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Anche il Real Madrid vuole il suo Lamine Yamal
27 ago 2025
Franco Mastantuono è arrivato giovanissimo nella capitale spagnola e ha iniziato subito a giocare.
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16 min
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IMAGO / PsnewZ
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Vi siete mai chiesti quando è stata l’ultima volta che avete fatto qualcosa per la prima volta? Molti tifosi dell’Oviedo, i più giovani soprattutto, per esempio, qualche sera fa hanno visto per la prima volta la loro squadra giocare in casa una partita di Liga, dalla quale mancavano da 24 anni; e non contro un avversario qualsiasi, ma contro il Real Madrid.

Un certo diciottenne argentino chiamato Franco Mastantuono, invece, quella stessa sera per la prima volta è stato schierato tra i titolari da Xabi Alonso: è rimasto in campo per poco più di un’ora, che con il cammeo di mezz’ora della prima giornata, contro l’Osasuna, fa già praticamente una partita completa. Novanta minuti sono un’inezia per tirare le somme su un giocatore, ma già sufficienti per capire come si stia ambientando, e quale sia il rapporto di fiducia con il tecnico: in entrambi i casi siamo in quel range che va tra il bene e il benissimo.

Meno vivace e più disciplinato che nell’esordio, Mastantuono ha dato l’impressione di far parte di questo gruppo da ben più di due settimane: ha allargato le braccia quando i compagni – soprattutto Mbappé – non gli hanno passato il pallone; ha applaudito e incoraggiato quando a sbagliare sono stati gli altri. Spesso ha spezzato gli schemi e le catene, accentrandosi e abbassandosi spessissimo, non per sfuggire dalla morsa dei difensori né per semplice spirito di ribellione, ma piuttosto per farsi trovare là dove ribolle il magma della creazione della manovra, più che con l’aura del turista spaesato con il piglio dello scienziato con la tuta refrattaria al centro dell’eruzione del vulcano. Poi, diligente, è tornato nella sua posizione, largo a destra.

Ha scalpitato, si è associato con Valverde e Carvajal, ha provato a incunearsi nell’area avversaria con una di quelle giocate nello stretto che tanto gli piacciono, primo controllo con l’esterno sinistro, secondo controllo con l’interno sinistro, ondeggiamento minaccioso: non l’hanno lasciato passare, ed è scomparso inghiottito nella morsa dei difensori. La maglia del Real, insomma, non è proprio parso pesargli sulle spalle. Niente male, per uno che ha compiuto diciotto anni meno di due settimane fa. Cosa avete fatto, voi, nel giorno del vostro diciottesimo compleanno?

Franco Mastantuono, per esempio, si è svegliato, si è alzato, ha fatto colazione, ha indossato un elegante completo blu notte con un fazzoletto al taschino e la cravatta ton sur ton, è andato a Valdebebas, si è fatto fotografare davanti alla "Saeta Rubia" Di Stéfano e ha firmato un contratto con una delle squadre più iconiche e forti al mondo. In realtà, a voler essere proprio precisi, il contratto non l’ha firmato per il Real Madrid ma per il Castilla, la squadra filiale dei blancos: sembra una questione di lana caprina e invece, nel racconto di questa storia, scopriremo che non lo è del tutto.

Si è presentato a Valdebebas, dicevamo, con i capelli rasati di fresco, un orecchino di brillanti, appariscente ma di un’appariscenza contenuta, quasi marziale: dietro gli accenni di sorriso, ingenuo e imberbe, Mastantuono ha la faccia di una giovane recluta molto intelligente, arguta, pragmatica, magari con un’inventiva un po’ macabra, quei giovani soldati che si arruolano più per inerzia che per convinzione e che poi scalano le gerarchie rapidamente per diventare, inevitabilmente, generali.

In fondo questa maturità fuori contesto, questo suo essere un giovane vecchio, è sempre stata una sua caratteristica: Mastantuono è un ragazzo straordinariamente maturo per la sua età, dicono tutti, anche e soprattutto in campo, dove nella relativamente breve carriera professionistica (sessantacinque partite con il River Plate, poco più di tremila minuti) si è messo in mostra come uno di quei giocatori che si prendono le loro responsabilità ma anche che si rimettono alle decisioni dei superiori con un’abnegazione agli antipodi della sfacciatezza.

È evidente che non basti questo, a spiegare cosa ci faccia con la maglia del Real Madrid, per di più tra i titolari. Deve esserci qualcosa di più, che definire talento fuori misura forse non è sufficiente. Probabilmente non basta neanche fare appello alla mentalità, incredibile effettivamente per un diciassettenne. Per molti versi Franco Mastantuono è un mistero, anche per i tifosi del River che se lo sono goduti così poco e che oggi, chissà se animati dallo stesso bias della volpe in quella famosa storiella con protagonista il grappolo d’uva, si dicono ma se ha giocato così poco… Mastantuono è un mistero: casomai, un mistero glorioso.

