e mode rimanendo sempre avanti anche alle superpotenze del continente. Gonzaga è stata infatti una delle prime università a puntare sul reclutamento estero, oppure percorrendo la via dei transfer quando era meno battuta, riuscendo a tirar fuori gemme anche in tempi di mercato affollato (un nome per tutti: Brandon Clarke).
In fatto di modernità e di stile di gioco, invece, questa Gonzaga ha abbracciato lo small ball e ci sta costruendo sopra le proprie fortune. Non per moda, ma per adattarsi meglio al talentuoso roster a disposizione. La reputazione costruita negli anni oggi permette a Few ha di reclutare chiunque, anche atleti che tempo fa non avrebbero neanche perso tempo a visitare la piccola università cattolica dello stato di Washington.
Jalen Suggs, la stella che mancava
Già prima di mettere piede a Spokane, Suggs aveva idee chiare e nessun timore reverenziale: “Gli è sempre mancata la grande superstar, il tassello mancante del puzzle. Penso di essere arrivato qui e di aver riempito quel vuoto, e che io possa portare gli Zags al titolo” ha detto a The Athletic. Dalle parole ai fatti, è stato un attimo. Almeno per la prima parte: per la seconda, ci stiamo lavorando.
Jalen Suggs che si presenta a tutti dopo neanche 40″ di partita 😅 pic.twitter.com/sPlyK3FG4s
— Basketball NCAA (@BallNcaa) November 27, 2020
Suggs aveva impressionato i compagni già in preseason e poi ha fatto innamorare tutti sin dai primi possessi giocati. Questo, per esempio, è stato il primo canestro segnato al college.
Non se ne trovano tanti di giocatori come lui. E quel che gli permette di fare grande Gonzaga adesso è anche ciò che lo rende tanto intrigante per la NBA. I dubbi sulla traducibilità del suo repertorio sembrano proprio stare a zero.
Giocatore di football mancato – esclusivamente per sua scelta – porta in campo fisico (193 centimetri d’altezza per 93 chili di peso), mentalità e attitudini proprie di quello sport. Tra tagliafuori improbabili (eppure per lui possibili) su gente molto più grossa e cariche a passo spedito in traffico senza che i contatti lo scalfiscano, Suggs detta legge su entrambi i fronti di gioco con la sua fisicità ed esplosività.
L’elevata pericolosità in contropiede sta tanto nelle sue progressioni (rapido, deciso, sempre in controllo del proprio corpo e delle proprie scelte) che nelle capacità di passatore. L’educazione da quarterback si traduce cestisticamente in una grandissima visione di gioco e in passaggi spettacolari che coprono tutto il campo. Parabole alte per outlet pass al bacio, ma anche abilità nel centrare angoli difficilissimi.
Jalen Suggs’ passing ability will make you go 🤯
(via @jordancaskey)pic.twitter.com/Rz0TRaOxH6
— Stadium (@Stadium) January 4, 2021
Come realizzatore contro la difesa schierata, non manca praticamente nulla in uno-contro-uno: esitazioni, cambi di ritmo, accelerazioni.
E dal pick and roll la sua maestria è lampante: letture perfette per trovare la soluzione personale, timing e precisione nell’innescare il rollante.
Jalen Suggs PnR skills are good pic.twitter.com/3ihxPrBwMP
— Lorenzo Neri (@lorenzoneri84) December 20, 2020
Come tiratore può colpire sia dal palleggio che ricevendo in movimento. Qui però è ancora da lavori in corso, a dire il vero: il 35.4% in stagione si spiega e si giustifica in parte con l’alto volume di conclusioni complicate che prende, ma nel suo gesto non sempre fluido: c’è qualcosa da limare.
