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Frank de Boer già al bivio
26 ott 2016
26 ott 2016
Al di là della pressione, cosa deve sistemare il (per ora) tecnico dell'Inter.
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Al suo arrivo, Frank de Boer aveva chiesto «

», ma ha capito presto che non è una richiesta realistica quando sei l’allenatore dell’Inter, serve come minimo una certa regolarità nei risultati, una costanza che non faccia impazzire un’ambiente di suo poco equilibrato. Solo due mesi e mezzo dopo, l’Inter non ha raccolto abbastanza punti né in campionato (dove è quattordicesima) né in Europa League (dove è ultima nel girone), e questo è il nodo centrale, il motivo per cui – stando

dopo la sconfitta con l’Atalanta– «Frank de Boer non è più l'allenatore dell'Inter, però ancora non gliel'hanno detto».

 

Ma in questo grosso equivoco che, finora, sembra essere la permanenza di de Boer a Milano, oltre ai risultati ci sono altri fattori che fanno pensare che il rapporto tra il tecnico olandese e l’Inter non sia destinato a durare. Anche alcuni dettagli che potrebbero giustificare un inizio così difficile in questa luce sinistra appaiono come segni di inadeguatezza.

 

Frank de Boer non parla bene l’italiano

non può allenare l’Inter: ma i giocatori stranieri in rosa, da Miranda a Perisic, non avrebbero lo stesso problema anche con un madrelingua? Frank de Boer non conosce il nostro campionato

non può allenarci: ma non viviamo in quell’epoca in cui le squadre avversarie si studiano attentamente, in cui si possono conoscere bene in poco tempo?

 

Ma in fin dei conti se de Boer è inadatto alla panchina dell’Inter (o meglio, è ritenuto tale dagli addetti ai lavori che da giorni stanno scandagliando il ventaglio dei possibili sostituti) lo è perché l’Inter, effettivamente, gioca male, ci sono molti disequilibri, molte incomprensioni, e non c’è neanche un giocatore in rosa che stia rendendo per quello che è, in teoria, il proprio valore.

 

 



L’Inter negli ultimi anni non ha mai costruito il gioco dal basso, ha affidato volentieri il pallone ai propri difensori, ma senza l’idea di ricavarne un vantaggio da portare nella metà campo avversaria. Per il gioco di de Boer, invece, questo meccanismo è imprescindibile. E all’Inter non ha trovato materiale su cui lavorare. Miranda è un giocatore monodimensionale, a cui non solo non piace separarsi dalla linea per seguire il proprio uomo (l’ideale per attaccanti

a cui piace abbandonare il centro), ma tiene anche mal volentieri la palla tra i piedi. Effettua tantissimi tocchi, ignora linee di passaggio interessanti, rallenta il ritmo dell’azione. Per il resto è un fenomeno, ma questo sistema di gioco ne evidenzia i limiti anziché i pregi.



Contro l'Atalanta, l’Inter ha spesso potuto vantare una superiorità numerica schiacciante. Santon, Murillo, Handanovic, Miranda e Nagatomo contro i due soli attaccanti bergamaschi (leggermente più lontano, Kurtic monitora Medel senza troppa aggressività). Neanche questo è stato sufficiente a dare serenità all'impostazione bassa dell'Inter, e la pressione dell’Atalanta ha costretto a più riprese Handanovic al lancio lungo.

 

Ci sono almeno cinque momenti in cui l’Inter avrebbe avuto lo spazio e il tempo per provare un passaggio verticale, soprattutto Miranda, che sulla pressione di Gómez vede davanti a sé tre linee di passaggio pulite, ma non si fida, controlla male e preferisce tornare indietro.

 

Due mesi e mezzo dovrebbero essere sufficienti almeno a risolvere questo equivoco. Invece, l’Inter ha i due giocatori centrali alternativi a Miranda, e cioè Murillo e Medel, che sembrano tagliati fuori dalla costruzione del gioco, e si vedono recapitare la palla solo quando non c’è davvero altra soluzione. Forse un loro maggiore coinvolgimento aiuterebbe la fluidità?

