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Marco D'Ottavi
Vita e miracoli di Cristiano Giuntoli
10 mag 2023
10 mag 2023
La carriera di uno degli artefici del terzo scudetto del Napoli.
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Marco D'Ottavi
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IMAGO / HochZwei/Syndication
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Cristiano Giuntoli entra dopo Paolo Sorrentino. A chiamarlo a gran voce è Aurelio De Laurentiis, il padre e padrone del Napoli e, in quel momento, della festa per il terzo Scudetto. Il direttore sportivo attraversa il pasillo di fuochi pirotecnici, una sciarpa azzurra sopra all’abito blu, la camicia bianca con l’ultimo bottone aperto. La prima cosa che fa, mentre lo stadio ancora lo acclama, è ringraziare il presidente e Andrea Chiavelli che «mi hanno cambiato la vita». Dopo qualche altra frase di circostanza Giuntoli chiude con un saluto che sembra un addio: «non preoccupatevi del futuro: io sono qui da otto anni e sento sempre parlare di chi va via e di chi rimane. Io dico che nelle mani di Aurelio De Laurentiis non ci sarà mai un problema e sarà sempre un grande Napoli».Della vittoria del Napoli è l’eminenza grigia, l’uomo che ha mosso i fili dietro la quinte, che ha portato in città gli eroi Kvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen. Sono anni che il suo lavoro viene incensato per la grande capacità di tenere i conti in ordine, di comprare bene e vendere ancora meglio, ma certo la rosa di quest’anno è il suo capolavoro. Ma chi è Giuntoli? Da dove arriva? Il lavoro del direttore sportivo rimane ancora piuttosto enigmatico, ma la sua storia - mentre Juventus, Manchester United e Tottenham se ne contendono l’assunzione - è interessante per capire come si diventa bravi in questo mestiere.

Passando per CarpiFiorentino di nascita, Giuntoli cresce dentro al bar del nonno dove, come racconta in questo Ted Talk dal titolo L’applicazione oltre il talento, i clienti parlano continuamente di sport, soprattutto calcio e ciclismo. Inizia a giocare nel Prato, in C2, come difensore centrale («era un vecchio libero, tutto botte e cazzotti» dirà Vieri che era nelle giovanili della squadra toscana). Nel frattempo studia architettura, dà 19 esami, ma poi sceglie il calcio e una carriera che si srotola principalmente tra i dilettanti (Colligiana, Imperia, Latina, Savona, Sanremese). Nel 2007, dopo il ritiro, va a Coverciano e prende il patentino da allenatore Uefa-B; poi dritto a Firenze dove si laurea all’ISEF. Subito dopo lo ritroviamo nello Spezia, dove svolge il ruolo di vice allenatore (anche se questa parentesi è poco chiara). Un’esperienza che dura poco, perché arriva la chiamata del Carpi, la chiamata che gli cambia una prima volta la vita. A Carpi non fa parte dello staff tecnico, ma svolge il ruolo di vice direttore sportivo. Già a ottobre però il presidente Stefano Bonacini lo promuove, affidandogli tutta la gestione sportiva della squadra, in quel momento in Serie D. Lui accetta, ma ha una condizione, «se mi fai mandare via dodici-tredici calciatori dell’attuale rosa». Da quel momento inizia una scalata incredibile, che porta il Carpi nel giro di una manciata di anni fino in Serie A. Nel suo lavoro Giuntoli viene raccontato come maniacale: controlla tutto, dall’erba del campo all’alimentazione dei giocatori, fino agli alberghi per i ritiri («Lì non puoi risparmiare, i giocatori devono stare bene ed essere contenti» è la sua teoria). Soprattutto sviluppa un sistema di - come lo chiama lui - lavoro e sacrificio, dove niente è lasciato al caso. È completamente dedito alla causa, gira per i campi, osserva i giocatori, li studia, intreccia relazioni con tutti. Senza grandi risorse lavora sulla ricerca: «Io prendo ragazzi gratis dai dilettanti, ho tre collaboratori e tanti amici che mi fanno segnalazioni, poi c'è il computer per lo scouting, ma l'ultima parola resta la mia». Tutto quello che deve fare un DS - collaboratori, scouting, intuito, relazioni - con Giuntoli funziona e il Carpi sale di categoria in categoria, fino a dominare in Serie B.È questo il momento in cui il suo nome e il suo lavoro inizia a circolare sui giornali. Del miracolo del Carpi che arriva in A con qualche impiegato e uno stadio da 3000 posti, lui è il mago del mercato, l’uomo che ha fatto le nozze coi fichi secchi creando una squadra competitiva con due spicci. Il Carpi è composto quasi unicamente da giovani italiani arrivati dalle categorie inferiori. Uno di questi è Kevin Lasagna, che Giuntoli è andato a pescare all’Este, squadra di dilettanti in provincia di Padova. Fabrizio Castori, l’allenatore di quella squadra, anche lui scelto da Giuntoli, raccontò che a convincere il ds furono dei video in cui «andava talmente veloce che usciva fuori dall'inquadratura». Ma sono sue intuizioni anche Roberto Inglese, preso dal Lumezzane, Gaetano Letizia dall’Aversa Normanna e Riccardo Gagliolo dall’Imperia, tutti giocatori che poi hanno avuto discrete carriere tra A e B.

