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Tommaso Clerici
Chi è davvero Gervonta Davis
19 apr 2023
19 apr 2023
La storia del puglie di Baltimora, che sabato combatte contro Ryan Garcia.
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Tommaso Clerici
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IMAGO / Media Punch
(foto) IMAGO / Media Punch
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Baltimora è una città da mezzo milione di abitanti del Maryland, sulla costa orientale degli Stati Uniti, famosa per due aspetti: il porto – il più importante d’America– e la criminalità, con un tasso di omicidi sette volte maggiore rispetto alla media nazionale. Secondo la Drug Enforcement Administration (DEA), il 10% della popolazione di Baltimora è eroinomane. La città è sempre stata afflitta da un massiccio traffico di droga e proprio qui è stata ambientata la serie tv culto The Wire, che racconta l’attività della polizia nel contrastare la criminalità, in un resoconto duro e realistico di uno spaccato della società americana. Baltimora è suddivisa in nove aree geografiche tra cui la zona Est, che ospita 46 quartieri. Uno di questi è Sandtown-Winchester, un contesto difficile tra povertà, crimine e disoccupazione. La disperazione può rafforzare? È proprio qui che il 7 novembre 1994 nasce Gervonta Davis, il più piccolo di tre fratelli di una famiglia disastrata: cresce con il padre in carcere e con la madre tossicodipendente, tanto che i servizi sociali lo danno in affido e poi lo assegnano alle cure della nonna. Davis ricorda così quel periodo, ricostruito dal Los Angeles Times: «Prima di trasferirmi da nonna cambiavo continuamente sistemazione, tra case famiglia e affidatari vari. Mi sentivo come fossi in prigione: quando potevo vedere i miei familiari stavamo insieme solo per mezz’ora in una stanza minuscola. Spesso mi mancavano, mi sentivo solo. Ma la disperazione mi ha rafforzato». È una condizione che Davis vive male, con una rabbia che sfoga in liti con i bambini del vicinato. Per evitare che questa rabbia possa portarlo a diventare un teppista crescendo, a sette anni i suoi zii lo portano in una palestra di boxe, l’Upton Boxing Centre – dove il pugile americano si allena tuttora - di coach Calvin Ford. Tra i due nasce un rapporto unico mentre il pugilato conquista Davis, che lascia anche la scuola per concentrarsi solo sulla boxe (si diplomerà anni dopo).

Gervonta sul ring a nove anni (lui è quello con la canotta blu). Sì, è abbastanza impressionante.

A fine anni ottanta Calvin Ford era una delle figure di spicco del traffico di droga di Baltimora. Viene arrestato e resta in prigione per ben dieci anni, quando torna in libertà decide di cambiare vita. Quasi come in un film, Ford rileva una palestra di boxe – sport che ha conosciuto dietro le sbarre - nell’ambito di un programma educativo per strappare i giovani dalla criminalità, e inizia ad allenare il figlio Gurley. Così simile a un film che The Wire ha preso spunto dalla sua vicenda per il personaggio di Dennis “Cutty” Wise, un ex galeotto che decide di rigare dritto insegnando la boxe ai giovani del quartiere. Quando Davis si presenta all’Upton conosce Gurley, che lo allena e lo raccomanda a Ford, dicendogli che c’è un ragazzo con una determinazione fuori dal comune che ha bisogno di un modello da seguire. «Da allora è sempre stato incollato al mio fianco», dice Ford oggi. All’inizio non è il pugile più talentuoso della palestra, ma quello che ha la motivazione maggiore. Viene soprannominato “Tank”, “carrarmato”, per via delle sproporzioni tra la testa grande e il resto del corpo, e perché sul ring è inarrestabile. In un contesto in cui i suoi coetanei si fanno attirare dalla criminalità alla ricerca di soldi facili, Davis concentra tutte le sue energie e il suo tempo nella boxe. Nel frattempo vede tanti compagni di allenamento e amici morire ammazzati in sparatorie, rapine e regolamenti di conti, e anche Gurley, il figlio di Ford, viene ucciso. In un’intervista al Los Angeles Times, Davis ha spiegato: «Ero il più giovane tra questi ragazzi e ho cominciato ad imparare dai loro errori. Sapevo cosa andava fatto e cosa no. Grazie al pugilato ho viaggiato sin dai 10 anni, avevo iniziato a scoprire il mondo oltre Baltimora. Per questo la mia mentalità era diversa: i giovani volevano fare la vita da gangster, per loro esisteva solo il quartiere; io invece cercavo di emanciparmi, volevo scappare da quelle strade. Per farlo avevo il pugilato, è stata la mia possibilità di fuga. Le persone hanno cominciato ad apprezzarmi grazie alla boxe, non mi sono più sentito un peso per nessuno. Ho seguito quel percorso e sono rimasto vicino al mio team. E adesso siamo qui».

