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Sport Nicola Palmiotto 24 luglio 2015 7'

Giro di boa

L’All-Star Game è l’occasione per tirare le somme sulla prima metà della stagione MLB.

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Il giro di boa della stagione di baseball cade ufficialmente, sebbene non matematicamente, durante la pausa per l’All-Star Game, che si tiene di solito il secondo o terzo martedì di luglio. Se fino a qualche anno fa la partita, che mette di fronte una rappresentativa dell’American League a una della National League, era in pratica una passerella che permetteva ai tifosi di ammirare l’intera volta celeste del baseball, dal 2003 possiede un valore molto più importante: la selezione che vince si aggiudica il vantaggio del fattore campo durante le World Series, ovvero giocare in casa le prime e le ultime partite della finalissima. Il meccanismo di selezione dei giocatori e di composizione del roster è abbastanza complesso e prevede il voto dei tifosi, che designano la line-up titolare delle due squadre, quello degli allenatori (i due vincitori del pennant della passata stagione) e dei giocatori che scelgono i lanciatori e le riserve. Per non farsi mancare niente esiste anche un ballottaggio finale per scegliere l’ultimo giocatore in una rosa ristretta di soli 5 atleti.

 

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Mike Trout, MVP 2015.

 

L’86.esima edizione, in programma il 14 luglio scorso, si è giocata al Great American Ball Park di Cincinnati. Una volta resi noti i roster a 34 giocatori ha fatto molto rumore l’esclusione di Alex Rodriguez, autore di una stagione 2015 fin qui di assoluto rilievo. Il newyorchese non solo non ha riscosso la fiducia dei tifosi, ma anche degli allenatori e perfino dei colleghi giocatori, provando a mascherare l’inevitabile delusione dietro un banale: «Penso solo agli Yankees, spero che l’American League vinca la partita». L’esclusione però deve avergli fatto male, anche perché nemmeno la solita tesi del coinvolgimento nello scandalo Biogenesis sembra trovare ragion d’essere. Infatti Nelson Cruz, sospeso per l’analoga vicenda, è stato regolarmente convocato.

 

È andata invece sicuramente meglio ad assi come Albert Pujols, partito titolare per l’infortunio occorso a Miguel Cabrera, Andrew McCutchen, schierato per un analogo motivo al posto di Giancarlo Stanton e anche a Clayton Kershaw, due volte di fila vincitore del CY Young Award, ma quest’anno autore di una stagione piuttosto anonima per le sue potenzialità, arrivato a Cincinnati per il rotto della cuffia grazie alla rinuncia di Max Scherzer, che all’ultimo momento è stato costretto a giocare in campionato la domenica precedente.

 

Tra i convocati invece è risultata foltissima la pattuglia dei giocatori dei Kansas City Royals, che hanno portato ben tre giocatori nella formazione titolare: l’esterno Lorenzo Cain, il catcher Salvador Pérez e l’interbase Alcides Escobar (sarebbero stati addirittura quattro se Alex Gordon non si fosse fatto male), più Mike Moustakas tra le riserve e ovviamente il coach Ned Yost. Molti hanno espresso dubbi sul meccanismo di voto online, considerato che a un certo erano addirittura 9 i Royals presenti in squadra. I giocatori che hanno raccolto più voti sono stati Josh Donaldson dei Blue Jays, con oltre 14 milioni, e l’asso dei Washington Nationals Bryce Harper, che ne ha conquistati 13,8 milioni, stabilendo un primato per la National League. Sorprendente infine la convocazione del rookie dei Cubs Kris Bryant, arrivata meno di tre mesi dopo l’esordio in MLB.