In quei giorni, mentre si viviseziona l’impresa del Carpi, molti gli chiedono quale sia il suo segreto. Giuntoli non si fa pregare, usa frasi da DS, queste figure a metà tra i santoni e gli architetti: «Li scelgo grossi e pesanti, oppure piccoli e agili: devono avere una qualità fisica che colpisca, in un'orchestra servono i tromboni e i violini. Ci vuole coraggio con i giovani, ma è un rischio calcolato. Abbiamo tagliato il budget del 40%, volevamo solo salvarci, siamo in cima: abbiamo azzeccato tante scommesse e scelto l'uomo giusto in panchina». Tra i tanti acquisti azzeccati al Carpi, quello che gli svolta la carriera è Jerry Mbakogu. Pescato a Padova, preso in prestito infortunato e poi tenuto al Carpi dopo il fallimento del club veneto, Mbakogu è il pezzo pregiato del Carpi grazie a una stagione da 15 gol in Serie B. Tra i club che corteggiano l’attaccante c’è anche il Napoli, che - come succede in questi casi - si mette al tavolo con Giuntoli. È lì che scatta la scintilla con De Laurentiis. Mbakogu rimane a Carpi, mentre Giuntoli fa le valige e finisce a Castelvolturno.I primi anni al NapoliÈ il 2015 e il Napoli sembra ridimensionarsi, dopo il biennio sfarzoso e incompiuto con Benitez. Insieme a Giuntoli, chiamato a sostituire Bigon, arriva infatti anche Maurizio Sarri in quello che viene definito dai giornali il ticket operaio, due toscani partiti dai dilettanti per arrivare fino alla cima del calcio italiano grazie all’umiltà e alla cultura del lavoro. Il Napoli è per la prima volta in rosso di bilancio e allora Giuntoli deve plasmare una squadra a immagine e somiglianza del suo allenatore senza grande budget. Dall’Empoli arrivano Mirko Valdifiori e Elseid Hysaj, che però sono praticamente acquisti di Sarri. I suoi primi veri colpi, al termine di quella che Giuntoli chiamerà «la trattativa più estenuante della mia carriera», sono Allan, preso dall’Udinese in cambio di 12 milioni, Britos e il prestito biennale di Duvan Zapata. Il primo mercato di Giuntoli passa sotto traccia, tanto che si parla quasi più dei suoi modi decisi poco adatti a un DS di una grande squadra che non del mercato. In ritiro, ad esempio viene alle mani con De Guzman (una rissa di cui poi racconterà il giocatore olandese: «Ero nello spogliatoio e mi disse: “ehi, pezzo di m..., vieni qui. Tu te ne andrai, l'hai promesso”. E io: “Non ho promesso niente”. E all'improvviso mi ha colpito in faccia»). La sua figura viene sovrastata da quella di Sarri, che prima convince Higuain a rimanere e poi passando dal rombo al 4-3-3 trova la quadra perfetta nei giocatori già in rosa (l’argentino, Hamsik, Koulibaly, Ghoulam, Callejon, Jorginho, Insigne). In generale tutto il lavoro di Giuntoli nei primi anni a Napoli verrà sottostimato. Il merito di una rosa sempre competitiva sarà a più riprese dato a Benitez e al mercato del suo biennio; mentre per le prestazioni e la crescita dei giocatori a Sarri. A Giuntoli però va riconosciuta almeno la capacità di sapersi muovere lungo tutti i piani del suo ruolo. Alterna acquisti giusti - Zielinski, Fabian Ruiz, Lobotka, Di Lorenzo, ad altri più o meno sbagliati - Pavoletti, Maksimovic, Rog, Verdi, Malcuit, ma quasi sempre è in grado di rivendere “bene” (è la qualità che a Napoli gli riconoscono di più e dopotutto non è banale: Allan ceduto a 25 milioni da separato in casa, Verdi ceduto al Torino che ne fa l’acquisto più costoso della sua gestione, Inglese venduto al Parma per 18 milioni).

