
Il concetto di “più migliorato” è scivoloso e può dare luogo a dei malintesi. Anzitutto non vale per un calciatore al primo anno in Serie A - si intende migliorato rispetto alla passata stagione, nello stesso campionato (anche perché altrimenti avrebbe vinto Scott McTominay anche questo). Bisogna tenere presente il livello del giocatore in questione nella stagione precedente e considerare la differenza rispetto a quello attuale. Matematica soggettiva. Va da sé, però, che non stiamo parlando di vere e proprie sorprese. La forchetta tra un livello e l’altro, tra una stagione e l’altra, può essere ampia anche se il livello massimo raggiunto non è incredibile. E viceversa, non è detto che il giocatore col livello più alto - tra quelli che vi vengono in mente o tra quelli che la redazione di UU ha mandato al voto - sia anche il più migliorato.
Si spiega così la candidatura di Giovanni Di Lorenzo: uno dei migliori nella stagione del terzo scudetto napoletano, irriconoscibile in quella passata e poi, di nuovo, uno dei più affidabili, solidi, precisi e completi difensori del campionato in quella attuale (Rrhamani, per fare un altro esempio, ha giocato ad alto livello, ma la scorsa stagione non è stato così lontano come lui). Ed evidentemente si spiega sempre con la questione della differenza la preferenza dei nostri lettori per Moise Kean rispetto a Mateo Retegui.
Retegui ha segnato di più - ha più che triplicato i suoi gol, passando dai 7 gol Genoa ai 25 con l’Atalanta - ma evidentemente Moise Kean partiva da più in basso, almeno nella stima dei nostri lettori. Moise Kean lo scorso anno non ha segnato neanche un gol, ha giocato appena 11 partite, di cui 8 da titolare. Quando giocava stava per lo più sull’esterno, sembrava la tipica promessa non mantenuta, il tipico talento sfiorito al contatto con l’età adulta, come un reperto archeologico che svanisce a contatto con l’aria, fatto di sabbia. E invece nella Fiorentina, spostato al centro del campo, e al centro del progetto-squadra, è sembrato un centravanti vero. E pure di alto livello.
Non solo per i 19 gol in campionato (25 stagionali), ma per il peso specifico che ha nella trequarti avversaria. Moise Kean ha fatto un salto dimensionale da una stagione all’altra, prima era etereo e impalpabile, come si dice: fumoso - anche se nel suo modo di proteggere palla, squattando e piantando il bacino contro l’avversario, c’erano i prodromi del giocatore incontenibile che a tratti è stato in questa stagione; adesso è un giocatore in grado di fare da riferimento offensivo, creare pericoli da solo partendo anche da lontano ma creativo e letale sotto porta.
Ha fatto molti gol belli, che da soli funzionano benissimo come materiale da promozione. Quello “zlatanesco” contro il Genoa, in cui riceve spalle alla porta, in area di rigore, una punizione di Mandragora dritta per dritta dalla trequarti, e calcia in porta con una piroetta, di collo. Un gesto tecnico che la maggior parte degli attaccanti del campionato non può neanche pensare. Quello contro l’Atalanta in cui ruba palla a Hien in pressione e se ne va dalla linea di metà campo, calciando poi con precisione in diagonale sul secondo palo. Oppure quello con il Verona di inizio campionato, in cui lanciato direttamente da De Gea ingaggia un duello con Belahayane fatto di strappi e sterzate che lo porta a calciare in porta, ancora una volta con un tiro molto teso sul secondo palo.
In generale però è stata la sua capacità di sostenere lo scontro contro i difensori più fisici del campionato a stupirci e a farci dire: “Ah, ecco a cosa serviva quel talento!”. Moise Kean ha messo una base, piazzato un’asticella già parecchio in alto, e dovrà anzitutto confermarsi a questi livelli anche l’anno prossimo. Ma può ancora migliorare. Soprattutto nella finalizzazione: converte il 17% dei suoi tiri in gol. Non è un brutto dato, è sopra la media, ma non è neanche un dato eccellente (Retegui, per dire, converte il 21% dei suoi tiri). Resta un’ultima limatura per rendere Moise Kean ancora più affilato, ancora più tagliente, e portarlo a ridosso dei migliori attaccanti europei. E magari è una questione mentale, di concentrazione, magari di precisione tecnica, di allenamento, o forse è solo questione di abitudine, qualcosa che il prossimo anno migliorerà naturalmente.
In ogni caso, il prossimo anno non ci sarà più quella sensazione da: “chi lo avrebbe detto”. Il prossimo anno la categoria non potrà essere “il più migliorato” ma, per forza di cose, “MVP”, il più di valore. Questo è il salto finale che gli resta da fare. Alla Fiorentina, o dove sarà.