
Non c’è una nuvola, il cielo è azzurro e sulla facciata del The George hanno impiccato un festone di palloncini rossi e blu che ballonzola molle sull’ingresso principale. Sono le dieci e mezza del mattino, il calcio d’inizio è in programma tra sei ore esatte, i tifosi svapano sul marciapiede con una pinta di Madri in mano e mi sembra evidente che Craig non segua il calcio, altrimenti non avrebbe messo in piedi lo staff meeting nel giorno in cui il Crystal Palace se ne va a Wembley a fare la vittima sacrificale del Manchester City nella finale della FA Cup.
Sono quattro anni che vivo a Crystal Palace e ci sta che io faccia il tifo per loro e oggi in effetti è così. Ma è solo per una storia tipo Davide contro Golia, solo perché di là dalla metà campo c’è Guardiola con tutti i suoi petrodollari. L’idea che possa perdere contro una squadra nettamente e oggettivamente più scarsa metterebbe a posto tante cose. Il finale di un film diretto da Ron Howard. Un lungo bacio al tramonto e una canzone dei Platters in sottofondo.

Io tifo per il Millwall. Il Palace l’abbiamo incontrato a marzo per i sedicesimi di finale e dopo nove minuti Liam “Robbo” Roberts ha piantato un piede in faccia a Mateta e gli ha sbriciolato un orecchio. Venticinque punti di sutura. La newsletter del club ha inoltrato un messaggio da parte di Hutchinson, il capitano, chiedendo ai tifosi di smettere di votare Robbo come “giocatore del mese” perché forse era il caso di smorzare un po’ i toni.
È il giorno della finale, vado allo staff meeting e attraverso Croydon e il The George è già in festa. Il The George è uno ‘Spoon, il grado zero delle catene di pub inglesi. La birra viene a metà prezzo perché comprano le botti in scadenza, sicuri di farle fuori prima che diventino invendibili. Una volta ci ho visto una vecchia che levava la schiuma dalla sua pinta usando una banconota da cinque come cucchiaio, per fare spazio e chiedere un rabbocco.
Croydon è un un postaccio. Stanno provando a gentrificare e il risultato è che ci sono due Starbucks nello spazio di cento metri e gli scoppiati di crack che dormono tutto il giorno sui gradini di Mark & Spencer. Le vie di casette vittoriane cadono a pezzi e i grattacieli con gli appartamenti nuovi di pacca vengono un assassinio al metro quadro perché, dicono le agenzie, stanno a 14 minuti da London Bridge. Tutte balle. In 14 minuti al massimo arrivi a Brixton.
A Croydon si tifa Crystal Palace, ed è forse il posto a Londra dove più si tifa Crystal Palace, anche se Crystal Palace sta a mezz’ora di bus. Anche se lo stadio del Crystal Palace sta a Selhurst, che è proprio a metà strada tra Croydon e Crystal Palace. Selhurst in realtà non è niente, non ha nemmeno dignità di quartiere: è una fermata del treno. E uno stadio circondato dalle case che divide il parcheggio con un grosso supermercato.
A sentirne parlare ti fai l’idea che Crystal Palace sia un quartiere bello grosso, ma non è vero. Quando dici che ci abiti ti chiedono tutti “sì, ma Crystal Palace… dove?”. Perché c’è la stazione e dietro la stazione c’è il parco, cresciuto attorno al Crystal Palace andato bruciato. (Crystal Palace è effettivamente un palazzo di cristallo, e ferro, che avevano costruito per l'esposizione universale nel 1851) poi fai una salita di tipo trecento metri e arrivi al Triangle. Tre strade di negozi e ristoranti che si rincorrono e Crystal Palace è tutta lì. Venti minuti a piedi e hai visto tutto.
Come fa un posto così ad avere una squadra che va a fare la finale di FA Cup. Perché Crystal Palace è solo lì, ma il Crystal Palace tracima dalla vetta della sua collina e sbrodola verso sud. Fino a Croydon. Tutta Croydon. Dove al centro commerciale hanno aperto un negozio per il merchandising e in questi giorni mettevano la terza maglia ribassata da sessanta a trentanove sterline, che ormai la stagione è finita. O quasi.

