
Come reagireste se la vostra squadra preferita, quella che tifate sin da bambini, si unisse con i vostri acerrimi rivali? In Europa è un qualcosa di inconcepibile, mentre negli Stati Uniti le relocation sono all’ordine del giorno, e complice la diversa cultura del tifo (tranne rari casi, come il “ratto” dei Seattle Supersonics da parte dell’Oklahoma) sono anche prese abbastanza bene. In fin dei conti direste mai che i Los Angeles Lakers, forse la più importante franchigia sportiva del mondo, prima erano a Minneapolis?
Immaginate di dover condividere il vostro tifo con qualcuno che prendevate per il culo fino a ieri, o dopo aver passato anni ad infamare un’altra squadra su un qualsiasi social di dovervi improvvisamente trovare a difendere una nuova entità, nata probabilmente per soldi e risultati. Forse è quello che hanno pensato in questi giorni i tifosi di tutta Sheffield, fiera e dura città dell’acciaio inglese, dopo che il Telegraph ha rivelato che il miliardario statunitense John McEvoy, proprietario dello United, ha tentato di rivelare anche lo Sheffield Wednesday e fondere così i due club in uno solo.
Chiaramente non c’è un singolo tifoso di entrambe le squadre favorevole e la cosa sembra essere morta sul nascere, ma questo tipo di operazioni non sono per niente un unicum, specialmente nel calcio inglese che sembra essere fissato con questo taglia e cuci di squadre e tifoserie.
Voi starete pensando che in Italia sarebbe impossibile ma non è così. Tra proposte vere e vicine al traguardo e proposte finte c’è un vero e proprio atlante di fusioni mancate, italiane e straniere. Un tentativo di power ranking, tenendo anche in conto la fattibilità reale della cosa, con una sola cosa in comune: la bile dei tifosi e la voglia sfrenata di guadagnare dei presidenti. In fin dei conti però cosa non è il calcio se non l’unione di bile e voglia di fare soldi?
10 - SHEFFIELD: “LA STORIA SI RIPETE DUE VOLTE, PRIMA COME TRAGEDIA, POI COME FARSA”
Nonostante abbia ispirato tutto questo, non potevo che mettere lo Sheffield qui per due motivi principali: non ci siamo andati molto vicini e soprattutto non è nemmeno la prima volta che viene proposta. Già nel 1999 infatti era uscita fuori l’idea di una fusione tra i due principali colossi della città dell’acciaio, anche se all’epoca i rapporti di forza erano nettamente a favore del Wednesday, che era in Premier League. La proposta infatti arrivò dallo Sheffield United in First Division, con il managing director dei rossoneri John Thurman che espresse la volontà di iniziare trattative per la fusione con la dirigenza rivale.
Stranamente i motivi erano economici, come notato dallo stesso Thurman, dato che il Wednesday e lo United erano i club della Football League con le perdite più grosse. In un periodo storico in cui perdere quasi 10 milioni di sterline (il Wednesday) e quasi 7 (lo United) erano considerate cifre grosse. Il presidente del Wednesday David Richards si dice favorevole all’idea ma aggiunge pure che in uno sport «tribale» come il calcio i tifosi non l’avrebbero mai accettato.
È notizia invece di due giorni fa che il miliardario John McEvoy ha deciso di applicare il modello statunitense alla città di Sheffield, provando a fare quello che Henry Norris (vedremo poi) aveva provato a fare un secolo prima: comprarsi le due principali squadre di una città. Per ora tutte e due i presidenti hanno rifiutato di commentare, ma la proposta (come ovvio) è stata presa malissimo dai tifosi di entrambe le squadre, ed è quasi impossibile che la FA accetti di permettere una cosa del genere. E la cosa più divertente è che questa notizia arriva qualche giorno dopo il derby di Sheffield, vinto dallo United per 3-0 contro il derelitto (e penalizzato) Wednesday. Nemmeno il tempo delle pernacchie.
