
La Spagna di Luis Enrique ha iniziato un percorso basato sulla propria identità. Il CT non sceglie i giocatori in base allo stato di forma o alla fama, ma in base al loro profilo tecnico e caratteriale. L’idea di fondo è quella di creare una squadra in cui tutti parlino la stessa lingua calcistica. Questo ha portato il CT a scelte controintuitive e rischiose a livello di opinione pubblica. Una delle più discusse di recente è stata quella di convocare Gavi in Nazionale nonostante il giovane avesse sulle spalle appena 7 partite (288 minuti) giocate con la prima squadra del Barcellona. A 17 anni e 62 giorni è diventato il più giovane debuttante della storia della Spagna, andando a ritoccare il record di Angel Zubieta del 1936.
Il 5 settembre non era nemmeno titolare con l’Under 18 della Spagna, un mese dopo invece è titolare contro l’Italia a San Siro. Da quella partita è diventato titolare del Barcellona e della Spagna, ed è stato elogiato in ogni angolo della stampa. Contro la Svezia, in una sfida decisiva, colleziona la sua quarta presenza in Nazionale a 30 chilometri da casa; durante la partita lo stadio gli dedica dei cori. A fine incontro ha parlato il padre: «Viene da una famiglia umile e non molto calcistica, fino a lui nessuno ha giocato. Siamo venuti tutti, i genitori, i nonni, gli zii, i cugini, mezzo paese».
Contro la Svezia va bene anche il pareggio, e Luis Enrique mette una formazione che possa più che altro tenere il pallone a scopi difensivi. Quando, messa alle strette dal cronometro, la Svezia ha iniziato a premere forte per arrivare al gol, Gavi è sembrato quello più tranquillo. Il pallone non gli scotta mai tra i piedi, si muove sempre per farselo dare. Al 17’ intercetta un pallone al limite della propria area e risponde alla riaggressione svedese mettendo il corpo tra sé e Kulusevski, ne evita l’intervento, e poi con una croqueta dribbla anche Claesson.
Ha l’aria del classico centrocampista spagnolo tecnico, come se ne vedono decine nelle giovanili delle varie squadre e soprattutto nel Barcellona: alto un metro e settanta, baricentro basso, il corpo tozzo, la testa sempre alta. Gavi ha già i suoi dettagli iconici però: la lingua che spinge su una guancia, gli scarpini larghi quasi non allacciati che aumentano il senso di rilassatezza. Rispetto agli altri centrocampisti della sua stirpe, il controllo palla è ancora più molecolare, la gestualità più precisa, le letture migliori.
Gioca allo stesso modo sul sintetico alla periferia di Barcellona o sul prato di San Siro. Non gli crea nessun problema pensare di fare due pallonetti per superare due giocatori della Dynamo Kiev, prendendosi poi l’intervento spezzacaviglie del terzo. Gioca a Kiev in Champions League come contro il Costa Brava. In Deportivo Alavés-Barcellona, sul risultato di parità, ha caricato l’area saltando tre uomini col solo controllo della palla e mandando in porta il compagno.
Ha grande personalità, come si dice per definire un giocatore sicuro di sé, creativo sotto pressione, determinato. Una caratteristica intangibile e difficile da quantificare. La sua capacità di non subire il contesto ma di influenzarlo è ciò che piace a Luis Enrique, che dopo la partita con l’Italia ha detto: «Non è normale quello che ha fatto con 17 anni. È un giocatore con personalità, condizioni atletiche invidiabili, con il nostro stile di gioco».
Fino a cinque anni fa giocava nelle giovanili del Liara Balompié una squadra della cittadina di Los Palacios y Villafranca, 38 mila abitanti in provincia di Siviglia. Zona che deve avere qualcosa di speciale perché da lì sono usciti anche Jesús Navas e Fabián Ruiz; e proprio accanto c’è Utrera, da dove sono usciti Dani Ceballos e la “Perla” José Antonio Reyes. Un punto sulla mappa calcistica iberica dove i giocatori hanno un rapporto speciale col pallone; Gavi è stato subito cercato dal Betis, una delle due grandi squadre della zona, ma anche dal Villarreal, dal Real Madrid, dall’Atlético e dal Barcellona. Lui ha scelto di entrare nella Masia, vivendo nel convitto dall’estate in cui il Barcellona del triplete con Luis Enrique.
Considerato subito uno dei centrocampisti più talentuosi presenti nella Masia negli ultimi dieci anni, ha sempre giocato sotto età, ma il salto dall'Under 19 alla prima squadra a sedici anni è stata una mossa coraggiosa da parte di Koeman. Gavi non è nemmeno passato per la squadra B: è passato dalle competizioni regionali alla Champions League.