Nascosto dietro a De Laurentiis, che occupa quasi tutti gli spazi mediatici del Napoli, Giuntoli passa ore e ore a guardare partite insieme a Pompilio, Micheli e Mantovani, che sono i suoi collaboratori più fidati. Qualche anno fa, ad esempio, raccontò di aver visto un giovanissimo Patrik Schick «in una partita che sembrava tra scapoli e ammogliati in un campetto della periferia di Serie B slovacca. [...] Corsi a svegliare il mio braccio destro Giuseppe Pompilio: erano le tre di notte. Gli dissi: “Guarda, ho visto un giocatore davvero forte”». Altrettante però ne passa a parlare con procuratori, giornalisti, altri collaboratori sparsi per il mondo. I calciatori che gli interessano vengono scrutinati, valutati anche dal punto di vista personale. Il caso emblematico è quello di Pepè del Lille: Giuntoli lo visiona tantissime volte, lo studia in maniera quasi ossessiva, prima di rinunciare all’acquisto, che sarebbe stato il più costoso della storia del Napoli. Lo prenderà l’Arsenal e sarà un fallimento. Gli ultimi mercati e l’affare Kvaratskhelia Giuntoli passa attraverso l’ammutinamento del 2019 sotto Ancelotti. Si vocifera, addirittura, che De Laurentiis abbia attribuito al DS, che pare non avesse un buon rapporto con l’allenatore emiliano, responsabilità sull’accaduto. È poi lui a spingere per Gattuso e a guidare, nell’estate successiva, la rifondazione. Il primo grande tassello è Osimhen, comprato dal Lille per 50 milioni più contropartite tecniche in piena pandemia, con la stagione ancora in corso e un futuro incerto. All’epoca fu considerato un rischio enorme, una delle poche spese di alto profilo di quel mercato, dove tutti erano alle prese con la contrazione delle entrate e quindi con grandi difficoltà nell’investire su un profilo rischioso (e, forse, è per questo che il Napoli vinse la concorrenza della Premier League). Giuntoli racconterà di seguire il nigeriano quasi quotidianamente da oltre cinque anni, da quando si era messo in mostra nel Mondiale U17 (dove fu capocannoniere).

Nello stessa sessione arriva anche Rrahmani, in quella precedente - a gennaio - erano arrivati Demme e Lobotka. Se il primo sarà una meteora, il secondo è indicativo della parabola di Giuntoli al Napoli. Per quasi due anni, infatti, il DS verrà massacrato per il suo acquisto: 25 milioni per un centrocampista sovrappeso e ai margini della squadra. Con Spalletti invece Lobotka diventerà uno dei migliori centrocampisti della Serie A. Stesso destino con Anguissa, preso negli ultimi giorni del mercato estivo 2021, con un prestito ridicolo (500 mila euro) e un riscatto fissato (e poi esercitato) a 15 milioni. È però l’ultimo mercato estivo quello che rimarrà - forse per sempre la Gioconda di Giuntoli, 60 giorni in cui ha rivoltato il Napoli come un calzino, abbassando i costi e alzando il valore della rosa. Lasciati andare Insigne, Ospina e Mertens alla fine di (onerosi) contratti e ceduti per un totale di oltre 60 milioni Koulibaly e Fabian Ruiz, Giuntoli ha portato a Napoli Kim Minjae e Kvaratskhelia per circa 30 milioni (oltre a un forte investimento su Raspadori, Oliveira a 16 milioni dal Getafe, Simeone a 15). Sono due operazioni abbastanza emblematiche del lavoro del DS. Kim, racconta Giuntoli, gli viene segnalato da Massimiliano Maddaloni, vice di Lippi in Cina quando è ancora in Corea; Kvaratskhelia, invece, da Cristian Zaccardo mentre sta emergendo come aletta dribblomane al Rubin Kazan. Non sono due giocatori sconosciuti agli scout, ma il DS e i suoi collaboratori arrivano prima, seguono meglio, si fanno un’idea precisa e così sono più pronti quando si tratta di andare a prendere il calciatore. Come ha detto lo stesso Giuntoli, «una cosa è “scoprire” un calciatore e un'altra è andare a prenderlo» e, soprattutto, prenderlo al momento giusto, per il prezzo giusto. Nel caso di Kvaratskhelia, come ripeterà più volte Giuntoli, il momento giusto è lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina. Se la richiesta del Rubin di 30 milioni di euro aveva gelato tutte le squadre interessate, la diaspora dei calciatori del campionato russo dopo il 22 febbraio 2022 ha spinto Giuntoli ad agire. Avvertito da Spalletti - che ha contatti in Russia per aver allenato lo Zenit - che la concorrenza stava per muoversi, il ds si muove che è ancora marzo andando a prenderlo quasi di peso dalla Dinamo Batumi, club georgiano dove si è rifugiato Kvara, per portarlo in Italia e fargli firmare il contratto. Il resto, come si dice in questi casi, è storia. È curioso come nello stesso periodo in cui Giuntoli ha costruito la squadra Campione d’Italia con calciatori periferici o poco conosciuti (si potrebbero aggiungere gli acquisti di Di Lorenzo, Mario Rui, Politano) è stato più o meno vicino a portare a Napoli calciatori come Haaland, Ibrahimovic e Cristiano Ronaldo. Il lavoro del DS funziona un po’ per sottrazione: tante possibilità e poi bisogna vedere chi si può prendere e, soprattutto, chi conviene prendere. Questa sembra la parte del lavoro in cui Giuntoli eccelle, grazie a una solida base di collaboratori, conoscenze, dati, ma anche a un certo intuito, quella capacità intangibile di vedere qualcosa oltre l'esperienza diretta. All'interno del Napoli di De Laurentiis, una società con una gestione peculiare ma a suo modo virtuosa, questo suo modo di lavorare ha funzionato bene. Ora il ds sembra intenzionato a provarlo altrove, dove ci sono più soldi, probabilmente, e la possibilità di ambire a vittorie più importanti e continue. Sarà interessante scoprire se funzionerà ancora, come una formula magica. 

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