 

 


 

Il terzino più impiegato da Mancini in campionato nella scorsa Serie A è stato Yuto Nagatomo, che però ha giocato 1649 minuti, meno della metà di quelli a disposizione. Più o meno lo stesso minutaggio degli altri terzini in rosa (D’Ambrosio, Telles, Juan Jesus) escluso il sempre acciaccato Santon che ha giocato meno di tutti.

 

Quelle certezze nel reparto che l’Inter non aveva, e che neanche il mercato estivo è riuscito a definire, non poteva crearle da zero de Boer: l’olandese ha puntato molto su Santon, sempre titolare ad eccezione dell’esordio contro il Chievo, e col senno di poi non è stata un’intuizione felice, anche al di là dei gol regalati al Palermo e all’Atalanta. Santon è sempre in grave difficoltà sul piano atletico (al punto da creare mismatch grotteschi, come quello con Salah) e non è neanche chiaro in quale delle fasi di gioco può effettivamente fare la differenza.

 

«Per me è sempre importante, quando costruiamo gioco da dietro, che i nostri terzini stiano alti. Le nostri ali devono stare in linea», ha detto de Boer dopo la partita contro il Southampton, in cui l’Inter aveva in realtà costruito pochissimo. È un principio su cui l’olandese ha insistito molto, e che è anche facilmente riscontrabile nelle mappe di passaggio (in cui, appunto, si vede come la maggior parte delle interazioni dei terzini con il resto della squadra avvengano in zone sono sempre molto alte di campo), ma che forse non è il migliore possibile per l’Inter in questo momento.

 

È anche

, considerando che proprio de Boer, che non si è mai professato integralista nei confronti di qualunque sistema di gioco, all’Ajax aveva spesso “nascosto” un terzino nelle vesti di regista occulto. Daley Blind è stato il terzino-regista per eccellenza, poi ne ha rilevato l’eredità Denswil, sempre a sinistra.

 

Ansaldi, che arriva dalla difesa a tre di Gasperini e ha ottime doti da passatore, sembra a disagio quando deve agire in zone troppo avanzate del campo e non ha la progressione per sovrapporsi sul fondo. In assenza di movimenti decifrati e assimilati dei centrocampisti, anche un buon passatore come Ansaldi è spesso costretto a regalare il pallone nel panico agli avversari.

 

A causa della naturale tendenza di Ansaldi ad abbassarsi e accentrarsi, l’intesa con Candreva è destinata a durare poco. In questo de Boer deve avere la forza di dimostrarsi fedele discepolo di Van Gaal: se i giocatori non trovano da sé l’alchimia, i termini dell’accordo deve scriverli lui. Eppure, anche se è un capitolo ancora quasi tutto da scrivere, quello dei terzini, de Boer non ha ancora preso la penna in mano.

 

 


 

Nelle sue giornate peggiori, come quella esemplare contro il Cagliari, Mauro Icardi si intestardisce nella ricerca ossessiva della profondità e, per contrappasso si ritrova a toccare pochi palloni tutti molto arretrati: nelle mappe di passaggio si trasforma in un puntino impercettibile, e tutta la parte più faticosa del suo gioco resta invisibile: un riferimento slegato dal resto della squadra e incapace di staccarsi dai difensori, che hanno gioco facile nel raddoppiargli la marcatura sulle decine di cross che piovono in area dai piedi di Candreva e Perisic.

 



 

Nelle sue giornate migliori, invece, Icardi considera la possibilità di giocare spalle alla porta, si abbassa fino alla linea di centrocampo, prova a coinvolgere gli interni nella ricerca della verticalità. Quando è fortunato, la squadra si muove in sintonia con lui e si innescano combinazioni interessanti, come quella che ha portato al gol di Banega contro la Roma, ma non solo (contro l'Atalanta, si inventa un passaggio in spaccata per servire il tiro dell'accorrente Perisic che fa tenerezza per la distanza tra la qualità mediocre del suo tocco di palla e l'indomabile volontà di rendersi utile per i compagni).

 

Icardi potrebbe essere servito meglio e potrebbe essere coinvolto di più, però dovrebbe prima maturare la convinzione che le difese non si possono allungare all’infinito, e soprattutto che questo è un esercizio sterile in una squadra che gioca pochissimo per vie centrali, che convoglia subito il pallone sulle fasce e da lì non riesce poi più a tornare al centro.