Ok, ne abbiamo dette un po’: volete un compendio finale? Eccolo qui: negli ultimi 8 minuti della finale della WCC, quando si è caricato la squadra sulle spalle – davvero in tutti i modi – contro una BYU che non voleva mollare l’osso. Sapete, quel tipo di cose che fanno le star. “Coming down the stretch, I kept screaming, It’s March!”. Marzo è arrivato e Suggs è in missione. Si salvi chi può.
Corey Kispert, l’ambasciatore
Se Suggs ha un tiro da tre più che discreto ma ancora da perfezionare, l’altro prospetto NBA Corey Kispert invece è uno che la spiega a tutti sia per stile che per efficacia. Il suo tiro è talmente buono, infatti, da rappresentare il suo principale biglietto da visita per una probabile chiamata in lottery: 44.4% su 6.2 tentativi a partita (e 40.7% in quattro anni con tanti minuti al college), apparentemente senza conoscere limiti di range o di situazioni nelle quali possa mettere a posto i piedi in un istante per far partire il jumper con eleganza e precisione.
Quest’anno ha anche stabilito un nuovo primato personale: 9 triple a segno (su 13 tentativi) nello schiaffone rifilato da Gonzaga a Virginia.
Kispert è famoso soprattutto per questo, ma non è solo questo. Pur essendo nominalmente un esterno, quando viene schierato da 4 garantisce spaziature fondamentali: è lui l’uomo che può sfruttare un blocco così come portarlo per un compagno, che può dialogare con il lungo di riferimento in alto-basso e che si mostra in genere a proprio agio nell’attaccare un mismatch.
Poi ci sono la bravura e l’intelligenza con la quale sa attaccare i closeout, prendendo il cuore dell’area con la fisicità e la coordinazione adatte per concludere e, in alternativa, con le capacità di lettura necessarie per riaprire il gioco.
A renderlo un punto di riferimento in squadra non ci sono solo i gradi di senior, ma soprattutto un lato umano e caratteriale per il quale ognuno intorno a lui ha soltanto parole al miele da spendere. Perché se Suggs è la stella, Kispert è il leader di Gonzaga. “È uno su cui posso sempre fare affidamento per tenermi motivato e per calmarmi” ha detto proprio Suggs. “Ha sempre un atteggiamento equilibrato, è quello che ci tiene tutti assieme”.
Ah, e in tutto questo, è anche quello in squadra coi voti migliori. Tiro perfetto, ragazzo perfetto. O come ha detto più volte Few: l’ambasciatore di Gonzaga, il suo testimonial ideale.
La Death Lineup
Suggs e Kispert sono i nomi da NBA, ma è la totalità della squadra ad aver creato una combinazione micidiale, specialmente con il talento presente nel backcourt. E così attorno a un freshman a cinque stelle come Suggs e a un transfer di lusso come Andrew Nembhard (da Florida) si aggiunge anche il già presente Joël Ayayi. E quando hai tre guardie di questo livello per il college basket, perché mai dovresti lasciarne uno in panchina?
Ecco dunque servita la Death Lineup di Gonzaga, cioè il quintetto di gran lunga più impiegato da Few (37% dei minuti giocati), composto da tre vere e proprie point guard (Suggs-Nembhard-Ayayi), un’ala (Corey Kispert) e un lungo (Drew Timme).
La versatilità di Kispert permette diverse soluzioni alla squadra e la minaccia del suo tiro da tre contribuisce a mantenere spaziature ideali. Se si parla di pericolosità dall’arco, poi, Ayayi sta facendo passi da gigante: 39.7% in stagione per uno che, prima di quest’anno, aveva il 33.8% in carriera. Il francese si fa però apprezzare anche e soprattutto per la velenosità dei suoi tagli backdoor per arrivare al ferro, il sale dell’attacco di Gonzaga.
🇫🇷 Anything you need, Joël Ayayi will provide: rebounds on both ends, transition, sharing the ball, backdoor cuts.