 

 

La partita è finita 6-3 per l’American League, che si è così assicurata il fattore campo per il terzo anno consecutivo. Ovviamente ha brillato la stella di Mike Trout, che per la seconda volta consecutiva (è la prima volta che accade nella storia del baseball) si è portato a casa la mazza di vetro, simbolo del migliore giocatore della partita. Il coach Ned Yost ha spiegato: «Quando guardi Mike non vedi soltanto un 23enne. Vedi un ragazzo che è uno dei migliori giocatori di baseball sul pianeta». L’esterno degli Angels, al primo turno in battuta ha immediatamente punito il lanciatore dei Dodgers Zach Greinke, autore per il resto di una prova solidissima. Al quinto inning invece si è reso protagonista di una giocata delle sue, correndo a razzo dalla seconda a casa base e segnando il punto del 2-1. La National League, che ha sfruttato la superba prestazione sul monte di Jacob deGrom dei Mets (3 battitori eliminati al piatto in soli 10 lanci), si è rifatta sotto nel sesto inning con l’home run messo a segno da McCutchen, ma si è dovuta arrendere all’RBI di Machado e al fuoricampo singolo di Dozier alla penultima ripresa.

 

L’Home Run Derby

todd frazier

 

L’antipasto di ogni All-Star Game è l’Home Run Derby, che si disputa il giorno prima della partita delle stelle. In linea con l’idea di velocizzare il gioco—che ha condizionato molte nuove regole introdotte nel 2015—anche la spettacolare sfida a colpi di fuoricampo tra le migliori “mazze” d’America ha subito profondi cambiamenti. La più importante è stata l’introduzione di un limite di tempo, ovvero un massimo di 5 minuti durante i quali i battitori dovevano buttare oltre gli spalti il maggior numero di palline possibili. Ulteriori bonus, in termini di secondi extra, venivano poi aggiunti agli home run che finivano più lontano. Una competizione di pura potenza, senza dubbio molto diversa dalle precedenti, in cui si premiavano invece i giocatori più costanti e più consistenti. L’altra innovazione è stata invece far affrontare i primi otto “capocannonieri” della stagione regolare in un tabellone a eliminazione diretta. Il risultato è stato uno show più fresco, che ha dimezzato i tempi morti e che da subito ha entusiasmato i tifosi, offrendo loro tutta la tensione delle sfide testa a testa.

 

Ad approfittare delle nuove regole è stato l’idolo di casa, Todd Frazier, che ha vinto la sfida eliminando nell’ordine il redivivo Prince Fielder 14-13 nei quarti, Josh Donaldson 10-9 in semifinale, grazie a un doppio home run negli ultimi secondi, e regolando in finale l’esplosivo rookie dei Dodgers, Joc Pederson, 15-14.

 

 

Decisiva per la vittoria di Frazier la prestazione del fratello Charlie, che lanciava palline a ripetizione portando al limite estremo la regola che permetteva di mettere per aria una pallina solo dopo che la precedente avesse toccato terra. Frazier alla fine della serata ha collezionato 39 home run, decisamente molti di più rispetto allo scorso anno, in cui si arrese in finale a Yoenis Céspedes dopo una sfilza di vittorie 1-0 che forse soltanto «la Grecia a Euro 2004» fu capace di eguagliare, come scrive Michael Baumann su Grantland.

 

 

Non è passata per niente inosservata, considerato il boato dei tifosi dei Reds al momento del suo ingresso in campo, la figura del 74enne ex-idolo di casa Pete Rose. Una presenza un po’ controversa, considerato che dal 1989 sconta una squalifica a vita per una brutta storia di scommesse. Sul nome di Rose, che secondo le statistiche è l’attuale leader all-time per valide, numero partite giocate e apparizioni in base, permane tuttora una damnatio memoriae, considerato che è stato interdetto dalla Hall of Fame. Sono però insistenti le voci di una sua possibile riabilitazione, o per lo meno di una riapertura del caso a seguito di nuove prove emerse a suo parziale discarico.

 

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Hank Aaron e Willie Mays in versione giovani e sorridenti.

