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Che giocatore era Gigi Lentini
25 set 2025
Un estratto da "Gigi Lentini. Il talento del Filadelfia", il nuovo libro di Michele Tossani.
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11 min
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IMAGO / Buzzi
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Pubblichiamo un estratto da "Gigi Lentini. Il talento del Filadelfia", il nuovo libro di Michele Tossani edito da Edizioni inContropiede. Se volete acquistare il libro potete farlo cliccando qui.

La campagna europea del Torino nella stagione 1991-92 rappresenta il punto più alto di un triennio che ha visto i granata tornare in Serie A nel 1990, qualificarsi per la Coppa Uefa nel 1991 e arrivare fino in fondo alla terza competizione europea per club. L’anno dopo poi (ma senza più Lentini), i granata conquisteranno una importante Coppa Italia. Quel Toro non fu solo Lentini... certo, cosa avrebbe potuto essere con il suo enfant prodige ancora in squadra?

Artefice principale del biennio che segna il ritorno nella massima serie del Toro, è senza dubbio Emiliano Mondonico. Il tecnico cremonese eredita la panchina granata da Eugenio Fascetti, l’uomo che aveva conquistato la promozione l’anno precedente. Nel torneo 1990-91 si trasloca: via dal vecchio Comunale per andare a giocare nel Delle Alpi, costruito per i Mondiali di Italia ‘90. La compagine affidata a Mondonico è completata in ogni reparto ed è logicamente più ambiziosa di una tradizionale neopromossa.

In porta c’è Marchegiani, con l’ex romanista Franco Tancredi a svolgere il ruolo di fidato numero dodici. In difesa gioca il libero Cravero, con Silvano Benedetti e Bruno marcatori arcigni (come si diceva un tempo) e Roberto “Rambo” Policano terzino fluidificante.

La mediana è di grande qualità. Troviamo infatti Luca Fusi, Francesco Romano (cervello del primo Napoli scudettato di Maradona) e lo spagnolo Martín Vázquez, ex Quinta del Buitre nel Real Madrid. In attacco Haris Škoro e Giorgio Bresciani. Proprio quest’ultimo sarà una delle rivelazioni di quel campionato, chiuso con 13 gol segnati. Di quella squadra facevano parte anche Enrico Annoni e il già citato Silvano Benedetti. Il primo, arcigno difensore poi visto anche con la Roma, arrivò proprio nell’estate del Mondiale, proveniente dal Como.

«Il mio trasferimento è nato dal fatto che ero senza contratto ed ero svincolato, così mi chiamò il secondo di Mondonico, Angelo Pereni e mi chiese se mi interessava venire al Torino. Io neanche gli ho fatto finire la frase che avevo già detto di sì» ricorda Annoni.

«Quella del 1990 fu una campagna acquisti importante». Benedetti invece descrive così Lentini: «Era un giocatore tipo Rafa Leão, uno di quei giocatori che ti inventano su quella fascia e non li ferma nessuno. Gigi era dotato di una grande gamba, di corsa e di una grande facilità nel saltare l’uomo. Quell’anno è stato uno degli artefici della risalita in Serie A».

Al via della nuova stagione nella massima serie, a parlare è proprio Mondonico. «Avevo del talento, lo sperperai nella fretta e nella confusione: è una fregatura arrivare troppo presto, senza soffrire» dirà il tecnico, a proposito della sua carriera da calciatore, in un’intervista rilasciata a Maurizio Crosetti in occasione della presentazione della squadra fatta dal Guerin Sportivo nell’estate del 1990. «Vedo gente che ha una gran voglia di riscatto e i dirigenti si sono mossi benissimo sul mercato. Fusi vorrà dimenticare l’esclusione dalla Nazionale [non venne inserito nella lista dei ventidue che presero parte a Italia ‘90, N.d.A.], Bruno ha lasciato la Juve per noi e questo dice tutto sul personaggio. Mi attendo molto dagli stranieri: Müller va soltanto capito, è un talento naturale immenso e forse in questi anni non è stato aiutato abbastanza. In quanto a Martín Vázquez, sappiamo tutti che si tratta di uno dei migliori centrocampisti del mondo: ha avuto qualche problema con i dirigenti del Real Madrid e sa che l’Italia è una occasione da non sprecare. Infine non bisogna dimenticare la vecchia guardia e neppure i giovani».

Già, i giovani per l’appunto. Mondonico punta sui ragazzi del Filadelfia, fra i quali ci sono Dino Baggio, Sordo, Zago e Lentini. La scelta dell’allenatore di Rivolta d’Adda (ex giocatore proprio del Toro) di puntare sul ragazzo prodigio di Carmagnola avrà un effetto importante sulla carriera di Lentini. Quando, nel 2018, Mondonico ci lascerà, sarà lo stesso Lentini, a più riprese, a ricordarlo. «È stato l’unico allenatore con il quale ho tenuto dei rapporti anche dopo la carriera».