9 - PALERMOTANIA
Altro che Sheffield unita sotto un’unica bandiera, volete mettere con la Sicilia? Senza dubbio questa è la proposta che mi rende più triste. Per motivi di tifo? Assolutamente no: perché non si è andato avanti nel generare ancora più caos con una proposta del genere. E non mi stupisce che a paventarla sia stata un vero e proprio Gran Sacerdote del caos sportivo come Maurizio Zamparini, nonché uno dei pochi in questa lista, se non l’unico, ad essere riuscito a fare “l’americanata”, ovvero spostare un club letteralmente da una città all’altra. È il 2012 e Zamparini, come sta cercando di fare da anni, dice di essere in procinto di vendere il Palermo. Si presenta in conferenza stampa con due uomini arabi, di cui uno, Ahmed Zubeidi, dice di essere il portavoce di una società araba di investimenti finanziarie, l’AMA Group. A vederli in conferenza stampa, con quello che vestito di tutto punto in costume tradizionale arabo continua a sistemarsi il cappello, sembra più uno spettacolo teatrale, ma Zamparini ci crede, o quantomeno vuole trasmettere a noi che ci crede, e la cordata promette 200 milioni di investimenti nel Palermo.
Nella conferenza stampa, rispondendo ad una domanda, Zamparini parla delle potenzialità inespresse del Sud e come un’unica squadra siciliana avrebbe il bacino per competere con le grandi del Nord. Il riferimento velato è al Catania, che tanto bene stava facendo in quel momento storico (e che l’anno dopo finirà ottavo). Una boutade per chiunque, chissà quanto seria per un presidente che ha fuso due squadre e la squadra nata dalla fusione l’ha spostata da Venezia a Palermo, neanche fosse Cleveland.
Gli arabi spariranno, Zamparini li giustificherà dando la colpa al caso calcioscommesse scoppiato nel 2012, con un monito anche morale da parte degli arabi al nostro calcio: «La risposta degli arabi è questa: fino a quando nel nostro Paese non tornerà la legalità, il buon senso e la voglia di fare non verranno». Qualche anno dopo l’ex patron del Palermo tornerà sulla vicenda dicendo che era stato un tentativo di truffa, un po’ come la Roma e Al Qaddumi. L’idea invece di una fusione la porterà avanti, anche solo graficamente, una squadra sarda, l’ASD Osilese, che nel suo stemma unisce i loghi di Palermo e Catania.

8 - LA XANADU DI LUCA CAMPEDELLI
C’era una volta a Verona un tempo in cui il Chievo era di gran lunga la principale squadra della città, sia a livello economico che di risultati. Il povero Chievo come Charles Foster Kane in Quarto Potere aveva tutto: la Serie A, i bilanci in ordine, una buona squadra che si salvava con la pipa in bocca ogni anno, eppure voleva più di tutti una cosa che non poteva avere: una tifoseria. Non so se il presidente Campedelli si trovasse come Kane in una stanza oscura della Paluani, la sua Xanadu, a stringere una palla di vetro sussurrando: «Luciano Siqueira de Oliveira», ma nel 2008 Campedelli va vicino a rilevare l’Hellas, spinto anche dalla politica locale, con la squadra veronese all’epoca in grossa crisi finanziaria e appena salvata da Giovanni Martinelli.
Campedelli incontra dei tifosi del Verona, non contrari all’acquisto ma assolutamente contrari alla fusione, e paventa la creazione dell’H.C Verona, l’Hellas-Chievo Verona. Un'idea non nuova, dato che già nel 2004 se ne parlava in città. Il sindaco Flavio Tosi vede di buon occhio la cosa e parte la macchina per la fusione. Campedelli conferma pubblicamente la cosa e ci sono incontri in gran segreto tra le due parti, con in mezzo personaggi della politica e dell'industria locale. Martinelli prende il controllo dell’Hellas e sembra il traghettatore designato verso la fusione, ma il nuovo presidente non è convinto. Ad un passo dal traguardo, anche per pressione dei tifosi incontrati nei fan club dell’Hellas, alla fine Martinelli decide di far deragliare il progetto Hellas-Chievo, iniziando a programmare la stagione successiva e rifiutando l’offerta di Campedelli. Sedici anni dopo, la Xanadu di Campedelli non esiste più e l’Hellas Verona è ormai ininterrottamente in Serie A da 7 anni. Sic transit gloria mundi.
7 E 6 - IL POVERO FULHAM E LA SINDROME DI BRIDGET JONES
L’anuptafobia, detta anche volgarmente "sindrome di Bridget Jones", è una condizione di paura persistente e irrazionale di rimanere da soli. E proprio come Bridget Jones, che nei suoi diari passava da un’avventura romantica all’altra, il Fulham deve soffrire storicamente di anuptafobia, dato che ha deciso più volte che no, la vita da Fulham è una condizione di solitudine troppo grande per non doverla condividere con qualcuno. Anche se hai il Craven Cottage e sei il club della zona Sud di Londra, uno dei quartieri più posh della capitale.