Lo scrittore messicano Juan Villoro, nel suo Dios es redondo, scrive: «Se il River scopre un crack questo significa che è a 20 gol dal momento in cui verrà comprato dal Parma, perché sono i soldi a comandare». Il Parma, contestualizzato nella scrittura primi-anni-Duemila di Villoro, è la squadra forte col potere d’acquisto, quello che nel nostro calcio sono il PSG (che infatti ha provato a portare sotto la Tour Eiffel Mastantuono) o il Real Madrid, che per aggiudicarselo ha sborsato 63 milioni di euro: il trasferimento più fruttuoso del calcio argentino, da una parte, e uno dei dieci trasferimenti più onerosi nella storia del Real Madrid, dall’altra.

Erano undici anni che nella rosa del Real Madrid mancava un argentino nato in Argentina: l’ultimo, se si esclude la breve apparizione di Nico Paz, che infatti non è nato in Argentina, è stato Di Maria, ceduto al Manchester United nel 2014. L’argentinità, per tutto questo tempo, è stato il marchio di fabbrica – l’epitome del talento pantocratico e onnipotente – degli altri: forse è inseguendo questa suggestione – ma non può essere neppure solo per questo – che Florentino Pérez lo ha regalato a Xabi Alonso, l’allenatore chiamato a portare modernità e ortodossia a Madrid, ammesso che esista una formula per razionalizzare l’irrazionale, un ordine capace di migliorare il disordine.

CHI È ALLORA FRANCO MASTANTUONO?
Sereno, disinvolto, Mastantuono ha di se stesso una visione molto lucida. «Sono un calciatore offensivo mancino che gioca largo sulla destra», ripete sempre, recitando a memoria, come se fosse la sua bio di Instagram. Anche se da ragazzino – da più ragazzino di quanto sia ora – ha giocato anche da trequartista centrale, in quella casella che forse non esiste più in nessun’altra parte del mondo che non sia l’Argentina e che è la landa dell’enganche, Mastantuono si sente un attaccante. Anche se il suo gioco, fatto di lucida, fosforica fantasia, è spesso un peana all’estetica, il suo chiodo fisso è tirare in porta e se del caso segnare, anziché fornire assist: magari è solo perché è un figlio di questi tempi votati all’efficacia. O forse dipende semplicemente dal fatto che a Mastantuono piace essere decisivo. Funzionale, certo, ma soprattutto decisivo, che è un po’ la scintillanza di chi ha le stimmate della predestinazione. Non ci dimentichiamo, insomma, che ha diciotto anni.

E che precocità non è che debba per forza far rima con predestinazione. Anche se in questo caso, forse, sì.

Mastantuono, in prima squadra, nel River, ha esordito poco più di un anno e mezzo fa, nel gennaio del 2024, saltando praticamente a pié pari la parentesi normalmente prevista della Reserva, della primavera. A quel punto solo una ristrettissima élite di giocatori poteva vantare il privilegio – in termini di responsabilità e di aspettative – di aver vestito la maglia dei "Millonarios" prima di aver compiuto diciassette anni. Dieci giorni dopo l’esordio, all’età di 16 anni, 5 mesi e 24 giorni, in una partita di Copa Argentina contro il Club Atlético Excursionistas è diventato il più giovane marcatore in una partita ufficiale della storia del River.

E poi, nell’aprile di quest’anno, con un calcio di punizione memorabile ha scritto il suo nome nel registro aureo dei più giovani calciatori ad andare a segno in un Superclásico.

Quando ha disegnato questo arcobaleno brutale aveva 17 anni, 8 mesi, 13 giorni.

Eppure la precocità non è, di per sé, sinonimo di niente: in quel momento ci saremmo potuti legittimamente chiedere – ce lo possiamo chiedere anche ora – a quale parabola sarebbe somigliata, la sua. A quella di Pablito Aimar, a quella di Javier Saviola, o a quella di Mateo Musacchio (tutti esordienti a meno di diciassette anni, e non ho scomodato Pedernera)?

Certo è che l’esordio in Albiceleste, ancor prima della maggiore età, qualche indicazione deve pur darcela. Specie se a decidere di farlo esordire, in qualche modo, è stato Lionel Messi.

Nel 2023 Franco Mastantuono viene convocato dall’Argentina Under 20 allenata da Javier Mascherano: durante un allenamento a Ezeiza, a bordo campo, si appalesa Messi che si ferma a dare uno sguardo ai pibes. Lo fa spesso, ma non è che ogni volta si metta a dare giudizi sui ragazzi. Quel giorno, però, dopo una giocata di questo mancino elegante che risponde al nome di Franco Mastantuono, Messi si gira verso qualcuno, dice «eh, è bravo questo». È il dito che si tende in una creazione di Adamo? Chi può dirlo. Un anno e mezzo più tardi, però, il 6 giugno scorso, Mastantuono fa il suo ingresso in campo durante Argentina-Cile valida per le qualificazioni mondiali.