Mondonico vede in Lentini l’ideale complemento offensivo per Škoro e Bresciani. Ha classe ma non è facilmente gestibile: questo il Mondo si sente raccontare su Lentini. E, forse, proprio questo affascina il tecnico, anche lui in gioventù un talento che però si è perso, compiendo una parabola da calciatore al di sotto del proprio talento. L’allenatore non vuole che i giovani calciatori granata ripetano i suoi stessi errori, che manchino come lui di continuità. Specialmente Lentini. Questo porterà Mondo a trattare Lentini come un figlio prediletto e Lentini a vedere nel tecnico un secondo padre, in grado di guidarlo e aiutarlo nel processo di crescita. «Io penso che Mondonico si sia proprio rivisto in Lentini» dice Benedetti. «Il mister, per come me lo descrivevano, da giocatore aveva un po’ quelle caratteristiche, da giocatore estroso, un po’ naïf, in grado di decidere la partita in ogni momento».

Quello al Toro sarà solo il primo incontro fra loro. Il tutto si ripeterà a Bergamo e Cosenza. Ma questa è la storia della parte finale della carriera di Lentini. Qui siamo agli inizi. In quel momento, sotto i riflettori non c’è ancora Gigi. In fondo Lentini è solo una promessa che ha sì fatto bene in B, ma che deve ancora confrontarsi davvero col calcio che conta.

I nomi dai quali il popolo granata si aspetta risposte certe in campo sono invece quelli del brasiliano Müller, croce e delizia dei tifosi dal 1988 e dei nuovi arrivi, fra i quali il già menzionato Martín Vázquez. Un nome importante quello dello spagnolo, che ricorda con piacere quel biennio in granata: «Lentini era importantissimo per noi, era il giocatore più forte nell’uno contro uno. Aveva potenza e una grande falcata».

Martín Vázquez descrive più volte Lentini come un giocatore desequilibrante, in grado cioè di creare scompiglio (di disequilibrare appunto) nel sistema difensivo avversario. «Era un ragazzo che scherzava sempre. Era quasi sempre con il suo amico Sordo e scherzavano fra loro. Era importante per una squadra dove ci sono venticinque persone insieme. Siamo tutti diversi ed è importante, come dico, che ci sia un po’ di tutto nello spogliatoio. Io per esempio ero più serioso, così come ad esempio Luca Fusi».

«Avevamo una squadra con tante caratteristiche diverse – ricorda l’ex centrocampista spagnolo –. Avevamo un bravo portiere come Marchegiani e dei validi difensori. A centrocampo avevamo tutto: c’era Lentini sulla destra, Policano a sinistra, Fusi che era un po’ uno stopper davanti alla difesa e poi c’ero io, un giocatore di regia, che doveva fare passaggi per i compagni. Eravamo consapevoli delle nostre qualità.

Quando tu hai giocatori come Lentini, come Policano è facile fare dei passaggi giusti, perché sai che loro arrivano. Il passaggio te lo rende buono il compagno che ha attaccato lo spazio. E poi davanti la prima stagione avevamo Bresciani, Škoro e Müller». Che giocatore che era il brasiliano Luiz Antônio Correia da Costa, detto Müller. «Divideva la camera con me – ricorda Pacione –. Era attaccante della nazionale brasiliana, con la quale avrebbe giocato anche i Mondiali. Aveva delle qualità impressionanti. Era fortissimo, molto giovane. Guadagnava già tantissimo, andava in giro in Ferrari. Era un introverso, viveva un po’ nel suo mondo. Il rapporto fra Fascetti e Müller fu difficile. Il brasiliano era uno restio a rispettare i programmi, gli orari, faceva fatica a presentarsi con puntualità. E Fascetti su certe cose non transigeva». Qualità tecniche sì, ma alla base di tutto per Fascetti ci doveva essere il gruppo, la disciplina, la voglia di lavorare, il rispetto dei ruoli...».

«Era un giocatore di incredibile talento, svelto, rapido, veloce. Un attaccante d’area di rigore, ma anche da contropiede. Se non è arrivato a grandissimi livelli è perché non è mai maturato sotto l’aspetto mentale. Ma a livello tecnico e calcistico era un grande talento, un fuoriclasse» dice Policano. «Era uno che prendeva tutto con allegria e soprattutto si divertiva molto quando c’erano le partitine durante gli allenamenti» spiega Annoni. «La cosa più importante per me fu però che in quel gruppo ognuno di noi rispettava l’altro», riprende Martín Vázquez. «E tutti sapevano quale fosse il ruolo di ognuno. Quando andavamo in campo, tutti facevano quello che dovevano fare per il bene della squadra. Eravamo difficili da affrontare. È vero che non facevamo tanti gol, però ne prendevamo pochi [il Torino chiuse quel torneo con l’ottavo attacco e con la terza miglior difesa, N.d.A.].

E avevamo giocatori che in ogni momento potevano segnare, anche i difensori sui calci d’angolo e sulle punizioni. Eravamo una squadra equilibrata. Mondonico tatticamente era bravo e c’erano dei giocatori intelligenti, in grado di capire in ogni momento ciò di cui aveva bisogno la squadra».