Tutto nasce da Henry Norris, palazzinaro della Londra edoardiana e che si ritrova ad essere il presidente del Fulham, il quartiere dove aveva costruito la maggior parte della sua fortuna immobiliare. E Norris forse è la singola persona più importante del calcio londinese, almeno indirettamente, dato che nel 1905 gli viene offerto di far giocare il Fulham a Stamford Bridge. Norris però rifiuta, l’affitto di 1500 sterline all’anno è insostenibile (oggi sarebbero 250mila) e rifiuta l’offerta di Gus Mears, che a quel punto deve inventarsi qualcosa con i suoi terreni. Leggenda vuole che Mears stesse per vendere baracca e burattini alle ferrovie inglesi, che avrebbero trasformato Stamford Bridge in una discarica di carbone, ma che il suo cane scotch terrier abbia morso il suo amico Fred Parker, che gli suggeriva ancora di fondare un club. Nasce così il Chelsea, che sarà posseduto dalla famiglia Mears fino al 1982, quando poi verrà venduto a Ken Bates.
Nel 1910 però Norris decide che il Fulham non basta e compra anche il Woolwich Arsenal pieno di debiti e con uno stadio vecchio e diroccato (il Manor Ground) a Plumstead, non lontano da Fulham. La sua idea è quella di comprare l’Arsenal, spostarlo al Craven Cottage e unire i due club, offrendosi di ripagare personalmente tutti i debiti. I tifosi si lamentano, ma le azioni pubbliche erano andate invendute, rendendo così Norris l’unico possibile proprietario. A fermare il progetto ci pensano i due grandi moloch dell’umanità: lo Stato e la Chiesa. La Football League pone il veto, ma soprattutto la Chiesa d’Inghilterra, reale proprietaria del Craven Cottage e contraria per una questione “morale” (il calcio all’epoca era considerato vettore di vizio). Il piano fallisce.
Norris procede comunque con l’acquisto, e si ritrova così ad essere presidente di due club del sud di Londra. Resiste tre anni a Plumstead con il Woolwich Arsenal ma poi fa buon uso della sua amicizia con l’arcivescovo di Canterbury Randall Davidson, che gli dice che se vuole, anche se il calcio è uno sport immorale, può prendersi i terreni dell’oratorio di St’John’s, a Islington, nel nord di Londra. La condizione per i 20 anni di leasing dei terreni sono che non si gioca in giorni “santi” e che non si può vendere alcol. Tra le proteste dei residenti nasce lo stadio di Highbury e il Woolwich Arsenal diventa solo Arsenal. Non saranno solo vent’anni e l’alcol scorrerà a fiumi tra gli spalti.
La sindrome di Bridget Jones torna prepotentemente nei thatcheriani anni ‘80, in cui le uniche union benvolute dal governo erano quelle di club di calcio. Il proprietario del Fulham David Bulstrode, proprietario dell’impresa edilizia (torna sempre) Marler Estates convince il proprietario del Queen’s Park Rangers Jim Gregory a vendergli il QPR e il suo stadio, Loftus Road, e in una conferenza stampa congiunta annunciano la nascita del Queen’s Park Rangers. Con la volontà di spostare il Fulham a Loftus Road e di rendere Craven Cottage un complesso residenziale, demolendolo. Un piano fatto meramente per il profitto e accolto con sit-in di protesta, lettere pubbliche e oltraggio da tutte e due le parti. A portare a più miti consigli Bulstrode e Gregory ci pensa di nuovo la FA come nel 1912, vietando lo spostamento in quanto i club venivano usati come “mero asset immobiliare”. L’ex giocatore del Fulham Jimmy Hill rileva con un consorzio il Fulham e lo salva dalla morte prematura. Andrà peggio (a vostra discrezione) a Bulstrode, morto a 47 anni per un infarto mentre faceva sesso con una sua amante.

5 - L’UTOPIA PISORNO
Quando ero piccolo mi sono ritrovato a leggere dei numeri del Vernacoliere, lasciati a casa di mia nonna (in Campania, sic) da mio zio, ed è stata quella la prima volta che ho potuto sperimentare l’odio viscerale che intercorre tra Pisa e Livorno. Una tipologia di odio francamente non pienamente comprensibile in tutta la sua potenza storica e umana se non sei nato in Toscana.
