In occasione della morte di Giampiero Boniperti, pubblichiamo un’intervista di Vittorio Martone ed Enrica Speroni di circa dieci anni fa all’ex dirigente e calciatore della Juventus e della Nazionale.
Era il 12 febbraio del 2012 quando nella mia casella di posta elettronica arriva un messaggio con un importante allegato di Enrica Speroni, storica giornalista de’ La Gazzetta dello Sport, con cui in un serrato scambio di mail avevamo pianificato un’intervista a Giampiero Boniperti nell’ambito di un docudramma radiofonico che stavo producendo insieme all’amico e autore Rai Francesco Frisari. Enrica Speroni, anche lei ormai venuta a mancare, era di fatto l’unica giornalista con cui Boniperti parlasse. Era stata lei a convincerlo a chiamarmi una mattina: «Salve, parlo con Vittorio Martone», «Sì, sono io», «Buongiorno Martone, sono Boniperti», era stato il suo introdursi, che mi ha fatto capire qualcosa di come poteva essere il gestire una contrattazione con lui. In quella telefonata mi disse che accettava la nostra intervista e le nostre domande, quasi tutte collegate alle nostre ricerche sull’avventura della Nazionale che nel 1950 partecipò ai Mondiali raggiungendo il Brasile in nave, data la tragedia di Superga dell’anno prima. L’intervista si sarebbe fatta, ma per tramite di Speroni. Che nel suo averci in qualche modo adottato ci regalò poi questo pezzo, in cui le risposte di Boniperti ai nostri quesiti divennero preziosi virgolettati. Questa intervista ci è stata infatti utile per lavorare al docudramma sui Mondiali del ’50 ma è rimasta inedita fino ad oggi.
Vittorio Martone
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I ricordi sono a colori. Anche quelli lontani. Basta un attimo e Giampiero Boniperti si rivede ragazzo, ritrova i volti un po’ preoccupati di mamma Camilla e papà Agabio nel salutare il figliolo che va ad imbarcarsi sulla Sises. Destinazione Brasile. «I miei genitori erano perplessi di fronte a quel lungo viaggio. Più che al Mondiale pensavano a Superga. Alla tragedia del Grande Torino».
4 maggio 1949, l’aereo che si schianta in braccio alla basilica, tutti morti. «Io me lo ricordo bene quel pomeriggio, del resto come potrei dimenticarlo? Tutte le volte che vedo Superga il pensiero va lì. E io Superga la vedo tutti giorni».
Di colpo cambia la vita. C’è un prima e un dopo. «Non avevo ancora 21 anni, ma il Grande Torino lo conoscevo bene. Al primo anno di Juventus, campionato 1946/1947, giocavo nelle riserve e la domenica pomeriggio, se i bianconeri erano in trasferta, la passavo al Filadelfia a vedere quella squadra di campioni guidata da Mazzola, il più grande di tutti. Poi, diventato titolare, ci ho giocato contro in partite che ti azzannavano lo stomaco a cominciare da sette giorni prima. E dico 7 non a caso. Io andavo a mangiare da Tolmino, una trattoria in via Alfieri a pochi passi dalla sede granata, allo stesso tavolo di Bacigalupo, Rigamonti e Martelli, chiamati il trio Nizza dal nome della strada dove abitavano tutti e tre. Eravamo amici, ci vedevamo quasi tutti i giorni. Ma quando si avvicinava il derby diventavamo estranei: loro da una parte, io dall’altra, alla larga da una settimana prima fino a una settimana dopo la sfida. Troppa tensione, troppa adrenalina, meglio scaricare i nervi a distanza. Passata la febbre da derby mi ripresentavo da Tolmino e riprendevo il mio posto a tavola».
Torniamo alla partenza per il Mondiale del ’50. Tutti in nave perché l’aereo faceva paura. Un viaggio lungo…
La Sises era solo per la Nazionale?
E tra di voi che clima c’era?
Finalmente terra.
Foto LaPresse
Il Brasile però aveva lasciato il segno. «Paese stupendo, gente bravissima, donne bellissime». L’anno dopo Boniperti ci tornò con la Juventus per disputare la Copa Rio, una specie di Mundialito cui fu invitata con altre 4 europee (Sporting Lisbona, Olympique Nizza, Austria Vienna, Stella Rossa Belgrado).
