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Era impossibile spezzare Frank Williams
29 nov 2021
29 nov 2021
Fondò l'omonima scuderia dal nulla e la portò al successo.
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Negli ultimi anni Sir Frank Williams appariva sempre più consunto. Nelle inquadrature fugaci che la regia internazionale dei Gran Premi di Formula 1 dedicavano alla sua scuderia, ormai relegata agli ultimi posti in fondo alla griglia, i suoi occhi azzurri si affacciavano dietro al lavorio dei meccanici spenti, ormai spenti.

La morte di Ayrton Senna, il più grande pilota che sia mai esistito, alla guida di una delle sue monoposto lo aveva fiaccato più dell’incidente automobilistico che lo aveva costretto su una sedia a rotelle. Da quel 1 maggio 1994, Williams aveva passato i suoi giorni ad analizzare in ogni sede – dai microfoni dei media ai tribunali dello stato italiano – un incidente stupido nella dinamica quanto tragico nei suoi effetti. Ogni giorno la sua voce sembrava più flebile, fino a diventare trasparente come l’aria. Williams non cercava un’assoluzione per sé, nelle sue parole dure non si risparmiava. Tentava piuttosto un’elaborazione ad alta voce di un lutto molto più personale di quanto possiamo credere.

Williams e Senna si erano piaciuti da subito. Era stato il costruttore inglese il primo a fornire al giovane Senna una macchina per un test. Dagli ottantatre giri sul circuito di Donington nel 1983 fino ai sette giri del GP di Imola undici anni dopo: il primo e l’ultimo chilometro dall’asso brasiliano su una macchina di Formula 1 sono stati percorsi su una Williams. Di quel primo remoto contatto non se ne fece niente, Senna esordì in Formula 1 l’anno successivo guidando una Toleman, un’altra macchina assemblata in un garage con pochi mezzi a disposizione.


La S di Senna, ancora presente sul muso delle Williams (Xavier Bonilla/NurPhoto via Getty Images)



Frank Williams costruì la sua prima automobile da corsa nel 1966. Un apprendistato in Formula 2 e in Formula 3 per preparare il salto nel grande circus, avvenuto tre anni dopo. La Formula 1 dell’epoca era molto diversa da quella che conosciamo oggi, persino in certe scelte manageriali si percepisce il coraggio misto ad incoscienza che caratterizzavano il motorsport a quei tempi. Williams, per contenere i costi e potersi permettere un anno in Formula 1, comprò dalla Brabham un vecchio telaio usato che usò come base per costruire la sua macchina.

Dal 1969 al 1976, la vita della scuderia Williams percorse una parabola pressoché completa. Arrivarono le prime gioie, con i primi podi, ma anche i primi lutti e le prime sconfitte. Piers Courage, pilota inglese che con la Williams al debutto ottenne due secondi posti, morì in un incidente sul circuito olandese di Zandvoort all’età di ventotto anni. I conti della Williams registrarono diverse perdite, competere in Formula 1 era tanto costoso quanto ora, seppure la barriera tecnologica non era elevata. Era facile costruire una macchina competitiva per chi poteva permetterselo.

Fu così che nel 1976 Williams fu costretto a cedere la quota di maggioranza della sua creatura, la Frank Williams Racing Cars. Vicende complesse, dure da digerire, che avrebbero fiaccato le ambizioni di qualsiasi altro uomo. Invece, un anno dopo, in un deposito di tappeti abbandonato, Williams dava alla luce la Williams Grand Prix Engineering. Una nuova scuderia di Formula 1, la Williams che tutti conosciamo, un’avventura che è arrivata fino ai giorni nostri.

Dal 1980 al 1997, la nuova Williams ha vinto per sette volte la classifica mondiale piloti e nove volte si è presa il titolo riservato ai costruttori. Tra il 1992 e il 1993 ha dominato il Mondiale con una delle auto più innovative mai costruite, la FW14 disegnata da Adrian Newey. Il progettista, ora in forza alla Red Bull, spinse al massimo sull’adozione dell’elettronica che Williams in persona caldeggiava già da tre anni. Il telaio strettissimo rialzato dal fondo, le sospensioni attive, il cambio semiautomatico, le valvole pneumatiche: la Williams era un laboratorio su quattro ruote, sembrava venuta da un altro pianeta. Da un garage alla vetta del mondo: se volessimo azzardare un paragone, potremmo dire che Frank Williams sta alla Formula 1 come Steve Jobs stava all’elettronica dei computer. Alla guida dell’auto più forte del mondo c’era “il leone” Nigel Mansell, un altro che sembrava fatto della stessa pasta di Frank Williams. Williams per pagare i conti dovette disfarsi del suo ufficio e per un periodo gestì la scuderia da un telefono pubblico. Mansell voleva sfondare come pilota a tutti i costi, era talmente sicuro del suo talento da lasciare il suo lavoro e vendere la casa per pagarsi un’ultima stagione di corse.



L'iconica FW14B gialloblu del 1992 guidata da Nigel Mansell (National Motor Museum/Heritage Images via Getty Images)



Nonostante i successi, Frank Williams pensava ancora ad Ayrton Senna. Provò ad ingaggiarlo sia quando in scuderia c’era Mansell, che più tardi, quando nella Williams sedeva la nemesi di Senna, “il professore” Alain Prost. Williams forzò talmente la mano a Prost da indurlo al ritiro, nonostante avesse ancora un anno di contratto. Qualsiasi cosa era meglio che ritrovarsi con un animale da competizione come Senna, Prost l’aveva già provato nel biennio 1988-89 e ne era uscito distrutto. Quando nel 1994 ebbe il pilota migliore di tutti, Williams non aveva più la macchina migliore di tutte da affidargli. I nuovi regolamenti avevano cancellato grossa parte della sua innovazione, la Williams in pista era nervosa e senza compromessi. Finì per disarcionare persino Senna, che aveva vissuto sul filo dentro e fuori da una macchina di Formula 1.

Gli anni successivi al 1994 sono passati in fretta. Ancora due titoli con Damon Hill e Jacques Villeneuve, prima di un declino lento, inarrestabile. Quando le forze fisiche gli sono venute a mancare, Frank Williams ha dismesso le iconiche cuffie chiuse che gli incorniciavano la testa calva e ha ceduto la guida della scuderia alla figlia Claire. E con la Williams sommersa dai debiti, non ha potuto far altro che guidare la squadra verso la cessione al fondo Dorilton Capital. Subito dopo, Claire Williams ha criticato Netflix che a suo dire non avrebbe dedicato il giusto spazio ad una scuderia storica nella terza stagione della serie TV “Drive to survive”. Chissà che Netflix non provi a riparare adesso, nella quarta stagione in arrivo tra poche settimane.



C’è un'ultima immagine di Sir Frank che mi è rimasta negli occhi. Nel 2019, al Gran Premio di Silverstone, Lewis Hamilton ha guidato Williams in un giro di pista su una Mercedes stradale. Un singolo giro era stato pattuito tra i rispettivi uffici di marketing. Ma quando il traguardo stava per approssimarsi, Frank Williams, con la voce stanca da vecchio e gli occhi vispi di bambino, dice: «One more, overtake them». Facciamone un altro, sorpassali.

È bastato un minuto in pista per far diventare Hamilton il suo pilota, una Mercedes AMG S63 la sua macchina, per rendere Frank Williams l’uomo che è sempre stato.

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