Eppure il vulcanico presidente del Pisa, Romeo Anconetani, a un certo punto propone di unirle. Il Pisa è appena retrocesso in Serie B nel 1991 dopo anni di fiera militanza in Serie A; il Livorno se la passa molto peggio: è in Eccellenza Toscana a seguito del fallimento dell’anno prima, sicuramente per gioia dei tifosi pisani.
Nonostante tutto questo il presidente del Pisa è deciso: la zona di Livorno e Pisa, che distano solo 27 chilometri l’una dall’altra, è troppo potenzialmente forte per poterci rinunciare. Propone quindi una fusione tra le due squadre, con uno stadio da 40mila posti da costruire a metà tra Pisa e Livorno, in modo da “unire” le due città e non scatenare troppo i campanilismi. A questo proposito fa giocare una sfida agostana di Coppa Italia del suo Pisa all’Armando Picchi di Livorno. Dovrebbe essere una mano tesa ai livornesi, e il Pisa vince sul campo 2-0 contro il Monza grazie ad una doppietta di Marco Ferrante, ma va molto peggio tra gli spalti e fuori. Già prima della partita i tifosi del Pisa avevano protestato, e a Livorno Anconetani subisce anche l’ira dei labronici, che preferiscono la squadra tra i dilettanti che la creazione del “Pisorno”. Anconetani subisce il colpo e ferma qualsiasi tentativo di questo “amore impossibile” (come avrebbero detto i Tiromancino) e il declino del Pisa di Anconetani continua inesorabile fino al fallimento del 1994. Forse è andata bene così per entrambe.
4 - JUVENTUS E TORINO
Se il "Pisorno" vi è sembrato un oltraggio, la "Juvoro" vi sembrerà una bestemmia. A fine anni ‘50 la Juventus viene da un brutto periodo, il “decennio d’oro” è lontano e il Torino non si è ancora ripreso da Superga, spedendo entrambe le squadre di Torino appaiate all’undicesimo e dodicesimo posto nel campionato 1955/56. Le casse societarie languono, gli spettatori sono pochi, e il divario con le milanesi sembra aumentare in una guerra tra poveri (anche se il campionato quell’anno lo vince la Fiorentina). Giovanni Agnelli a quel punto tira fuori una proposta audace per non dire altro: unire Juventus e Torino dando vita ad una sola squadra per la città.
Ma sì, alla fine il derby è una seccatura, dice tra le righe Agnelli, e i tifosi di Torino città secondo lui, complici le poche presenze allo stadio, non si meritano addirittura due squadre, mentre con una sarebbe molto più facile poter diventare ancora più protagonisti in Europa. Il Torino poi era ancora spezzato dalla tragedia di Superga, e quella della Juventus sembra una mano tesa per rialzarsi. Senza contare il danno d’immagine per una città come Torino, condannata ad avere due squadre prima così forti e ora così mediocri. L’idea di Agnelli però è un po’ campata per aria: non viene seguita da proclami o da un piano vero e proprio, ma entra abbastanza in circolo per essere discussa tra i bar di Torino e i media, chiaramente per lo sconcerto di entrambe le tifoserie.
La voce che si leva è quella dell’ex CT della Nazionale Vittorio Pozzo, tra gli avventori di quei bar e spesso fermato dai tifosi per esprimere la sua opinione sul tema per le vie di Torino. La cosa curiosa è che l’invettiva di Pozzo arrivi nel 1958, ormai tre anni dopo i propositi di Agnelli ma a testimonianza di come il tema, nonostante lo scudetto del 1958 vinto dalla Juve, fosse ancora molto caldo in città. Pozzo, nobiltà calcistica torinese e allenatore del Torino dal 1912 al 1922, viene convinto ad intervenire pubblicamente e tuona sulle colonne della Stampa: “una fusione mancherebbe di rispetto al passato del Torino e della Juventus”. L’ex CT non si ferma e fa notare giustamente, bacchettando i due proprietari di Torino e Juventus, che i tifosi torinesi sono di bocca buona e non possono accontentarsi di uno spettacolo: “Che il pubblico sportivo a Torino sia scarso e difficile è verissimo. Il piemontese è risparmiatore, ama lo spettacolo bello, non spende per quello scadente. Alle grandi, alle belle partite, corre in massa, ma solo a quelle. Bisogna dargli una grande squadra ed offrirgli un grande spettacolo perché si faccia avanti.”.
