Josep Guardiola ama Erling Haaland. Dice di amarlo, cioè, come un marito dice di amare la moglie in una cena con solo amici maschi. Ne loda le qualità come un marito dopo il calcetto loda la cucina della moglie che gli fa trovare la cena pronta a casa. Non ne potrebbe fare a meno. Sì, insomma, fino a un certo punto.
Perché un mese fa, quando lo ha sostituito dopo che Haaland aveva segnato 5 gol contro il Lipsia e mancava ancora mezz’ora, Guardiola ne ha parlato benissimo ma quando gli hanno chiesto se era quello che gli è mancato gli scorsi anni per vincere la Champions la sua fronte si è increspata come un rotolo di carta cinese del secolo scorso, di quelli dipinti con inchiostri quasi invisibili. «No, non penso» ha risposto subito, senza bisogno di pensarci veramente, seguendo un impulso a negare che veniva dal profondo.
La fronte gli è scesa sugli occhi come delle tapparelle che in un pomeriggio d’estate tengono fuori il sole, Guardiola sbirciava attraverso le fessure il suo interlocutore mentre diceva che il problema sono stati i gol subiti, che loro ne hanno sempre fatti molti, l’anno scorso sono usciti facendone quattro al Real Madrid nella partita di ritorno, quindi il problema non è quello.
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