 

Come avviene ogni anno, una parte dell’All-Star game è stata destinata a tributare gli onori ai grandi del passato. Quest’anno è toccato ad Hank Aaron, 81 anni con bastone, e Willie Mays, 84, che hanno preso parte alla cerimonia del primo lancio insieme a Sandy Koufax e Johnny Bench. Di fronte però alle gesta di giovanissimi campioni come Mike Trout, Manny Machado e Jacob deGrom, la retorica destinata ad acclamare le stelle del passato è risultata un po’ più stanca, segno che il baseball viaggia ormai spedito verso una nuova epoca. Tirando le somme, è stato un bell’All-Star weekend, anche se non al livello delle vette emozionali raggiunte lo scorso anno con l’addio a Derek Jeter.

 

Metà stagione

saint louis cardinals

 

La pausa dell’All-Star Game è anche il momento destinato al primo vero, seppur provvisorio, bilancio della stagione. In genere per molte squadre questo periodo funziona da vero e proprio spartiacque: il numero di partite giocate è abbastanza alto per capire se gli obiettivi stagionali siano ancora alla portata o se invece siano già sfumati.

 

Nell’American League è questo il caso di Boston e Seattle. Soltanto qualche mese fa le avevamo (compreso il sottoscritto) pronosticate come sicure vincitrici delle rispettive division, invece arrancano nei bassifondi della classifica, con rispettivamente il primo e il terzo peggior record della AL. Suscita clamore il caso dei Mariners, che nonostante la campagna acquisti faraonica, con l’acquisto del potente battitore Nelson Cruz, la più costosa del team da 30 anni a questa parte, mancheranno i playoff, a meno di incredibili colpi di scena, per la 14.esima volta consecutiva. Proprio il settore offensivo sembra quello indiziato di maggior colpe: 28.esimi in media battuta e 24.esimi nella OPS (on base + slugging) di tutte le Majors. Il tallone d’Achille di Boston pare invece sia sul monte di lancio, considerato che la media punti guadagnati sul lanciatore è la terza peggiore d’America.

 

Delle disgrazie in quel di Fenway Park staranno ridendo gli Yankees, sorprendentemente primi nell’American League East con più di 50 vittorie. Nell’American League meglio dei Bronx Bombers hanno fatto finora soltanto Kansas City. I Royals stanno confermando quanto fatto di buono nel 2014 (sconfitti in gara 7 delle World Series) e attualmente conducono la Central con più di sette gare sui, peraltro ottimi, Minnesota Twins. In realtà le cose più divertenti dell’American League si stanno vedendo nella West, dove promette scintille la sfida tra gli Angels e Astros. Houston, la più grande sorpresa del 2015, ha lungamente guidato la division, per poi cedere a una serie negativa che ha permesso ai californiani, guidati da Pujols e Trout (primo e secondo nella classifica degli home run), il sorpasso.

 

A maggio però gli Houston Astros facevano cose del genere.

 

Nella National invece tutto secondo copione. Brilla luminosissima la stella dei Cardinals, autori finora di una stagione di assoluto dominio con ben 60 vittorie (potrebbero arrivare a 100 secondo le proiezioni), che ha messo in ombra nella Central le ottime performance di Pittsburgh e Chicago Cubs, staccate di 6 e 9 partite nonostante record ampiamente superiori al .500. Sarà invece un testa a testa fino alla fine lo scontro per il titolo della East tra Washington e NY Mets, e nella West tra Dodgers e San Francisco.

 

https://www.youtube.com/watch?v=1tulVfiXq8g

Gli highlights della sfida tra i Cardinals e i Cubs.

 

Sorridono i tifosi della baia, perché nonostante le infauste previsioni che gli anni dispari portano loro in dote (hanno vinto le World Series nel 2010, 2012 e 2014), potrebbero finalmente sfatare la leggenda. Provengono dalla National infine le due peggiori squadre dell’MLB finora: Philadelphia (solo 34 misere vittorie) e Miami, che ha pure perso per infortunio Giancarlo Stanton. Per loro è già tempo di concentrarsi sul 2016.

 
 

Tags : all-star gameamerican leaguechicago cubsmlbnew york yankees

Nicola Palmiotto vive a Giovinazzo e tifa l'AS Bari. Laureato in lettere classiche per scommessa (persa), soffre d’insonnia e per questo ha imparato ad amare gli sport americani.

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