E ancora, riguardo il suo rapporto con Ford: «Calvin non è solo un allenatore, per me è come un padre. In palestra ho trovato l’amore che non ho mai avuto a casa. Quando l’ho conosciuto avevo bisogno di una figura paterna e l’ho trovata in lui, ci sono cresciuto. Ho dormito a casa sua con la moglie e i figli, siamo una famiglia. Mi ha aiutato tantissimo e mi ha reso quello che sono, anche nei modi di fare ho preso da lui. Gli devo molto». Da parte sua Ford ha spiegato, come riporta il New York Post: «Gervonta da bambino era diverso, aveva un’energia speciale che abbiamo incanalato nel modo giusto. È sempre stato competitivo, voleva essere il numero uno dall’inizio. Sono una specie di pacchetto completo per lui: posso essere suo padre, il suo coach, il maggiordomo, un amico. Se ha bisogno mi chiama perché sa che sistemerò le cose. Ma capisco anche quando lasciargli i suoi spazi. A volte penso a me alla sua età e mi congratulo con lui, gli dico che è stato benedetto e che è un genio per quello che sta facendo». E la parola “benedetto” Davis se l’è tatuata sul collo. Quando ringrazia il suo coach per avergli salvato la vita, Ford ricambia sostenendo che senza “Tank” e i suoi altri pugili avrebbe fatto più fatica a mantenere la retta via. D’altronde un ragazzo giovane e abbandonato ha bisogno di un mentore, e un coach necessita di un pupillo per dare il meglio di sé. Insomma, se un tempo Ford ha cresciuto Davis sia come uomo che come pugile, oggi il loro rapporto si è evoluto ed è sempre più forte, maturo e paritario; si dividono le responsabilità e le scelte, restando sempre uniti. Una storia che può ricordare – almeno in linea generale - la profonda intesa tra Mike Tyson e Cus D’Amato; infatti Davis è stato spesso accostato ad “Iron Mike”, tanto da venire soprannominato “il piccolo Tyson” per le origini umili ma non solo. Intanto Tyson ha dichiarato che “Tank” può diventare la prossima leggenda del pugilato mondiale. Come gestire la rabbia Nel 2013 Davis ha 18 anni e passa professionista nei pesi superpiuma (categoria al limite dei 58.9 chili) dopo essersi aggiudicato dieci titoli importanti da dilettante e aver accumulato un record di 206 vittorie e 15 sconfitte. In poco più di un anno da pro registra otto successi consecutivi, tutti prima del limite. Passa il tempo e Davis continua la sua scalata devastante a suon di knockout fino alla prima chance titolata, arrivata gennaio 2017, quando batte per KO tecnico al settimo round Josè Pedraza e si aggiudica il mondiale IBF. Dopo aver difeso il titolo due volte va all’assalto della cintura WBA “Super”, che vince per KO tecnico al terzo round contro Jesùs Cuellar. La mantiene per i due match successivi, sale nei pesi leggeri e conquista - sempre per KO tecnico - una nuova corona WBA, questa volta “Regular”. Successivamente vince anche il titolo WBA “Super” nei superleggeri. Davis è amato da molti, mentre i suoi detrattori fanno notare come non abbia unificato i titoli (non ha mai detenuto contemporaneamente le cinture delle quattro sigle mondiali più importanti, come fatto invece da Devin Haney nella stessa categoria di peso, ad esempio), abbia fatto spesso salire gli avversari da categorie di peso inferiori, potendo godere quindi di una stazza maggiore, abbia vinto Mondiali WBA “Regular” quando c’erano dei campioni “Undisputed” in carica (un titolo sempre WBA ma più prestigioso). In ogni caso oggi vanta un record di 28 vittorie su altrettanti incontri, 26 ottenute per knockout o KO tecnico. Un momento chiave del suo percorso è sicuramente l’estate del 2015, quando Davis incontra Floyd Mayweather visitando il training camp di un assistito dell’ex campione, che una volta appesi i guantoni al chiodo è diventato anche manager e promoter. In quell’occasione Davis, ai tempi ventenne con una decina di match, fa sparring con un 16enne Devin Haney sotto gli occhi di Mayweather, che ricorda così quel momento e i successivi: «Haney era in forma, Gervonta no, ma ci hanno dato dentro ed è stato pazzesco. Sono rimasto impressionato e nel giro di due giorni Davis era su uno yacht a Miami con me, e abbiamo cominciato a lavorare insieme». Un sodalizio che ha vissuto alti e bassi e che è stato interrotto qualche mese fa per scelta di Davis, che ha ringraziato Mayweather per il lavoro svolto ma si è detto pronto ad autogestirsi. Davis è stato accostato a Tyson non solo per il suo passato e il tremendo colpo da KO, ma anche per i suoi problemi con la giustizia: il 27 febbraio 2019 si diffonde una notizia secondo cui Davis avrebbe aggredito un uomo al termine di una lite in un centro commerciale, per poi scagliarsi contro gli agenti intervenuti. Il caso viene archiviato quando Davis raggiunge un accordo economico con la vittima. Un anno dopo il pugile americano viene visto afferrare l’ex compagna – la madre della sua finora unica figlia Gervanni - per il bavero a bordocampo di una partita di basket a Miami, trascinandola verso l’interno del palazzetto. La scena viene filmata e fa il giro del web. Secondo gli investigatori Davis avrebbe poi colpito al volto la vittima, e viene accusato di violenza domestica. Il caso viene archiviato.

