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Lorenzo De Alexandris
From Udine with love
01 apr 2016
01 apr 2016
I migliori talenti ad aver vestito la maglia dei friulani di recente.
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Lorenzo De Alexandris
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L’era Pozzo, cominciata ad Udine nel lontano 1986, ha arrancato tra alti e bassi fino ai primi anni Duemila, momento in cui il “sistema Udinese”, fatto di acquisti a basso costo di giovani promesse e cessioni strategiche a cifre spesso altissime, è finalmente risultato vincente.  A garantire il successo dell’investimento è la legge dei grandi numeri: la società di Udine, infatti, è  uno dei club che ha più giocatori sotto contratto al mondo e tra questi, anche grazie alle capacità di scouting dei suoi osservatori, riesce inevitabilmente a trovare un buon numero di talenti.  Di seguito trovate i migliori dieci, alla luce soprattutto del successo delle loro carriere dopo aver lasciato l’Udinese.

 



 

Prima di addentrarmi nella classifica, però, credo sia necessario fare un piccolo accenno a quello che è forse il più grande talento dell’era Pozzo, atipicamente trasferitosi all’Udinese per restarci il resto della carriera. Antonio Di Natale infatti non è solo un calciatore dell’Udinese, ne rappresenta l’essenza stessa. È il 2004 quando Totò lega la storia del club di Udine alla sua carriera, rendendo la 10 bianconera la sua seconda pelle. Portato in Friuli da Spalletti, l’uomo che lo aveva fatto esordire a 19 anni in Serie B ai tempi dell’Empoli, Di Natale ha collezionato 381 presenze con il record assoluto di 190 reti, con la media di un gol ogni due partite giocate. Una classifica   è troppo poco per celebrare  un giocatore che rimarrà per sempre nella storia dell’Udinese e del calcio italiano (6° marcatore di sempre della Serie A).

 



 

Martin Jorgensen, timido e talentuoso,  è sempre riuscito a diventare titolare inamovibile in tutte le squadre dove si è trasferito(solamente tre, una rarità per gli standard del calcio moderno): l’Aarhus, il suo primo e ultimo club danese, la Fiorentina, dove è diventato un beniamino dei tifosi, in mezzo l’Udinese. Sette stagioni dove ha imparato a maturare come giocatore, interpretando più moduli e più ruoli con qualsiasi allenatore:  da interno di centrocampo ad ala offensiva.

 

Le 184 presenze e i 30 gol segnati in carriera  rappresentano il lascito più evidente del danese, cresciuto nella generazione dei campioni d’Europa 1992 e arrivato ai quarti di finale, tanto per cambiare da titolare, al mondiale del ’98 (illudendo tutti con il

contro il Brasile dopo 2 minuti).

 



 

Fiore è uno dei pochi giocatori in questa classifica ad aver raggiunto l’apice della sua carriera all’Udinese. Il periodo friulano, durato due stagioni, è riuscito infatti grazie alle sue prestazioni ad oscurare gli anni di Parma, con la Coppa Uefa vinta, in parte da protagonista. Ad Udine Stefano Fiore ha costruito la più grande occasione della sua carriera: l’Europeo del 2000 in Belgio e Olanda. L’annata bianconera genera addirittura un dualismo con Francesco Totti (proseguirà nei derby capitolini in maglia biancazzurra) e la richiesta da più parti di una staffetta tra i due. In realtà molte partite le giocano assieme e a farne le spese è soprattutto Alex del Piero: con il Belgio, nel girone, segnano entrambi e in finale giocano tutti e due da titolari.

 

“Forse la sensazione più brutta è quella di avere la consapevolezza che un’occasione come quella non ti capiterà mai più”.  Anche se alla Lazio non demeritò mai, infatti, le stagioni con De Canio e Spalletti restano quelle dell’esplosione a livello nazionale.

 




 

Così come Fiore, anche Vincenzo Iaquinta è esploso in maglia bianconera, riuscendo a ritagliarsi un ruolo anche in Nazionale. A lui però è toccata una sorte migliore rispetto al precedente, entrando nell’Italia campione del mondo del 2006 e segnando  addirittura

nella prima partita di quel Mondiale contro il Ghana.