Nella Masia cresce come un centrocampista associativo e libero di muoversi a seconda di dove si trova il pallone rispetto al regista centrale classico, un giocatore che vuole il pallone e che se non ce l’ha si spende tanto per recuperarlo. Un prototipo di centrocampista reso totemico da Xavi, celebrato dal Pallone d’Oro di Modric, proseguito da Marco Verratti, che oggi ne è il massimo esponente. E infatti l’italiano è il modello di Gavi, come detto da Luis Enrique alla RAI dopo la partita con l’Italia. Nelle giovanili giocava proprio come mezzala in un 4-3-3 ortodosso e come mezzala è stato utilizzato anche da Koeman in prima squadra in un sistema meno ortodosso, alternandolo anche nel ruolo di falso esterno. Un percorso simile a quello fatto da Pedri la scorsa stagione.
Gavi è a suo agio in una squadra che controlla il possesso. È uno di quei giocatori ossessionati dal contatto con la palla, e che se non ce l’hanno si dannano l’anima pur di recuperarla subito come se fossero tarantolati. Un giocatore abituato a muoversi incontro al pallone o ad allontanarsi a seconda di quello che pensa richieda la manovra. Un giocatore a cui è indifferente la zona di campo in cui viene schierato perché ragiona solo in funzione del pallone e degli spazi. Il possesso del pallone è il mezzo con cui si disordinano gli avversari, perché l’intenzione non è muovere il pallone di per sé ma muovere gli avversari, per dirla alla Juanma Lillo. Parole che avrà sentito già cento volte fino a interiorizzarle perché perché dentro la Masia questo tipo di concetti vengono ripetuti fino allo sfinimento.
Sembra lo studente modello di una scuola che prova a dare gli strumenti a giocatori con caratteristiche diverse per poter così parlare la stessa lingua calcistica in campo. Il modo con cui si posiziona prima di ricevere (“perfila” dicono lì), il controllo che può essere orientato a secondo di dove si trova l’avversario, la pausa che riesce a dare col pallone per manipolare gli avversari, la grande frequenza di tocchi nello stretto per poter fino all’ultimo portare via il pallone dall’intervento, il dinamismo che lo spinge a muoversi continuamente. Impressiona poi il modo con cui è abituato già a muovere la testa più volte come un radar per mappare tutto il campo girando anche il corpo per coprire più gradi possibili e avere poi l’idea di ricevere palla dove si trovano compagni e avversari, a 360 gradi.
A tutto questo bisogna aggiungere la foga con cui si spinge a recuperare il pallone, forse l’aspetto che più ha colpito chi l’ha visto solo nella manciata di minuti tra i professionisti. Gavi si muove tra quanto ha appreso nella Masia e una competitività innata, che lo porta a lottare su ogni palla, a dare per suo ogni contrasto e poi a non lasciarsi sfuggire il pallone neanche in mezzo al raddoppio. Questo doppio talento, col pallone e senza, gli ha permesso di bruciare le tappe. Non soffre la pressione: non è ancora del tutto formato, ma lo è abbastanza per stare in campo senza paura contro qualunque avversario.
Il ricambio generazionale del Barcellona è in atto a piena velocità, accelerata dalla crisi economica della squadra, che nell’ultimo anno ha portato a tagliere il monte stipendi guardando alle giovanili e puntando a giocatori giovanissimi sul mercato: in nessun ordine particolare Yusuf Demir, Pedri, Abde, Ansu Fati, Gavi, Nico González, Alex Balde, Dest e Eric García sono gli Under 21 visti in campo col Barcellona in questa stagione.
Con Xavi è probabile che altri ancora arriveranno, e forse Gavi non sarà titolare così di frequente come lo è ora. Ma è proprio la fiducia incondizionata di Luis Enrique a mostrare che al momento non è importante cosa potrà essere Gavi, ma cos’è già. Per fargli spazio ha tenuto in panchina giocatori come Koke e Rodri, e a casa giocatori come Fabián Ruiz, Canales e Luis Alberto. In conferenza stampa ha detto: «Possiamo vedere che è il presente della Nazionale, non il futuro».
La rapidità con cui è diventato importante in Nazionale ha preso di sprovvista anche il Barcellona, costretto ad accelerare le trattative per il rinnovo di contratto, che scade nel 2023 e ha una clausola di 50 milioni, già ritenuta troppo bassa. E questo, penso, dice tutto.