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Giorgio Petrosyan, il più forte kickboxer di sempre
02 mar 2020
02 mar 2020
Il fighter italiano di origine armena è già una leggenda.
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14 min
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Quando ho iniziato a seguire Giorgio Petrosyan ero appena adolescente e in quel periodo era difficile immaginare, prima che entrasse all’interno del quadrato, che avesse qualcosa di speciale. Come si dice, meglio non giudicare un libro dalla copertina. Nel caso specifico, il libro di Petrosyan racconta la storia del cosiddetto broken native. La storia cioè dell’uomo che deve abbandonare il luogo dov’è nato per perseguire fini maggiori, più importanti; del ragazzino forgiato da problemi più grandi di lui, da situazioni che si superano grazie a quelle qualità tipiche degli individui che nel mito ci entrano davvero. Un tipo di storia che potremmo definire archetipica negli sport di combattimento e che per esempio accomuna Petrosyan a Israel Adesanya, tanto per fare un esempio nelle MMA contemporanee. La copertina, però, l'impressione che dava a un primo sguardo, non lasciava immaginare che fosse anche la storia del più grande kickboxer di sempre.

Quello che invece si notava subito vedendolo combattere, anche nei primi anni della sua carriera, era l’importanza della kickboxing e, forse ancora di più, della muay thai, all’interno della sua vita. Si vedeva, cioè, che Petrosyan era uno che viveva per combattere. E l’aspetto più straordinario oggi è che il rapporto si è invertito: adesso è lui ad essere imprescindibile se si vuole parlare di kickboxing. La sua grandezza è riconosciuta in tutto il mondo ed è stata confermata per l’ennesima volta (se ce ne fosse stato bisogno, e non ce n’era) con la vittoria finale nel torneo di One Championship, lo scorso ottobre, superando in finale il forte francese Samy Sana e vincendo l’assegno da un milione di dollari. Lo scorso gennaio a combattuto di nuovo, battendo un altro francese, Gaetan Gambo, e portando a 103 le sue vittorie in carriera su 108 incontri (con 2 sconfitte, 2 pareggi e 2 no contest). Semplicemente incredibile.

Da dove viene la sua voglia di combattere

Giorgio Petrosyan è nato con il nome di Gevorg, il 10 dicembre 1985, a Yerevan, capitale dell’Armenia, allora Repubblica Socialista Sovietica Armena. A soli 13 anni, insieme al padre e al fratello maggiore Stepan, affronta un viaggio di ben 10 giorni per entrare in Italia, nascosto nel retro di un autocarro. Poi segue il padre a Milano e a Gorizia, dove alla fine si stabilisce. Solo successivamente riesce a ricongiungersi con la madre, la sorella e il fratello minore Armen, anche lui kickboxer professionista. 16 anni dopo ottiene la cittadinanza italiana per meriti sportivi, con un lettera firmata dall’allora ex-Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

L’aspetto civico più interessante della sua storia è che Petrosyan, con la sua carriera, ha lucidato il prestigio sportivo dell’Italia nel mondo del combattimento senza essere ufficialmente un cittadino italiano, ma vivendo a tutti gli effetti da italiano, adottando lingua, gli usi, i costumi. Petrosyan si è letteralmente guadagnato la cittadinanza con il proprio sangue. Anzi, sarebbe meglio dire con quello dei suoi avversari. Perché dotato di un’intelligenza tale da permettergli, in quasi vent’anni di combattimenti, di subire pochissimi danni (paradossalmente, il danno più grande se l’è autoinflitto alla mano, colpendo gli avversari).

Ma per arrivarci, a quell’intelligenza, Petrosyan ha dovuto seguire un lungo percorso. Una crescita che parte da Trieste, che lo ha plasmato attraverso l’importanza di cui gode la muay thai nella città friulana. È grazie a questa che ha beneficiato degli insegnamenti di veterani nak muay, che spesso passano proprio da Trieste per degli stage o per rimanere ad insegnare. Ha iniziato ad allenarsi molto giovane, appena arrivato in Italia, troppo giovane anzi, al punto che inizialmente gli è stato impedito. È cresciuto nella palestra Satori Gladiatorium Nemesis gestita da Alfio Romanut e per un periodo ha dovuto lavorare come muratore per mantenersi, fino a quando (grazie anche all’aiuto del manager Carlo Di Blasi) ha ottenuto i primi contratti esclusivi con cui vivere della propria professione.