«Arrivammo nell’indifferenza di brasiliani ed emigrati, snobbati dagli uni e dagli altri: la brutta figura del Mondiale era ancora fresca. Ma nel giro di pochi giorni cambiò tutto e fu fantastico. I brasiliani, che vivono per il calcio e lo mettono addirittura prima della famiglia, ci guardarono con crescente meraviglia soprattutto dopo il 4-0 al Palmeiras. Conquistammo la finale e la perdemmo proprio col Palmeiras dopo un doppio confronto (1-0 e 2-2) giocato al Maracanà davanti a 200 mila persone che non hanno smesso un minuto di cantare. Io fui il capocannoniere del torneo. Un’esperienza fantastica, ma fantastica fu tutta la tournée. Giocavamo bene ed eravamo travolti dall’entusiasmo, prima a San Paolo e poi a Rio. Un Paese magnifico che gioca un calcio ballato, paesaggi stupendi e ragazza bellissime».
Ce ne fu anche una che si innamorò di lei…
Che il Presidente non stia esagerando ricordando quella Copa Rio lo dimostra il viaggio di una troupe brasiliana, nella primavera del 2001, venuta in Italia a intervistarlo in occasione del cinquantenario. Il Brasile invitò la Juventus anche negli anni successivi. Divertimento in campo e divertimento fuoricampo, ricevimenti all’ambasciata e serate al night. O, per dirla alla Boniperti, al tabarìn.
Ma il viaggio dei viaggi è un altro. Dici Londra e lui si illumina. Dici Londra e lui è già ritornato al 21 ottobre 1953 e si rivede là, nello spogliatoio di Wembley, unico italiano chiamato dalla FIFA nel Resto d’Europa a sfidare l’Inghilterra nella celebrazione dei 90 anni di quella Federcalcio. Un 4-4 in casa dei maestri del calcio con una sua doppietta: «Una partita bellissima. L’emozione più grande della mia carriera».
Di quell’evento ricorda tutto, il suo raccontare parte da Torino e ha sempre il sapore della prima volta. «Il magazziniere mi ha preparato la valigia, sono passato in sede a ritirare il biglietto aereo e mio fratello mi ha accompagnato a Milano in aeroporto. Una volta sbarcato – avevo l’indirizzo dell’albergo – mi guardo attorno e vedo un signore col cartello Boniperti. Quello è qui per prendermi, mi dico, mi avvicino e gli faccio vedere il passaporto. Lui risponde ok e mi accompagna in hotel».
Foto LaPresse
Superato brillantemente il primo ostacolo linguistico, resta quello più grosso: come facevate a intendervi tra svedesi, jugoslavi, ungheresi e compagnia cantando?
Boniperti lo dice con orgoglio: «Ho segnato due gol a Wembley, il tempio del calcio. Li ho segnati agli inglesi, che in campo si sentivano i maestri e guardavano tutti gli altri dall’alto. Un’emozione che non si può raccontare. Al ritorno a Milano c’erano ad aspettarmi gli amici di Barengo e il mio papà. Nessun giornalista. Altri tempi. L’intervista me la fece l’Avvocato, mi convocò e volle che gli raccontassi tutto nonostante fosse venuto apposta a Londra per vedere la partita».
Due gol a Wembley li sogni anche la notte. E non c’è prodezza che regga il confronto. Londra è la cornice, anch’essa preziosa. «Viali, palazzi, parchi. Mi fa una grandissima impressione. Vieni via che ti senti padrone del mondo».
Sono trascorsi quasi sessant’anni, ma Boniperti parla al presente. Quando pensa a Londra vede il generale Montgomery che passa in rassegna le squadre a centrocampo prima della partita, ascolta il silenzio incredulo di Wembley ai suoi gol e vive ogni volta l’orgoglio di uscire dal campo imbattuto.
Lo ammetta Presidente: quando pensa a Londra lei si sente padrone del mondo come nel ’53…
Ti guarda, sorride e non dice di no.