Both him and Nembhard stepped up against West Virginia while Suggs was off the floor
21 pts, 7 reb, 4 ast, 4 stl for the French juniorpic.twitter.com/OgohV6GlJR
— Riccardo De Angelis (@RicDeAnge) December 3, 2020
Da bravo killer silenzioso che prende rimbalzi come un lungo (7 di media), ha però anche altro da dare, se serve. Chiedete a West Virginia.
Con Timme (18.7 punti e 7.1 rimbalzi), uomo dal baffo importante e dalle mille handshake, le occasioni per attaccare l’area contro la difesa schierata si moltiplicano. Un po’ per il suo lavoro sporco (i blocchi in area per fare strada alle guardie), un po’ per la sua capacità di calamitare attenzioni nel pitturato, e infine per l’ottima tecnica che gli consente di finalizzare attaccando sia fronte che spalle a canestro.
Pur nella relativa novità del quintetto piccolo, Gonzaga continua a far male ai propri avversari ricorrendo a schemi che usa da anni. Qui sotto ce ne sono due piccoli esempi, entrambi con Timme finalizzatore ma non unico protagonista, che danno un’idea della fluidità e dell’organizzazione offensiva degli Zags.
Continuity Ball Screen x Gonzaga Death Lineup pic.twitter.com/eYa9LUdmVn
— Jordan Sperber (@hoopvision68) December 26, 2020
Gonzaga's offense is a thing of beauty, employing decoy actions to occupy help defenders and spacing the floor well.
Beautiful basketball: pic.twitter.com/LifJ5EU9NM
— Jackson Frank (@jackfrank_jjf) December 22, 2020
Lo small ball di Gonzaga non si traduce in un mero aumento spasmodico del tiro da tre (anzi, solo il 23.8% dei punti segnati arrivano da oltre l’arco), ma anche e soprattutto nell’usare la minaccia del tiro da lontano come grimaldello per aprire l’area avversaria. Gonzaga ha il miglior attacco della NCAA proprio per come domina vicino al canestro con tutti e cinque i suoi interpreti principali, non solo per come tira da fuori coi suoi specialisti.
Nessuna squadra ha percentuali da due punti (63.9%) e al ferro (73.3%) migliori. Come sottolinea ESPN, la sua efficacia non dipende dal livello degli avversari nella WCC. Nelle cinque gare giocate contro le Power 6, Gonzaga ha prodotto una media di punti nel pitturato (52.8) persino maggiore di quella registrata in stagione, il che si traduce anche nella quantità di and-one più alta della nazione.
Cosa più importante di tutte, Gonzaga ama premere il piede sull’acceleratore (seconda per durata media del possesso, solo 14.1 secondi) ed è facile che arrivi al ferro in un amen. Per Hoop-Math, in nessun altra squadra le conclusioni in contropiede hanno un’incidenza tanto alta sul fatturato offensivo. Gonzaga prende il 35% dei propri tiri in transizione: Alabama, ad esempio, ci va vicina (34.4%), ma con risultati in confronto modesti (65.8 contro 49.9 di percentuale effettiva in quelle situazioni).
Sette su diciannove
John Calipari potrebbe raccontare una o due cose sulla differenza che c’è fra entrare al Torneo da imbattuti e uscirne ancora senza macchia. Ma non andiamo a scomodare il Calippo e lasciamolo pure alla sua vacanza forzata. Facciamocelo dire da qualcun altro.
2020-21 Gonzaga is the 20th team to enter the NCAA Tournament undefeated.
Of the previous 19:
– 7 won it all
– 2 were national runner-up
– 4 lost in the national semifinal
– 6 failed to reach the Final Four— Jared Berson (@JaredBerson) March 10, 2021
Sette su diciannove, ma sembra di dire uno su mille. La domanda sorge spontanea: cos’è che ha funzionato finora per Gonzaga ma che potrebbe andare storto nel Torneo che sta per cominciare? L’attacco è una macchina, quindi possiamo escluderlo. E la difesa? Beh, gli Zags sono decimi nella NCAA per Adj. Defense, quindi si sono comportati benone. Questo però non significa che non ci siano crepe, anche piccole, che possono essere sfruttate da certe squadre.