Il momento in cui il mondo della kick-boxing si è accorto di Petrosyan arriva nel 2009, durante il K-1 MAX, un torneo che si tiene in Giappone e che ha come obiettivo quello di stabilire chi sia il miglior kickboxer al mondo nella categoria che va fino a 70 kg. Petrosyan è l’unico fighter nella storia della kick-boxing a vincere due edizioni di fila del torneo (2009 e 2010) e il quarto a vincerne due in totale, insieme a Buakaw Banchamek, Masato e Andy Souwer, che ha battuto in finale.

Il match che ha contribuito alla sua fama però è quello dei quarti di finale contro Albert Kraus, fighter olandese vincitore del primo torneo K-1 World Max (nel 2002). Sebbene Kraus sia uno dei kickboxer più importanti e famosi al mondo, nel corso del primo round non riesce nemmeno a trovare la distanza giusta da cui scambiare: merito di Petrosyan, ovviamente, che inizia a toccarlo con jab fulminei, teep d’arresto e diretti, uscendo in linea laterale dai tentativi di rientro dell’olandese. Un suo diretto sinistro, nello specifico, sfonda la guardia di Kraus, che nel corso della prima ripresa fa registrare solo qualche combinazione tra corpo e figura, attutita dall’italiano, chiuso in guardia.

Era un incontro combattuto su tre round di tre minuti, con la possibilità di un extra round nel caso in cui i due contendenti si equivalgano. Petrosyan non ha avuto bisogno del quarto round, ha vinto per decisione unanime.

Generalmente, combatte girando sul lato forte, quello sinistro. Petrosyan è un southpaw, cioè un fighter mancino, ed è proprio il suo circolare nelle combinazioni in uscita a farla da padrone. Che il calcio sia basso o medio riesce quasi sempre a trovare l’obiettivo. Non cerca molti headkick, preferisce andare al corpo o alle gambe, riguadagnare il tempo ed essere sempre padrone del match. A questo unisce un modo di fintare lo rende ingannevole: di solito si basa su un movimento minimo con il braccio avanzato, in modo da provocare una reazione da parte dell’avversario e creare un’apertura che poi verrà utilizzata a proprio vantaggio. Uno stile di fronte al quale si sono trovati in difficoltà anche atleti d’élite, che non riescono a trovare la distanza. In finale contro Andy Souwer, a un minuto dall’inizio del secondo round, mette in mostra tutte le sue qualità con una combinazione di colpi diretto sinistro- gancio destro-leg kick sinistro, seguita da una schivata su un diretto del suo avversario e la ripetizione di quella stessa combinazione.

Ma oltre all’efficacia Petrosyan è dotato di un’innata eleganza. È un fighter tradizionale nello stile, ma il suo timing ed il controllo delle distanze fanno sì che i suoi movimenti siano anche uno spettacolo per gli occhi. Kraus, sempre nei quarti di finale di quel torneo del 2009, a un certo punto cerca di accorciare ed avanzare per entrare nella guardia dell’italiano, anche mangiando qualche colpo, ma Petrosyan lo colpisce in arretramento, gira lateralmente, come un torero che porta a passeggio il toro.

Il terzo round parte in maniera molto carica da entrambi i lati ma il copione rimane lo stesso: Kraus insegue Petrosyan, l’italiano lo manda a vuoto e rientra con colpi veloci e potenti. La lucidità inizia a calare e l’olandese e Petrosyan, che ormai ha preso le misure, comincia a schivare in automatico. Albert Kraus non perdeva da sette match e poteva vantare una vittoria sul leggendario Buakaw. Dopo quella sconfitta, ha vinto altri cinque incontri di fila, per tornare a perdere ancora contro Petrosyan un anno dopo, nei quarti di finale del K-1.

Il Dottore

Quella vittoria è la prima pietra dell’incredibile record sportivo di Petrosyan, che gli è valso il soprannome “The Doctor”, perché è capace di attendere fino all’ultimo istante per anticipare l’avversario in maniera chirurgica grazie a un timing stellare, forse la sua qualità più importante. Insieme ovviamente al gancio sinistro, ai leg kick capaci di distruggere footwork, gameplan e certezze dei suoi avversari.

Non stupisce però che uno stile così peculiare abbia attratto a Petrosyan anche alcune critiche, per l'impostazione da "decision fighter", con qualità difensive eccelse ma anche poca spettacolarità. Per alcuni, cioè, il suo è uno stile troppo cerebrale. Ma è grazie alla sua intelligenza se ha ricevuto meno danni possibili, incrementando il proprio ritmo solo davanti a un avversario in difficoltà, senza mai schiacciare sull’acceleratore a meno che vedesse un’apertura concreta. Petrosyan ama controllare il match, anticipando i colpi dei suoi avversari, mandandoli a vuoto e sorprendendoli arrivando a bersaglio per primo. Rompendo gli schemi, frustrando gli avversari.