A novembre 2020 passa con il semaforo rosso al volante di un suv della Lamborghini e colpisce una Toyota con a bordo anche una donna incinta, scappando dal luogo dell’incidente. Il 27 dicembre 2022 viene arrestato ancora: la madre di sua figlia chiama la polizia sostenendo di essere stata aggredita da Davis con uno schiaffo. Nella telefonata, drammatica, la si sente dire: «Per favore aiutatemi, ho bisogno di aiuto. Sto cercando di andare a casa, ho mia figlia in macchina. Se non fate presto, mi ucciderà». Tre giorni dopo ritratta, dicendo di aver sbagliato ad avvisare gli agenti durante un momento concitato e dichiarando che Davis non le ha fatto del male. Riguardo il comportamento del suo pugile, coach Ford ha spiegato, come si legge su Bleacher Report: «Gervonta sa di rappresentare tante persone e che altrettante dipendono da lui, Baltimora stessa dipende da lui. Vuole continuare a fare la differenza e a lavorare duro per diventare la versione migliore di sé stesso». Davis a volte ha ammesso le sue colpe, altre si è dichiarato innocente. Come si fa a diventare un esempio senza controllare la rabbia? Davis ha poi ammesso il problema, e ha detto di essersi rivolto a un professionista per gestire la rabbia. Anche se non si è comunque sentito obbligato a farlo: «Non tanto perché devo, ma perché potrebbe aiutarmi a gestire meglio alcune cose in futuro». L'occasione Ovviamente farsi un’idea verosimile della personalità di una star è quasi impossibile, perché si parla di figure inaccessibili a cui viene cucita addosso una strategia di comunicazione precisa. Su YouTube è disponibile una breve docu-serie dal titolo Gervonta “Tank” Davis – Strap Season, che mostra alcuni momenti della vita di Davis. Fuori dal ring il giovane campione si districa tra supercar da sogno, ville esclusive, jet privati, bagni di folla, suite a cinque stelle, gioielli enormi e luccicanti. I filmati lo ritraggono in diverse situazioni, e che Davis non resti mai (davvero mai) da solo. Ha sempre qualcuno intorno, che siano amici intimi, membri del team o entrambi, in qualsiasi situazione. Tante persone vivono, sono mantenute e dipendono da lui. A partire dalla famiglia, che ha trovato una certa serenità intorno al suo successo. Recentemente la madre di Davis ha dichiarato: «Ho molti sensi di colpa per gli errori che ho commesso, ma il futuro è luminoso. Gervonta ha visto molte persone morte ammazzate o arrestate. Ora mio figlio sta bene e vive del suo sogno, la boxe: sono grata a Dio per questo». Anche il padre del pugile è stato interpellato dai media: «Quando Gervonta ha iniziato a guadagnarsi attenzione a livello nazionale è stato di grane ispirazione per me. Ho capito che se avessi rimesso in sesto la mia vita, per lui solo il cielo sarebbe stato il limite. Così ho celebrato il mio terzo anniversario lontano dalle droghe e in quell’occasione mio figlio mi ha guardato negli occhi dicendomi che era orgoglioso di me. È stata la sensazione più bella del mondo». Ma non si tratta solo dei genitori: una città intera, Baltimora, si regge sulle sue spalle; è affamata di rivalsa, basti pensare che in certi suoi quartieri l’aspettativa di vita è inferiore a quella degli abitanti della Corea del Nord – uno Stato dittatoriale - e dello Yemen, uno dei Paesi più poveri del mondo, dove infuria una sanguinosa guerra civile. Quasi il 64% della popolazione della città è di colore. Sabato Gervonta Davis affronterà un altro imbattuto, Ryan Garcia (23-0, 19 KO), nei pesi leggeri (“Tank” ha voluto una clausola che limita la reidratazione di Garcia dopo il taglio del peso, per evitare che ne riacquisti troppo) in quello che è già stato definito il match dell’anno. L’occasione in cui Davis dovrà dimostrare di essere il prescelto, per sé stesso e per la sua gente, dopo un percorso fatto di grandi vittorie sul ring e cadute rovinose nella vita.

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