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Tommaso Giagni
Le radici di Gennaro Gattuso
05 dic 2017
05 dic 2017
Gennaro Gattuso ha avuto tante vite, prima di diventare l'allenatore del Milan.
(di)
Tommaso Giagni
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Da ragazzino non riesce a star fermo. Si acquieta

spia il mare dalla riva o dalla finestra di casa. Per il resto è sempre in movimento. Ed è scaltro.

la sera al porto tornano le barche dei pescatori, si intrufola per aiutare a scaricare le casse. Gli lasciano qualche pesce e mollusco, che lui corre a rivendere in piazza.

 

Da adulto è inarrestabile. Non lo fermano gli infortuni, alle gambe (come quando gioca

) e agli occhi («

doppio ma non mollo»). Non lo fermano i limiti tecnici: il dinamismo riempie le lacune, lo stakanovismo strappa l'attenzione che i suoi piedi non avrebbero. Nella rappresentazione, Gattuso è

. È istintivo, ruvido, aggressivo. Da calciatore

144 cartellini in 537 partite da professionista. Nel febbraio 2011 si becca 4 giornate di squalifica, dopo aver colpito a testate il vice-allenatore del Tottenham, l'ex milanista Joe Jordan.

 

Nella rappresentazione Gattuso è un puro in un mondo opaco. Prendere o lasciare. Non si nasconde, non è ipocrita, non ha filtri. Ai tempi di Pisa, va in conferenza e attacca i giocatori («Sono muso a muso con loro») e il presidente («Deve sistemare le cose, altrimenti nello spogliatoio non ci mette più piede. Perché devo morire io, mi devono portare via da lì dentro: muoio io, e lui può entrare»).

 





 

Rino ha dodici anni e

per Schiavonea insieme al padre per vedere la sfilata di caroselli e colori. È il 1990 e il Milan ha appena vinto la Coppa dei Campioni contro la Steaua Bucarest. Lui per l'emozione fatica a tenersi in piedi.

 

Ventisette anni dopo, Rino è l'allenatore del Milan. Da giocatore ha

le cinquecento presenze in rossonero e ha vinto due volte la Champions League.

 

Schiavonea è una frazione di Corigliano Calabro (CS). Un borgo sul mare dove Gennaro Ivan torna

che ha le ferie, lui che

di fare il pescatore e d'estate si svegliava alle 5

uscire col gozzo. Nasce

, il 9 gennaio 1978. È il primo maschio in una famiglia di donne, eredita il nome del nonno. Una famiglia numerosa, presente. Anni fa Rino

di rimandare il matrimonio per non trovarsi a dover invitare un migliaio di parenti.

 

Suo padre, milanista,

centravanti in serie D, poi si è messo a fare il falegname. Per Rino è stato il primo maestro di calcio. Ha ancora il ricordo del suo borsone che odorava d'olio canforato. Sognava di diventare forte quanto lui. E per lui ha continuato a nutrire quella che definisce un’autentica venerazione: «È il santino che mi porto dietro».

 

Quando militava nel Corigliano, il padre di Rino affrontò nel derby la Schiavonea. Dietro la recinzione c'era suo padre, il nonno di Rino, che vedendolo giocare contro il proprio paese gli urlava contro: “Carne venduta”. Rino Gattuso è diventato padre a sua volta. Ha una figlia di tredici anni e un figlio di dieci. Quando nacque la maggiore, era in Portogallo per gli Europei 2004. Gli telefonarono e lui

domandò se gli assomigliava. 

in Nazionale ascolta l'inno, chiude gli occhi per pensare alla sua infanzia.

 

I primi calci Rino li tira nel paese, sgraffignando le

ai pescatori per farne pali della porta. Gioca anche cinque ore di fila, sulla spiaggia come i brasiliani. «Le gambe me le sono fatte lì». Il legame con la sua terra è forte: «

in calabrese. È più veloce». Tra le attività parallele al calcio, nel 2006

un'azienda ittica per depurare e allevare molluschi. L'ha voluta in Calabria, per dare occupazione. Forte è anche la consapevolezza della sua storia. Gattuso

un emigrante: «Anch'io ho lasciato la mia terra». È per tentare la carriera che lascia la Calabria, quando viene

dal Bologna e preso dal Perugia. Ha tredici anni.

 

In Umbria fa le giovanili e due stagioni in prima squadra. Sufficienti per esordire a diciassette anni in B, e a diciotto in A. Nel 1997 va ai Glasgow Rangers, quando lasciare il campionato italiano è una cosa da avventurieri. Rimane una stagione, perché poi il nuovo allenatore Advocaat

arretrarlo in difesa.

 

Torna in Italia, a fare il titolare di una Salernitana che retrocede. Gattuso ha ventun anni ed è chiaro che resterà nella massima serie. Firma con il Milan,

il padre si impunta, nonostante fosse già stabilito che andasse alla Roma.

 





 

Il padre

il mito di Rivera. Quando scambiano la palla sulla spiaggia di Schiavonea, incoraggia Rino: hai i piedi di Maradona. Lui però preferisce un altro tipo di giocatore. «Quelli che fanno legna, i battaglieri, i gregari. Poco appariscenti ma indispensabili». Il suo modello è Salvatore Bagni. «Credo che mio padre trovasse insopportabile il pensiero».

 

Da calciatore, Rino Gattuso è stato il simbolo della quantità. La dimostrazione che impegnandosi si può arrivare ovunque. Di più: la forza in antitesi alla qualità. L'esempio che possono bastare l'intensità, il cuore, la

. «

il muratore della squadra».