Pozzo è ancora influente e il suo editoriale spegne di fatto ogni proposito, e infatti non se ne troverà più traccia da quel momento in poi. E chissà che Andrea Agnelli quando ha proposto la Superlega non stesse ripensando proprio a quell’idea del suo avo, ma anche alle parole di Pozzo, che qualche valenza ce l’hanno ancora.
3 - CUORI DI EDIMBURGO
Come in Italia, anche in Scozia il ruolo di capitale politica non coincide sempre con quello di capitale calcistica: lì, com'è noto, la rivalità principale se la prendono Celtic e Rangers. E per quanto non sia una rivalità “cattiva” e religiosa come l’Old Firm anche ad Edimburgo c’è una bella dose di odio sportivo tra le due squadre principali della città, gli Hearts e l’Hibernian. Nello stile di Gianni Agnelli per la "Juvoro", proprio per la loro subalternità l’ambizioso presidente degli Hearts William Mercer vuole sfidare il dominio di Glasgow, e lo fa a modo suo: provando a comprare l'Hibernian. I verdi erano in crisi economica da tempo e la storia ricorda un po’ quella già raccontata del Woolwich Arsenal, anche se questa è una delle poche volte in cui i principi sportivi, più che quelli economici, guidano la volontà di fondere due eterne rivali. Il ricco Mercer inizia una scalata pubblica verso l'Hibernian, che nel suo piano sarebbero dovuti sparire e il loro stadio Easter Road liquidato in modalità simili a quelle del Fulham. Tutto questo per creare un Edimburgh United capace di lottare contro le due grandi e ravvivare la competizione in Scozia (e nel 1986 proprio i suoi Hearts erano andati a 10 minuti dal titolo).
La Scozia è la terra degli scontri fratricidi, ma a differenza di Macbeth e MacDuff le due tifoserie iniziano a collaborare per scongiurare una fusione inaccettabile. Nasce la campagna Hands off Hibs, lanciata chiaramente dai sostenitori dei biancoverdi che si organizzano per protestare sotto Easter Road, e ne nascono scontri con la polizia e i dirigenti dell’Hibernian spaventati. Addirittura un tifoso viene arrestato davanti a casa di Mercer con un’ascia in mano, proiettili vengono spediti a casa di Mercer che viene costretto a mettere la sorveglianza, e marce di protesta si susseguono in tutta Edimburgo.
Nel frattempo, però, Mercer scala fino al 60% dell’Hibernian con la quota necessaria per prendere il controllo del club al 76%. Di fronte a questa iniziativa parla addirittura il capitano degli Hearts, John Robertson, che parla contro gli interessi del suo presidente, e un tifoso anonimo degli Hearts dona 20.000 sterline all’Hands off Hibs per cominciare a rilevare le quote mancanti.
Alla fine Mercer è costretto a ritirarsi dall’acquisto e quattro anni dopo lascia anche gli Hearts, nonostante i buoni risultati sul campo, odiato da tutti. Ironia della sorte morirà nel 2006, qualche giorno prima del derby di Edimburgo, e il sentimento contro di lui era ancora così forte che quattro anni dopo la vedova e i figli saranno costretti a rilasciare un comunicato su un giornale di Edimburgo, difendendo la scelta di Mercer sulla base del campionato stritolato da Celtic e Rangers. E se avesse avuto ragione?
2 - LA ROZIO
Se ad Edimburgo è stata presa così, figuriamoci a Roma. Immaginereste mai Roma e Lazio insieme? Ovviamente no. La prospettiva però è stata molto reale e probabilmente la sanno a memoria tutti i tifosi delle due squadre, anche perché è un oggetto del contendere da entrambi i lati. I laziali rivendicano la loro purezza dicendo che il generale Giorgio Vaccaro si è tirato fuori dalla fusione tra Alba, Fortitudo e Roman e quindi la Roma e i romanisti so’ nati da una fusione. Dall’altro lato i romanisti prendono in giro la controparte per aver rinunciato a “prendere” il nome della città che entrambe rappresentano, Roma.
