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Daniele V. Morrone
Gavi e la scuola dei centrocampisti spagnoli
18 nov 2021
18 nov 2021
L'ultimo prototipo della Masia ha uno stile che conosciamo bene.
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Daniele V. Morrone
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Ha l’aria del classico centrocampista spagnolo tecnico, come se ne vedono decine nelle giovanili delle varie squadre e soprattutto nel Barcellona: alto un metro e settanta, baricentro basso, il corpo tozzo, la testa sempre alta. Gavi ha già i suoi dettagli iconici però: la lingua che spinge su una guancia, gli scarpini larghi quasi non allacciati che aumentano il senso di rilassatezza. Rispetto agli altri centrocampisti della sua stirpe, il controllo palla è ancora più molecolare, la gestualità più precisa, le letture migliori.

 

Gioca allo stesso modo sul sintetico alla periferia di Barcellona o sul prato di San Siro. Non gli crea nessun problema pensare di fare



 


 

 



 


 

 

Fino a cinque anni fa giocava nelle giovanili del Liara Balompié una squadra della cittadina di Los Palacios y Villafranca, 38 mila abitanti in provincia di Siviglia. Zona che deve avere qualcosa di speciale perché da lì sono usciti anche Jesús Navas e Fabián Ruiz; e proprio accanto c’è Utrera, da dove sono usciti Dani Ceballos e la “Perla” José Antonio Reyes. Un punto sulla mappa calcistica iberica dove i giocatori hanno un rapporto speciale col pallone; Gavi è stato subito cercato dal Betis, una delle due grandi squadre della zona, ma anche dal Villarreal, dal Real Madrid, dall’Atlético e dal Barcellona. Lui ha scelto di entrare nella Masia, vivendo nel convitto dall’estate in cui il Barcellona del triplete con Luis Enrique.

 

Considerato subito uno dei centrocampisti più talentuosi presenti nella Masia negli ultimi dieci anni, ha sempre giocato sotto età, ma il salto dall'Under 19 alla prima squadra a sedici anni è stata una mossa coraggiosa da parte di Koeman. Gavi non è nemmeno passato per la squadra B: è passato dalle competizioni regionali alla Champions League.

 

Nella Masia cresce come un centrocampista associativo e libero di muoversi a seconda di dove si trova il pallone rispetto al regista centrale classico, un giocatore che vuole il pallone e che se non ce l’ha si spende tanto per recuperarlo. Un prototipo di centrocampista reso totemico da Xavi, celebrato dal Pallone d’Oro di Modric, proseguito da Marco Verratti, che oggi ne è il massimo esponente. E infatti l’italiano è il modello di Gavi, come detto da Luis Enrique alla RAI dopo la partita con l’Italia. Nelle giovanili giocava proprio come mezzala in un 4-3-3 ortodosso e come mezzala è stato utilizzato anche da Koeman in prima squadra in un sistema meno ortodosso, alternandolo anche nel ruolo di falso esterno. Un percorso simile a quello fatto da Pedri la scorsa stagione.

 

Gavi è a suo agio in una squadra che controlla il possesso. È uno di quei giocatori ossessionati dal contatto con la palla, e che se non ce l’hanno si dannano l’anima pur di recuperarla subito come se fossero tarantolati. Un giocatore abituato a muoversi incontro al pallone o ad allontanarsi a seconda di quello che pensa richieda la manovra. Un giocatore a cui è indifferente la zona di campo in cui viene schierato perché ragiona solo in funzione del pallone e degli spazi. Il possesso del pallone è il mezzo con cui si disordinano gli avversari, perché l’intenzione non è muovere il pallone di per sé ma muovere gli avversari, per dirla alla Juanma Lillo. Parole che avrà sentito già cento volte fino a interiorizzarle perché perché dentro la Masia questo tipo di concetti vengono ripetuti fino allo sfinimento.

 

Sembra lo studente modello di una scuola che prova a dare gli strumenti a giocatori con caratteristiche diverse per poter così parlare la stessa lingua calcistica in campo. Il modo con cui si posiziona prima di ricevere (“

” dicono lì), il controllo che può essere orientato a secondo di dove si trova l’avversario, la pausa che riesce a dare col pallone per manipolare gli avversari, la grande frequenza di tocchi nello stretto per poter fino all’ultimo portare via il pallone dall’intervento, il dinamismo che lo spinge a muoversi continuamente. Impressiona poi il modo con cui è abituato già a muovere la testa più volte come un radar per mappare tutto il campo girando anche il corpo per coprire più gradi possibili e avere poi l’idea di ricevere palla dove si trovano compagni e avversari, a 360 gradi.

 




 



 



 

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