 

L'agonismo con lui diventa una bandiera da ostentare. Si può nascere senza piedi da predestinato, senza il dono della tecnica, e comunque arrivare in Serie A. E come lui collezionare

in nazionale, vincere tra le altre coppe due Champions League, due Scudetti e un'Intercontinentale.

un'onorificenza dal Presidente Napolitano, l'Ordine al merito della Repubblica italiana, perché nel 2006 ha alzato pure una coppa del Mondo.

 

Nel 1982, l'ultima volta che l'Italia aveva vinto i Mondiali, lui aveva quattro anni e il deposito di legnami della sua famiglia

.

 

A un dardo infuocato lo paragonò Walter Sabatini, con cui si incrociarono a Perugia. E con un estintore Daniele De Rossi, raggiunta la qualificazione ai Mondiali 2010,

“a spegnere Gattuso” nella camera d'albergo. Sul

Alberto Costa, nell'autunno 2003, che vedere Gattuso in Champions League era «la conferma di quanto sia trainante il fuoco del coraggio che, in maniera più o meno evidente, arde dentro ciascuno di noi. Per tutti, in fondo, c'è una speranza». Rino pochi mesi prima aveva sollevato la Champions da protagonista, ma evidentemente non si era ancora tolto i pregiudizi di dosso. Doveva vincere ancora.

 



 

Quando dal Perugia va ai Rangers di Glasgow, Rino ha diciannove anni e una posizione contrattuale poco definita.

una fuga, nell'Europa stravolta dalla sentenza Bosman. Gaucci si lamenta che il trasferimento è illegittimo. L'allenatore, Nevio Scala, si dice sorpreso da un ragazzo che credeva leale. Il ragazzo, intervistato nella capitale scozzese,

: «Lì non beccavo una lira, qua mi sono sistemato per tutta la vita. Non c'è nulla di illegale: non sono così stupido da mettere a repentaglio la mia carriera».

 

A vederla in prospettiva, lanciarsi altrove, cercare spazio alla periferia del calcio, è una costante della carriera di Gattuso. Sia da giocatore che in questa prima fase da allenatore. Glasgow, Sion, Creta. A seconda di come la si vede, è un gesto di apertura o senso dell'opportunità. Una passione che non fa gerarchie tra campionati oppure l'assenza di chiamate dalle grandi realtà. In Scozia trovò come compagno Paul Gascoigne,

gli comprava i vestiti per adeguarsi al dress code della squadra e lo tormentava con scherzi tipo defecare nei suoi calzini.

 

E trovò la fiducia di Walter Smith, l'allenatore che per Gattuso

“un secondo padre”. I due si incontreranno da avversari molto tempo dopo, nel girone di qualificazione ai Mondiali 2006, quando lui gioca in nazionale e Smith è il Ct della Scozia.

 





 

Una somma di retoriche imprigiona Rino Gattuso. La retorica del mediano con le palle, quella del

fiero («

avere radici solide, amare le tradizioni, dare al figlio maschio il nome del nonno, avere un rispetto sacro per la famiglia»). O anche la retorica del ragazzo umile, che si sposa male con quando a Glasgow

di pulire gli scarpini ai compagni anziani. In generale lui presta il fianco alla rozza rappresentazione del soldato maschio che s'imbroglia con l'italiano.

 

Forse sarebbe rimasto solo il personaggio, la mascotte dura e pura, se non avesse vinto. E non avesse vinto così tanto. Forse è stato questo ad aprirgli una via di fuga dalla prigione. Forse per essere sé stessi bisogna poterselo permettere. Arrivare ai risultati e da lassù fermarsi a guardare il mondo.

 

Diventa allenatore del Milan una manciata di settimane prima di compiere 40 anni. È il club che tifa da sempre, quello a cui ha dedicato quasi l'intera carriera da giocatore. Per quanto ci si affanni a negarlo, Gattuso ha il profilo del traghettatore. Soluzione interna, poca esperienza, figura amata dai tifosi.

 

Sembra una mossa alla Berlusconi, nel primo Milan post-Berlusconi. E sembra poco casuale che dopo l'ufficialità della panchina lui

il vecchio presidente e non il nuovo. Certo, arriva come una scommessa. Perché il suo curriculum da allenatore fino a questo punto è modesto. «

tante legnate perché mi sono fidato delle persone sbagliate». Una miseria di

con Sion, Palermo e OFI Creta (3, 8 e 17), un passo avanti e uno indietro nelle due stagioni a Pisa tra serie C e B. Fino alle poche, incoraggianti partite alla guida del Milan Primavera.

 

alla prima conferenza stampa nei panni soliti. Gesti a effetto (una stretta di mano per ciascuno dei quaranta giornalisti presenti), frasi a effetto («Per giocare a calcio bisogna fare fatica»). Si propone da sergente di ferro come se l'autorevolezza potesse venire tutta dai titoli.Insiste sul DNA milanista: di nuovo il mito della purezza. Ai giocatori ha detto di non impermalosirsi per i suoi modi: «Le cose si dicono pane al pane, vino al vino». Ha alzato subito i toni: la partita col Benevento dev'essere come una finale di Champions League. Che può dare una scossa o far partire troppo veloce per arrivare in fondo.

 

Negli spogliatoi di San Siro potrà tornare a caricare l'atmosfera con quei discorsi da leader che

, quando li ascoltava da giocatore. Piangeva proprio. «L'emozione non si può controllare. È la cosa più bella».

 

 

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