La "Rozio" però è andata davvero vicina dal diventare realtà. Nel 1927 infatti si incontrano, su spinta del gerarca fascista Italo Foschi, Alba e Fortitudo, quest’ultima presieduta proprio da Foschi. Quella delle fusioni era una fissazione molto frequente nell’epoca sportiva fascista, anche se Mussolini non era granché interessato al calcio, ma tante delle fusioni che sono risultate in squadre ancora oggi esistenti sono avvenute in quel periodo. Le motivazioni erano pratiche, e nel caso di Foschi il movente era semplice: le squadre romane erano di basso livello (vagavano nelle prime due serie con scarsi risultati) e quindi andavano unite le forze. Fortitudo e Alba trovano subito un accordo e a quel punto Foschi prova a coinvolgere la Lazio del generale Giorgio Vaccaro, gerarca fascista come lui. Qui la storia diverge, i tifosi laziali, sulla spinta dei nipoti di Vaccaro, dicono che il “gran rifiuto” arriva perché Vaccaro non poteva fondere la Lazio con altre squadre.

In realtà un'altra teoria narra una realtà molto meno romantica per entrambe le squadre. Ovvero che la "Rozio" (che in realtà si sarebbe dovuta chiamare Fortitudo Lazio) non è nata soprattutto per banali motivi di accordi economici, confermati sia da Foschi che da Vaccaro, e soprattutto per diverbi sul nome Lazio a cui Vaccaro in nessun caso avrebbe rinunciato.
Il generale anzi in una lettera a Il Tevere ci tiene a precisare che è stata la Fortitudo di Foschi a togliersi dal tavolo delle trattative. "A me premeva, quindi, solo rettificare due punti sostanziali che dimostrano chiaramente come la richiesta di trattative di fusione fatta da Foschi rimase senza conclusione non per volontà della Lazio, la quale anzi fu sorpresa dall'improvvisa e non giustificata resipescenza, dovuta evidentemente ad altre ragioni che non occorre qui ricordare". Arriverà poi la ricca Roman a salvare la fusione e creare, di fatto, la AS Roma.
1 - IL GENOADORIA (O SAMPENOA)
Le motivazioni che hanno portato alla nascita della Roma sono anche alla base di quelle della Sampdoria, con Andrea Doria e Sampierdarenese che danno vita nel 1946 alla Sampdoria. Una fusione che ha dato ragione alle motivazioni delle deboli società fondatrici, dato che fino alla scorsa estate non era mai retrocessa in Serie C e solo l’intervento divino ha salvato la Samp dai “funerali” dei cugini del Genoa. Unire Samp e Genoa, però, è un altro paio di maniche: eppure, anche se vi sembra un’ucronia, ci siamo andati vicini davvero.
È una storia che comincia per colpa di Pelé - proprio lui, Edson Arantes do Nascimiento, uno dei più forti calciatori di sempre. Corre l’anno 1969, il Genoa è in Serie B e la Sampdoria è appena tornata in Serie A, ma vive un periodo difficile a livello economico ed è costretta a vendere ogni anno i suoi calciatori migliori. Al presidente della Sampdoria Colantuoni viene l’idea che avete già letto più volte in questo pezzo: uniamo le squadre in una sola per portare più lustro a Genova. La curiosità però è come arriva il primo test di una possibile "Genoadoria". Colantuoni contatta il presidente del Genoa Fossati e lo convince a creare una squadra comune per affrontare il Santos di Pelé, in una delle sue numerose tournée europee.
Il 24 settembre 1969 scendono in campo quindi per un’amichevole congiunta, la maglia è rossa in onore della croce di San Giorgio, simbolo di Genova, i pantaloncini sono bianchi. A differenza di quanto raccontato finora però non ci sono scontri fuori dal campo, proiettili spediti o altro, solo una grossa umiliazione. Pelé infatti fa a fette la difesa del "Genoadoria" con due gol e un assist e la partita finisce con un terrificante 1-7 a favore dei brasiliani, probabilmente una delle più forti squadre del mondo in quel momento e con Pelé che aveva già vinto due Mondiali. Non so se Pelé fosse un autarchico identitario, ma vedendolo distruggere la squadra di Genova unita tifosi e presidenti si dissero in tranquillità che la fusione non s’aveva da fare.
L’idea tornerà poi di moda nel 2012, con il presidente del Genoa Preziosi che dirà che è un peccato che le risorse di Genova debbano dividersi in due squadre e Riccardo Garrone a dargli ragione, con i tifosi a dir poco contrari. Nel 2016 sarà Novella2000 a parlare di incontri tra Preziosi e l’allora presidente della Samp Massimo Ferrero per parlare di una fusione, e che sia finita su un giornale di gossip non può che dirci tutto della serietà della cosa.
Forse a volte si sta davvero meglio a leccarsi le ferite, ma con qualcuno da odiare.