Craig fa la conta degli assenti e capisce che tanto vale tagliare un po’ con il menu dello staff meeting, così ce ne andiamo a casa prima. Prendo il bus davanti al Boxpark, che è un agglomerato di container con pop-up stores e ristoranti e dentro fanno vedere la partita. È il gemello di un posto uguale che sta a Shoreditch, nel pieno dell’hipsteria, e questo dice abbastanza delle ambizioni che nutre Croydon.
Il Manchester City viene da una stagione complicata e vede in questa coppa un contentino. Un pezzo di metallo per consolarsi. Per il Crystal Palace sarebbe il primo trofeo della propria storia. Il primo. Si è spinto due volte in finale di FA Cup, e per due volte ha perso, entrambe contro il Manchester United.
Quella del Crystal Palace è considerata la tifoseria più calda di Londra. Ognuno ha le proprie classifiche su queste cose, ma diciamo che in un contesto di stadi sempre più silenziosi a Selhurst Park la differenza si sente. L'unione emotiva tra squadra, stadio e quartiere è palpabile.
Sono lì che aspetto il 410 e dal Boxpark si alza il rombo del gol di Eze che si inginocchia per terra e ride come ride sempre Leao e arrivano tutti ad abbracciarlo. Anche Mateta che per coprire il suo orecchio sbriciolato va in campo con una specie di guaina di gomma sulla testa. Fuori dal Boxpark hanno messo le transenne perché è pieno imballato non si riesce più a entrare. C’è un tizio che gira carico di sciarpe rosse e blu e le vende a venti stelline al pezzo. Eze ha un murales dedicato in un comprensorio popolare di Bermondsey ma è cresciuto a Greenwich da genitori Igbo. Ha giocato in tante squadre a livello giovanili, fra cui il Milwall, che non gli ha offerto un contratto. È al Cystal Palace da ormai cinque anni e i tifosi sventolano bandiere con la sua faccia. Dopo il gol Eze ha esultato con i due palmi giunti agitati verso la folla. Aveva segnato anche il gol dell'1-0 in semifinale contro l'Aston Villa. Un altro gol molto simile, un altro gol segnato contro una squadra teoricamente più forte.
Tempo di arrivare a casa e accendo la televisione per il gran finale. Mi entra un Roy Hogdson nell’occhio, lo inquadrano in tribuna a Wembley mentre parla serissimo con Southgate. Nel recupero sembra di stare in Promozione, con il City che la butta negli ultimi sedici metri e il Palace che la ricaccia lontano ma non la insegue nemmeno più. Pedate furiose. Tipo il negativo di Inter - Barcellona. A fine primo tempo Omar Marmoush, arrivato al City a gennaio per 75 milioni di euro, sbaglia un rigore. O se preferite Henderson glielo para. A vedere per bene il replay è una parata miracolosa, su un tiro forte e basso. E allora si comincia a crederci un po' di più.

Il Manchester City costruisce il solito piccolo assedio attorno alla porta di Henderson. Se guardate la passmap del City sembra davvero un piccolo assedio militare. È ovviamente una di quelle partite in cui la squadra più debole segna un gol con un tiro in porta, passandosi la palla quasi mai, facendo una partita puramente difensiva; una di quelle partite in cui Pep Guardiola viene punito dall'aleatorietà del calcio. Il portiere Henderson, cresciuto ovviamente nel Manchester United, è il migliore in campo.
Poi finisce e il Palace vince il primo trofeo della sua storia.
In strada non vola una mosca. Salgo al Triangle a vedere che aria tira e ci sono i beer garden addobbati di rosso e blu e la gente che beve, ma è la stessa gente di tutti i sabati pomeriggio, solo con le magliette diverse. C’è da fare il giro completo prima di sentire i clacson e fuori dallo Sparrhowks ci sono una cinquantina di persone che sventolano le bandiere alle macchine che passano e queste strombazzano e fanno ciao.
Chiedono a un tifoso fuori da Wembley cosa significa per lui, e risponde che per lui significa molto perché pensava di morire prima di poter vedere il Palace alzare una coppa. Ha aspettato per 70 quel momento e non pensava che lo avrebbe mai vissuto. Quindi sì, per lui significa molto.