 

La sua storia parte da lontano, da quell’incredibile Castel di Sangro che Iaquinta ha vissuto giovane dalla panchina. Nel 2000 l’Udinese crede in questo attaccante, forte fisicamente  e capace di adattarsi  a diversi ruoli, come la seconda punta  e l’esterno di centrocampo. Due esordi significativi: in campionato, il 1° ottobre 2000, entra e segna al Brescia;  e in Champions League, dove realizza una tripletta contro il Panathinaikos. La Juve lo acquista nel 2007 per poco più di 11 milioni.  Anche in questo caso esordio con goal, stavolta una doppietta al Livorno.

 



 

David Pizarro è forse la rappresentazione più compiuta del sistema Udinese che si è affermato negli anni Duemila. Dal Sud America ad Udine, per un periodo di ambientamento, poi altri sei mesi in Cile ed infine la consacrazione in bianconero: è l’arrivo di Luciano Spalletti a cambiare totalmente la sua carriera.

 

In Cile gioca soprattutto da trequartista, o meglio da

,  con l'enorme qualità tecnica che possiede. Ma Spalletti  lo reinventa in una zona che per i suoi schemi è particolarmente nevralgica: davanti alla difesa. Non conta il modulo, che sia il 3-5-2 o il 4-3-3 ad Udine, Pizarro diventa il regista della squadra, senza eccessivi compiti difensivi, a cui invece devono pensare Muntari e Pinzi. All’abilità tecnica

ha sempre associato una certa sfrontatezza, che gli  permetteva di mantenere il possesso anche in zone particolarmente  pericolose del campo. L'emblema di questa attitudine è tutta nella sua giocata: sul pressing dell'avversario, sembra che stia perdendo la palla, poi con il tacco si smarca portando la sfera dal destro al sinistro. Una piroetta velocissima, impensabile quasi per tutti (non tutti i tifosi amavano quei rischi, che a volte si sono trasformati in errori), meno che per lui.

 




 

Abel Balbo è il primo dei grandi attaccanti dell'era Pozzo. Argentino, già famoso in patria con il Newell's  e  con  il River Plate, ad Udine trova la dimensione perfetta per il suo gioco. L'argentino  dai capelli lunghi sfrutta le sue doti di testa  e la progressione negli spazi. Nonostante la sua prima stagione si concluda con la retrocessione dell'Udinese, il Ct della

Bilardo non solo lo convoca per Italia '90, ma pensa addirittura di farlo giocare titolare accanto a Maradona. La sconfitta nella giornata d'esordio con il Camerun ne frena però l'intenzione.

 

Ad Udine quattro stagioni, con una promozione e soprattutto una salvezza: lì c'è il suo ricordo più bello, quel goal a Bologna nello spareggio decisivo contro il Brescia di Lucescu e Hagi.

 




 

Stranamente il primo brasiliano dell'era Pozzo arriva solo nel 1996. Prima di approdare in Italia, Marcio Amoroso ha fatto il giro del mondo partendo dal Brasile,  passando in Giappone (al Verdy Kawasaki) e poi ritornando in patria.  Se ci sono delle costanti nella sua carriera, sono stati i goal segnati e la fragilità delle sue ginocchia. Quando arriva alla corte di Alberto Zaccheroni, presentato in Piazza San Giacomo proprio da Zico, è una scommessa carica di speranza. Il modulo del romagnolo è il 3-4-3 e Amoroso trova spazio nel tridente come esterno accanto a Bierhoff e Poggi. Segna e gioca bene per due stagioni (nonostante nella seconda viva molti più problemi rispetto all'inizio), tanto che il ct Zagallo lo vorrebbe convocare per Francia '98.

 

L'ennesimo infortunio lo frena, ma Marcio, senza l'ingombrante presenza di Bierhoff, libera la sua qualità da  finalizzatore: nel 1998-99 vince la classifica capocannonieri con 22 reti. È l'apice della sua carriera, una parabola pronta alla fase discendente con l'infortunio in Copa America per il fallo di Simeone e la cessione miliardaria al Parma di Tanzi. Il suo legame con Udine però resta: “Ho sangue

”.

 



 

La rappresentazione della perfetta equazione

tra prezzo pagato, qualità espressa e guadagno finale ha un nome e cognome: Mehdi Benatia.  Acquistato da Pozzo per 500mila euro dopo un grave infortunio al Clermont, in Ligue2, lorivenderà alla Roma per 13,5 milioni  solo pochi anni dopo.