 

Se Candreva e Perisic continueranno a giocare a testa bassa, se Banega e João Mário non riusciranno far arrivare la palla sui suoi piedi più velocemente, toccandola meno volte e a muovendosi di più senza, qualcuno dovrà pur accettare di snaturarsi. Oppure, ancora una volta, de Boer dovrà indicare la strada e decidere.

 

Chi dovrà snaturarsi, in che misura?

 

 




L’Inter di de Boer, quantomeno, difende meglio rispetto a quella delle passate stagioni. Ha iniziato a coprire sistematicamente il centro sulle ripartenze avversarie, a coordinare un’organizzazione minima nelle marcature preventive e a ridurre (seppur di poco) gli spazi spesso abissali tra i reparti. Eppure subisce più gol, molti più gol, ed è più vulnerabile a difesa schierata. Un paradosso difficilmente spiegabile.

 

Il Cagliari, ad esempio, ha segnato i due gol a Milano in una situazione di attacco statico, quando ormai l’Inter aveva già ripiegato e portato quasi tutti i suoi effettivi dietro la linea della palla. Gol sinceramente difficili da subire, anche impegnandocisi a fondo.

 

Una delle frasi più discusse del weekend è stata quella di Éder, che probabilmente senza volerlo ha un po’ delegittimato la leadership nello spogliatoio di Frank de Boer: «De Boer lavora tanto sulle linee di passaggio, ci chiede tanta aggressività e nel primo tempo non ci siamo stati. Noi diamo tutti il massimo e cerchiamo di capire quello che vuole il mister, a volte non ci riusciamo e non so perché, mentre in altre partite abbiamo fatto bene».

 

Quella di coprire le linee di passaggio è un’altra ossessione di Frank de Boer, ed è anche un aspetto del gioco imprescindibile nel calcio attuale per eseguire un pressing organizzato. Allora come è possibile che con la difesa schierata, addirittura a protezione del vantaggio come nel caso del gol di Melchiorri qui sopra, Di Gennaro riesca con tanta facilità a proporsi tra Perisic, João Mário e Santon?

 

Come ci si spiega la facilità con cui l’Atalanta, fino al gol del pareggio di Éder che ha un po’ rimescolato gli equilibri emotivi della partita, avesse raccolto un comodo 57% di possesso palla pur essendo già in vantaggio?

 

Sono pochi due mesi e mezzo per allenare la comprensione del gioco senza palla, quanto serve a de Boer per automatizzare e sincronizzare i meccanismi di pressing? E se non ci riuscisse in 4 o in 6 mesi, sarebbe colpa sua o della rosa?

 

 



 

Non possiamo sapere come stanno realmente le cose nell’Inter, se de Boer è costretto a vincere con il Torino per salvare la panchina e il progetto triennale che gli è stato affidato, o se gli verrà rinnovata la fiducia prima della trasferta con la Sampdoria. Non sappiamo quanti risultati non positivi può ancora permettersi ed è già triste ritrovarsi a fare discorsi di questo tipo, a ridurre il lavoro di un intero staff tecnico alla possibilità che Santon decida o meno di stendere un avversario in area all’ottantottesimo. Ma è fuori da ogni dubbio che sta anche a de Boer rendere il proprio lavoro più visibile, per evitare speculazioni di questo tipo.

 

Meritare la vittoria, prima ancora di preoccuparsi che questa arrivi o meno sarebbe già un grande passo avanti rispetto a tutte le volte che l’Inter ha meritato di perdere e ha effettivamente perso (non è stato neanche fortunato, de Boer). Altrimenti sarà il turno di Pioli, o quello di Mandorlini, o chissà, quello del Loco Bielsa. Arriverà un allenatore magari più bravo con la lingua italiana, o magari uno più bravo nei rapporti con i giocatori, oppure uno più bravo tatticamente: tutte lacune di de Boer.

 

Dalle parti migliori di singole partite si può dire che de Boer abbia già gettato le basi per un gioco vincente, ma adesso deve affrettare i tempi, dimostrare di essere in grado di risolvere i suoi problemi in fretta, e da solo. Perché l’unica cosa certa è che nessuno gli verrà in aiuto.

 

 

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