Su una panchina c’è Paul con una pinta di sidro e la maglia del Palace e gli chiedo un po’ com’è la faccenda. Dice che lui in realtà tifa l’Ipswich perché è di lì, ma sono sedici anni che vive da queste parti e quindi è finito a tifare anche un po’ il Crystal Palace. È contento per il quartiere. Per la comunità. Ecco, questa cosa della comunità non si capisce troppo finché non ci sei dentro, perché suona tanto diversa rispetto all’Italia.
Pensi che vivere a Londra sia tipo stare a New York, la grande città dove passi inosservato e sei digerito dalla frenesia del formicaio. In realtà hanno sempre tutti in bocca il concetto di comunità: siamo un gruppo, siamo il vicinato, ci conosciamo, ci supportiamo. Ci credono. Nei gruppi Facebook chiedono e offrono lavoro, si interrogano su cosa sia quel cantiere aperto in fondo alla strada. Sostengono le riffe per raccogliere fondi per le scuole. Nei gruppi Facebook delle nostre città italiane invece è tutto un “ti ricordi”.
Aydan mi ripete il suo nome almeno tre volte e prova a scandire come si scrive, ma ha la bocca talmente impastata che forse non è vero che si chiama Aydan, ma lo do per buono. Si interrompe ogni volta che passa un’auto con le bandiere e salta in piedi a gridare “Eagles!”. Lui a Crystal Palace c’è nato. Dice che “per il City significava solo un altro trofeo, per noi significa tutto”. Poi scatta e agita la sciarpa davanti a una Vauxhall. Una ragazzina con la faccia dipinta gli risponde con una bandierina fuori dal finestrino e gli manda un sorriso tutto rotto dei denti definitivi che le stanno crescendo.
Il 157 scivola giù dalla collina e ci salto sopra per andare allo stadio, perché per me che sono italiano se una squadra vince è lì che ci si trova. Attraverso South Norwood e tutta un’infilata di casermoni di case popolari. Di fianco al minimarket c’è un punto scommesse della Ladbroke con la vetrina tenuta insieme dal nastro adesivo, perché capita sempre che salti una bolla all’ultimo e la colpa sia della vetrina. Chissà quanti hanno giocato sul Palace vincente, oggi.

Scendo a Clifton Road e in cinque minuti sono nel parcheggio dello stadio, che poi è quello del supermercato. Solo famiglie che fanno la spesa. Dietro l’angolo c’è il Clifton Arms. Entra gente appena atterrata da Wembley, entrano padri e madri con i figli avvolti nelle bandiere dell’Inghilterra e gli occhi stanchi. Una ragazza chiede alla barista se ha visto suo padre. Ci sono i palloncini e le bandiere, le foto di vecchie glorie. C’è anche un disc-jockey e fa partire “Glad all over”.
È una canzone romantica del 1964 e come a volte capita per le squadre inglesi non ha niente a che vedere con il calcio, però i tifosi se la sono presa e ne hanno fatto un inno. Dice che se tu mi dici che mi ami io mi sento felice. Tutto lì. Eppure funziona. Il disc-jokey grida nel microfono sopra le lucette verdi e rosa e azzurre di cantarla tutti insieme ancora una volta e la gente ubbidisce. Esco e passo sullo zerbino con l’aquila del Palace e torno a Croydon.
Davanti al The George c’è lo stesso numero di persone di dodici ore fa. Immagino che tra poco chiuderanno. Un vecchio si lamenta del calcio. Non del Crystal Palace, del calcio in generale. Lui voleva stare tranquillo nella sua tuta verde dell’Adidas a bere una birra e prova fastidio che ci sia tutta questa eccitazione nell’aria. Ogni tanto qualcuno grida “Eagles!”. Passo ancora dal Boxpark. Stanno smontando le transenne.
È ora di tornare a casa. Mi auguro che Aydan ci sia già da un pezzo, perché domani avrà un mal di testa mortale. Immagino la ragazzina del Clifton Arms ci stia rientrando dopo aver ritrovato nella calca il suo papà, che magari le racconta di Attilio Lombardo. La via dei negozi è vuota, l’unico rumore viene dallo scoppiato di crack sul gradino di Mark & Spencer che russa nel suo sacco a pelo. Glad all over.