Ora, chi è entrato in una palestra di kickboxing o di muay thai sa che gli stili principali di striking che si insegnano sono sostanzialmente due. Il primo è il modo “più thailandese” di combattere, la muay thai appunto, fatta di teep (calci frontali atti a fermare l’avanzata dell’avversario), clinch, gomitate e ginocchiate. Con movimenti minimi della testa, sostituiti in certi casi da quelli più estremi del busto, calci in chiusura da ogni angolazione e un pugilato basico. E con grande attenzione al timing.

Il secondo è il cosiddetto “metodo olandese”, incentrato su un utilizzo più canonico del pugilato, per creare aperture al livello basso da sfruttare con violenti leg kick. I principali interpreti di questo stile sono appunto olandesi: dal leggendario Ramon Dekkers a Peter Aerts, passando per Ernesto Hoost, Melvin Manhoef e, fra gli altri, Remy Bonjasky (sebbene quest’ultimo abbia avuto anche il dono della spettacolarità e si sia concesso colpi molto creativi, tra i quali spiccavano estrose ginocchiate volanti).

Giorgio Petrosyan sta perfettamente a metà strada tra questi due stili, fondando quasi tutto il suo talento sul timing, con una completezza che gli permette di fronteggiare qualsiasi tipo di avversario. Normale, quindi, che alcuni non lo capiscano fino in fondo.

Una leggenda

Se volete un esempio dello stile unico di Petrosyan vi basta guardare il suo penultimo match, quello con il fenomenale Samy Sana. Il francese è noto al pubblico per i suoi match con impostazione aggressiva e per la bellezza che accompagna ogni suo movimento. È un fighter spettacolare e offensivo, con un record altrettanto incredibile di quello di Petrosyan: 135 vittorie, 12 sconfitte, 2 pareggi. Nel 2016 ha vinto il titolo mondiale di muay thai WBC nei super-medi sconfiggendo Eakchanachai Kaewsamrit.

Samy Sana era pronto per affrontare Petrosyan a ONE Championship: Century, il centesimo show di ONE. Oltre a Petrosyan, Sana e Phetmorakot, partecipavano anche altri grandi fighter eccelsi (Dzhabar Askerov, Yodsanklai Fairtex, Jo Nattawut, Andy Souwer ed Enriko Kehl). Il vincitore del torneo sarebbe stato considerato il kickboxer più forte in circolazione nella divisione dei pesi piuma. Prima dell’incontro con l'italiano di origine armene, Sana aveva battuto Yodsanklai e Askerov. Petrosyan aveva superato Phetmorakot e Nattawut.

La tensione è palpabile già dalle prime battute: Petrosyan avanza per cercare di far scoprire da subito Sana, che lo colpisce subito con un circolare alto misurato, poi carica troppo un secondo headkick che va a vuoto e finisce per scivolare al tappeto. Petrosyan finta col footwork verticalmente, da subito, finta un jab e affonda il diretto, va poi col destro e chiude con un leg kick: pare avere fin dall’inizio il timing migliore.

Sana è alto 190 cm, ben 12 in più rispetto a Petrosyan, ma l’imposizione della distanza breve favorisce l’italiano che, un po’ a sorpresa, un po’ per ovvie caratteristiche fisiche, è costretto a colpire dall’interno piuttosto che girando all’esterno come fa di solito. Mentre Petrosyan evita i calci circolari del suo avversario, bloccandone addirittura alcuni in linea bassa, riesce a mettere a segno degli splendidi circolari medi che impattano sulla cassa toracica di Sana, con il pubblico che non manca di sottolineare l’efficacia dei colpi con dei boati.

Sana, il cui soprannome è “AK47” (non c'è bisogno di spiegarlo), inizia a pressare Petrosyan che, con un sapiente uso del teep, continua a tenerlo a distanza e anticipa i colpi del franco-algerino grazie al preciso e sapiente utilizzo del jab. La maggiore mobilità gli consente di uscire dalla linea dei colpi dell'avversario, per rientrare spesso con colpi di braccia in counterstriking: agli sgoccioli del primo round, Petrosyan pare avere il pallino del match in mano.