 

Vive da protagonista l'epopea della grande Udinese di Guidolin, quella che in tre anni arriva consecutivamente quarta, terza e quinta. L'ossatura (Sanchez, Inler, Zapata) viene ceduta dopo il primo anno, ma la solidità difensiva non ne risente proprio grazie alla fisicità e alla velocità del marocchino. Forte nell'anticipo,  brillante nella lettura dell'azione e sempre in controllo della sua enorme mole: sembra il famoso “elefante nella cristalleria”. La differenza è che lui non rompe neanche il più piccolo Swarowski.

 




 

Terzino sinistro, difensore centrale, mediano, prezioso in fase di copertura e in quella offensiva, Nestor Sensini è stato, come veniva indicato nell'album Panini, il

per eccellenza. La sua duttilità lo ha portato ad una carriera longeva capace di aprirsi e chiudersi in Italia nello stesso luogo, Udine. Dalla Seria A alla B, passando per un mondiale(quello del '90 giocato con l'Argentina).

 

Le tante stagioni a Parma con la parentesi Lazio vengono incorniciate dal suo ritorno nel 2002 in bianconero. Estremamente duttile anche nell'ultima annata della sua carriera, quando nel febbraio 2006 passa dal campo alla panchina, sostituendo per volere dei Pozzo l'esonerato Serse Cosmi. È la seconda scelta sbagliata della sua longeva esperienza:“Non c'erano i presupposti per fare bene”.  Dopo poco più di un mese si dimette. Il primo

era avvenuto 16 anni prima all'Olimpico con la maglia

, causando il fallo da rigore su Völler nella finale mondiale contro la Germania: “Forse non rifarei quell'intervento,

”.

 



 

Dell'undici titolare del Cile che ha vinto la Copa America nel 2015, tolti i soli Bravo, Beausejour e Valdivia, figurano solamente calciatori compresi per anno di età tra 1986 e il 1989. Di questa generazione d'oro, il diamante più splendente è rappresentato da Alexis Sanchez,

come era soprannominato nel Cobreloa. L'Udinese spende due milioni di euro per il piccolo attaccante di Tacopilla all'età di 18 anni, decidendo però di lasciarlo due anni tra Colo Colo e River Plate.Quando arriva a Udine però è ancora acerbo: rapido, tecnico, potente, ma ancora poco determinante.

 

Un giocatore in squadra resta però subito impressionato da lui per qualità e atteggiamento, Di Natale: “Ho visto tanti giocatori talentuosi ma indolenti, lui invece era il contrario: sempre concentrato con tanta qualità e pronto a migliorare anche tatticamente”. Vede in lui la capacità di fare tutto, anche di giocare a centrocampo in caso di emergenza. Più semplicemente “l'attaccante più completo al mondo”. E infatti Pozzo lo vende al Barcellona nel 2011 per 26 milioni di euro.

 





 

Oliver Bierhoff  non rispecchia a pieno il prototipo del giocatore semi-sconosciuto acquistato e valorizzato dall'Udinese, ma è quello che per esperienze precedenti ed esplosione nel campionato italiano in maglia bianconera ha stupito più di tutti dal 1986 a oggi. Arriva ad Udine  tardi,  ha 28 anni, ed ha già giocato in Germania, Austria e in B con la maglia dell'Ascoli per quattro stagioni. Pozzo ci scommette sopra poco più di 2 miliardi e lo affida a Zaccheroni per inserirlo nel gruppo che deve affrontare la prima stagione in A. Nel suo ormai celebre 3-4-3 il tedesco di Karlsruhe funge da perno centrale,  che grazie alla sua stazza fa salire la  squadra, permette  ai compagni di inserirsi negli spazi alle sue spalle e  soprattutto segna. 17 goal la prima stagione e 13 nella seconda, di mezzo la convocazione all'europeo inglese con la Germania e la doppietta decisiva in finale ai danni della Repubblica Ceca.

 

Sul campo si impegna a migliorare la sua postura di tiro, ad utilizzare meglio il sinistro e soprattutto ad ottimizzare al massimo il suo stacco di testa. Non basta essere alti 191 centimetri per prenderle tutte.

 

Il lavoro paga, e tra Amoroso e Poggi, nella stagione 1997-98, totalizza 27 reti in campionato (31 in stagione) portando l'Udinese ad un'incredibile terzo posto, che allora valeva

la Uefa.  I bianconeri davanti a Roma, Fiorentina e Parma, Bierhoff capocannoniere prima di Ronaldo, Baggio, Batistuta, Del Piero, Montella, Inzaghi, Hubner... un'altra Serie A, un'altra Udinese.

 

 

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