Lo small ball che tanto meravigliosamente funziona in attacco può subire il rovescio della medaglia in difesa o sotto i tabelloni contro determinati avversari. Loyola Marymount di recente ha stravinto la lotta a rimbalzo contro Gonzaga e il suo centrone Mattias Markusson (221 centimetri) ha banchettato in area chiudendo con 8/9 da due, ma la squadra nel suo complesso non era attrezzata per andare molto oltre. BYU poi ha retto bene a rimbalzo nella finale della WCC e questo l’ha aiutata nel condurre a lungo nel punteggio prima di cadere sotto i colpi di Suggs.
Sfruttare una taglia maggiore a rimbalzo, punire la poca protezione del ferro di Timme (solo 2.6 di percentuale di stoppate, 443° in D-I) oppure, spostandoci su un altro piano, i limiti di Kispert in quanto a mobilità laterale contro gli esterni più dinamici, sono tutti aspetti ai quali Gonzaga deve stare molto attenta.
Va detto anche che, fra le quattro numero 1 del Torneo, Gonzaga sembra proprio quella col cammino verso le Final Four più facile – per quanto si possa usare questa parola nella March Madness. Al secondo turno troverebbe una tra Oklahoma (squadra in fase calante e ora anche senza De’Vion Harmon) e Missouri (Jeremiah Tilmon può dare fastidio sotto, ma la storia finisce più o meno lì).
Alle Sweet 16, potrebbe esserci una fra Creighton e Virginia (squadre a rischio upset al primo turno). I Bluejays potrebbero giocarsela in una gara ad alto punteggio, ma sono reduci da un torneo della Big East deludente proprio sul piano offensivo. Gli Hoos possono avere qualche chance abbassando i ritmi (buona fortuna!) e sfruttando i centimetri di Jay Huff ma, nel complesso, non sono migliorati molto dal -23 preso con Gonzaga all’antivigilia di Natale.
E così arriviamo alle Elite Eight. Qui le seed principali nell’altra metà della West Region sono Iowa, Kansas, Oregon, USC. Quest’ultima sembra quella meglio attrezzata per insidiare gli Zags, capace di strappare tante seconde opportunità e di mettere un freno alle grandi percentuali da due punti di Suggs e compagni grazie alla protezione del ferro di Evan Mobley. Buoni ingredienti, ma anche qui forse manca la ricetta completa.
Insomma, l’impressione è che gli ostacoli più concreti per gli Zags non debbano spuntare prima delle Final Four, anche se nel college basketball non si può mai dire. C’è un motivo infatti se nessuno ha replicato una stagione come quella degli Hoosiers negli ultimi 45 anni: è un’impresa vera.
Gonzaga però sembra avere le carte giuste per sfatare il tabù, anche più di quella Kentucky che pareva incrollabile nel 2015. Certo, la solidità difensiva dei ragazzi di coach Few non è quella lì, ma l’attacco ha rasentato le perfezione per tutto l’anno, con una continuità che non trova precedenti e con numeri che già la incoronano come una delle migliori squadre di sempre. E poi la Villanova del 2018 insegna che un grande attacco non solo può vincere un titolo NCAA, ma può farlo in carrozza.
Se dovesse completare l’annata perfetta, non solo Gonzaga riuscirebbe finalmente a zittire chi la snobba da 20 anni, ma andrebbe anche ad occupare un posto speciale nella memoria di addetti ai lavori e appassionati. E non solo loro, a dire il vero. La March Madness è un evento unico nel suo genere, è parte integrante del folclore americano: riesce quindi a raggiungere anche chi non s’interessa alla pallacanestro.
Gonzaga quest’anno non gioca dunque soltanto per un titolo nazionale: gioca anche per conquistare un pezzetto d’immortalità.