All’inizio del secondo, Sana aumenta ulteriormente la pressione, ma i suoi colpi vengono parati da Petrosyan, che risponde con dei forti leg kick trovando la diagonale alle gambe scoperta. La differenza sostanziale, a questo punto, sta nel fatto che quando Sana riesce ad attutire i colpi di Petrosyan ma non riesce a centrarlo, mentre Petrosyan intercetta i colpi e risponde sempre in maniera pulita e concreta.

In ogni caso, Sana sembra voler accelerare. Il jab-montante a 45 gradi tipico di Petrosyan trova spesso la guardia avversaria, ma è sempre e solo un modo di aprire altre angolazioni, altri spazi. Varia il livello dei colpi tra volto, figura e gambe, non mancando di fintare determinati attacchi per poi arrivare a bersaglio con altri. Petrosyan è la personificazione dell’inganno: se Sana copre una parte, inevitabilmente ne lascia scoperta un’altra, il gioco sta nell'arrivare a bersaglio ancor prima l'avversario che capisca quale sia il colpo giusto da evitare. A metà del secondo round, si vede Sana alzare la gamba destra aspettandosi un leg kick, con Petrosyan che però ha già sparato il jab per rimettere la distanza ottimale e continuare a controllare senza affanno l’incontro.

Sana sembra frustrato e con i suoi ganci apre inavvertitamente la strada a colpi di braccia in linea retta da parte di Petrosyan, che in arretramento lo convince a non scoprirsi troppo. Esibisce anche il “passo del gigante” tipico della thai, che consiste nell’alzare la gamba avanzata per abbassarla di nuovo dopo un passo o anche sul posto. La mossa manda in confusione Sana, che rimane fermo e deve subire l’ennesima offensiva, che parte con un diretto e un gancio e termina con un violento leg kick. A quel punto Petrosyan si piega sul lato destro: è un buon momento per attaccare con overhand e montanti da angolazioni imprevedibili, che si infrangono sulla guardia sempre meno sicura di Sana.

È un gioco di demolizione al contrario, perché lo stile dei due dice che il francese dovrebbe attaccare e Giorgio colpire in counter, ma la sua abilità è talmente superiore che già a metà del secondo round ha imposto la propria strategia, costringendo un avversario aggressivo ad accettare il gioco dei ruoli per non incappare in violenti colpi in arretramento.

Nel terzo round, Sana sa che deve rimontare e parte in quinta. Comincia con un gancio sinistro, un gancio destro e un leg kick: Petrosyan para con facilità. Il match si fa sempre più concitato e i due non mancano di rientrare in clinch più volte e spesso l’azione si conclude con una ginocchiata per parte. Come era già successo nei round precedenti, mentre le combo di jab-diretto-gancio da parte di Sana vengono spesso mandate a vuoto, quelle con jab-diretto-leg kick di Petrosyan sembrano trovare il bersaglio.

Alla fine del terzo round va ancora a segno coi circolari alla gabbia toracica e schiva brillantemente il gancio a media altezza di Sana, un colpo iperutilizzato che non ha mai sortito l’effetto voluto dal francese. Nelle ultime battute, Petrosyan va a segno ancora col diretto, un diretto particolare, che pare partire come un gancio visto che l’italiano si sposta da un lato, ma che fa abboccare il francese, che allarga la guardia e deve mangiare il colpo che invece arriverà in linea retta.

Quando suona la campana Sana alza le braccia al cielo e si sbatte la mano sul petto, ma gli osservatori più attenti sanno che Petrosyan ha vinto.

È la vittoria che porta Petrosyan nella leggenda del suo sport e a diventare uno dei fighter più pagati in circolazione. Nell’intervista post-match dichiara di non avere tanto interesse nella vittoria del milione, quanto di aver dimostrato ancora una volta di essere il numero uno. Dopo l'incontro con Sana, come detto, ha battuto anche Gaetan Dambo, con la solita prestazione dominante, terminata con verdetto per decisione unanime. Una vittoria arrivata in occasione dell’evento “Petrosyanmania: Gold Edition” tenuto proprio in onore del fighter a Milano.

Adesso molti vedrebbero di buon occhio un match con qualche altra leggenda della kickboxe, magari Buakaw con cui ha un pareggio in carriera che potrebbe essere considerato un conto in sospeso. Oppure Saenchai, o ancora con il belga Youssef Boughanem, fenomeno in crescita.

In ogni caso, Giorgio Petrosyan a 34 anni ha già scritto la storia del suo sport: quanti altri atleti italiani possono dire la stessa cosa? Godiamoci ogni suo incontro come un momento memorabile. Perché lo sono.

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