Ma come ha fatto una neopromossa, pur blasonata come il Toro, a convincere un nazionale spagnolo e calciatore del Real Madrid a sposare il progetto tecnico granata? «Ho subito visto che il club voleva costruire una bella squadra. Quando sono arrivato poi mi hanno accolto tutti benissimo: i compagni, i tifosi, la società... è stato bellissimo sentire che eri voluto dalla piazza. C’erano ovviamente delle differenze per quanto riguardava il tipo di gioco e il campionato. La Serie A in quel momento era il campionato più importante del mondo, quello dove giocavano i migliori giocatori stranieri. La cosa più difficile per me fu arrivare da una squadra che lottava per vincere il campionato e che era la squadra da battere. Mi sono ritrovato in un club che voleva vincere, ma che non era fra le favorite». Il gioco che si faceva in Italia era più difensivo rispetto a quello al quale ero abituato. Mi sono dovuto adattare. Però non ho avuto nessun problema».

L’Europa era un obiettivo già a inizio anno? «No, nessuno ci aveva chiesto di arrivare primi, secondi o di centrare la qualificazione in Uefa», risponde Martín Vázquez. «Il nostro obiettivo era fare il meglio possibile. Però, come professionista vuoi vincere. Man mano che giocavamo ci rendevamo conto che potevamo battere chiunque. E alla fine siamo arrivati quinti».

«No, non c’era l’obiettivo dell’Europa. Siamo rimasti anche noi colpiti dall’inizio di campionato. Molto merito va al mister Mondonico, che ci ha messo molto del suo per far sì che la squadra riuscisse ad amalgamarsi nel miglior modo possibile e nel minor tempo possibile», aggiunge Policano. «C’è da dire anche che c’erano giocatori importanti».

«L’obiettivo dell’Europa è venuto strada facendo. Non potevi partire con un obiettivo così grande. Pian piano poi si è costruito un gruppo che, con l’unione e anche la qualità, è arrivato a quei risultati» dice Benedetti. Per Annoni comunque il progetto era di costruire una squadra entro 4 anni per lottare per lo scudetto.

In quel 1990-91 esplode la stella Lentini. L’esterno di Carmagnola fa colpo sul grande pubblico non soltanto per le sue qualità tecniche e fisiche. Gigi non ebbe nessun problema ad adattarsi a quella Serie A da lui, in precedenza, soltanto assaporata. «Secondo me, rispetto alla Serie B, Lentini aveva anche più possibilità di esprimere le sue potenzialità», dice Benedetti. «Questo perché in Serie B c’erano marcature più strette. In Serie A le marcature c’erano, ma solo quando c’era maggior pericolo. Al Delle Alpi Gigi, prendendo campo su quella fascia, andava che era una meraviglia».

«Era un giocatore di grande personalità, esuberante» ricorda ancora Policano. «Anche se sbagliava un dribbling non teneva giù la testa, ma continuava a giocare. Già da giovane si vedeva che aveva una bella prospettiva di carriera davanti a sé». «La vigilia dei derby la si viveva con grande entusiasmo» sottolinea Rambo Policano. «Il giorno precedente la partita, in albergo, ci riunivamo tutti in una camera, saltavamo sui letti per darci la carica».

«Mondonico decideva come schierarci in base alle squadre che incontravamo: 3-5-2 o 3-4-2-1... i compiti erano quelli del gioco del calcio, difensori, centrocampisti, attaccanti. Sicuramente a me non ha mai dato il compito di attaccante…», ricorda divertito Annoni. «Gigi veniva utilizzato specialmente sulle fasce: dipendeva dall’avversario. Se a destra l’avversario era meno veloce, allora Gigi giocava a destra, e così anche sulla fascia sinistra».

È, quello del 1991, il torneo delle sorprese. A vincere lo scudetto è la Sampdoria di Vialli, Mancini e Boškov (l’ultimo vinto in Italia da una outsider), col Toro che si piazza quinto a pari merito col Parma, un punto davanti alla Juventus di Gigi Maifredi. Per granata ed emiliani si tratta di qualificazione alla Coppa Uefa dell’anno successivo (raggiunta insieme all’Inter e al Genoa di Bagnoli), grazie anche alla squalifica europea ricevuta dal Milan per il famoso episodio della notte di Marsiglia.

Il 20 marzo 1991 infatti allo stadio Vélodrome si spengono i riflettori ed i rossoneri, guidati da Galliani, decidono di abbandonare il campo e di non rientrarvi nemmeno quando l’arbitro svedese Bo Karlsson, a luci parzialmente riaccese, fa intendere che la partita può proseguire. Risultato? Sconfitta a tavolino 3-0 per il Milan e squalifica per un anno dalle competizioni europee.

Sarà l’ultimo campionato di Arrigo Sacchi alla guida dei rossoneri. Quella squalifica del club milanese apre a fine stagione al Torino le porte della Coppa Uefa dell’anno seguente. Per i tifosi granata, l’occasione di partecipare alle competizioni internazionali con la Juve che resta a casa è anche quella per sfoderare lo striscione “Juventino guardati Twin Peaks”, una delle serie di maggior successo trasmesse in Italia in Tv in quegli anni.

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Che giocatore era Gigi Lentini