Nel momento in cui sostituisce Giuliano Simeone ha 17 anni, 9 mesi e 22 giorni, ed è ufficialmente il più giovane esordiente in Albiceleste. Più di Diego. Più dello stesso Leo. «È un ragazzino», ha detto di lui al termine della partita Julián Álvarez. «Ma per le cose che fa in campo, e per come si comporta fuori, sembra più grande. È un crack».

LA SOTTILE LINEA TRA "BRAVO" E "CRACK"
A rendere un prospetto talentuoso un grande campione, che ci piaccia o no, è sempre la capacità di raggiungere quel difficilissimo bilanciamento tra la prodigiosità e la costanza, figlia della tenuta mentale più che del talento. A vederlo in campo, Mastantuono è uno stranissimo (chissà, forse per questo affascinante) mélange di classe, ma pure di solidità; di primi controlli orientati che sono sempre promesse di meraviglia ma pure di garra; di fantasiosa imprevedibilità, ma pure portatore di un’aura diversa, compassata, fatta di sicurezza nei propri mezzi. Sembra più il capitano della squadra di football americano del college che un pibe cara sucia uscito fuori da un potrero. Proffonde maturità e sicurezza: si vede dalle espressioni, si vede dalla prossemica.

Si potrebbe argomentare che questa tenuta mentale, questa geometria di pensiero per cui il gesto atletico deve sempre essere accompagnato dal controllo, venga da un passato nel tennis: nato ad Azul, nel bel mezzo della provincia di Buenos Aires, trecento chilometri a sud della capitale, si è allenato a lungo al Club de Remo de Azul, lo stesso di Franco Delbonis, diventando piuttosto bravo (a undici anni, quando ha mollato, era tra i cinque tennisti più promettenti del Paese). Oppure che gli derivi dal retroterra familiare, figlio perfetto della più epitomica cristallizzazione della classe media, con la madre sociologa e il padre proprietario di una scuola calcio. Con tutta questa cerebralità sarebbe potuto diventare un cinco perfetto. E invece è diventato un diez.

Perché poi Mastantuono un diez lo è, anche se pare fatto di un materiale diverso da quello – più che altro onirico – con cui si va costruendo, anno dopo anno, come mattoncini impilati, l’eredità del fulbo. Per dire: è un dieci molto diverso anche dal suo quasi coetaneo Echeverri, uscito anche lui dalle giovanili del River, oggi al Bayer Leverkusen in Bundesliga ma di proprietà del Manchester City: Mastantuono non ha la stessa elettricità temibile e scombiccherata del "diablito", e anzi i passaggi di prima col tacco, le intuizioni, la maniera in cui si gira, punta, strappa restituiscono un senso costante di controllo. Il che non significa che sia sempre pragmatico, anzi, piuttosto è quel tipo di giocatore – ma magari in Liga si toglierà questo vizio, o forse no – che dopo aver messo col sedere a terra un avversario in area si sente di poter osare una rabona.

Il Mastantuono sensazionalista però non è nemico del Mastantuono creativo in senso più ampio: all’occorrenza sa abbassarsi e costruire, non solo alzarsi o infilarsi tra le linee per finalizzare. Il suo gioco non esprime un amore puro per la gambeta, ma anche per la verticalità, per la rapidità: raramente non gioca a uno o due tocchi, e non si risparmia negli uno contro uno.

E poi bisognerebbe parlare della sua posizione in campo, largo sulla fascia destra, lui che è mancino, non vi ricorda niente? Il tema è piuttosto interessante: si potrebbe quasi dire che Mastantuono si infila in quella tradizione di dieci che, per visione di gioco e maniera di stare in campo, somigliano più a Messi che all’idea archetipica di diez argentino, l’enganche alle spalle della punta.

Al Real Madrid non deve essere sfuggita neppure una di queste caratteristiche. Meglio: il Real Madrid deve aver pensato che dietro queste skill si possa nascondere la next big thing del calcio mondiale.

IL POSTO DI MASTANTUONO A MADRID
Il deus ex machina della consacrazione di Franco Mastantuono è stato Marcelo Gallardo: subentrato a Demichelis a inizio 2024 lo ha preso sotto la sua ala, gli ha dato fiducia, lo ha impiegato dapprima sfruttandone la duttilità, poi magnificandone e sublimandone il talento, in qualche modo – anche se potrà sembrare un termine esagerato – messizzandolo.

Il Madrid se lo è assicurato per tutto questo, ma anche prendendosi la responsabilità di dover gestire e maneggiare tutto questo: in fondo di attaccanti abituati a partire dalla fascia destra nella rosa dei blancos ce ne sono già due, Rodrygo e Brahim Díaz. Quanto spazio potrà ritagliarsi Mastantuono, anche considerando l’ingente mole di partite che attendono il Real? Riuscirà ad adattarsi velocemente ai ritmi del calcio europeo, che sembrano quelli del calcio argentino a una velocità x2?

Nelle prime interviste da madridista Mastantuono ha detto: «Mi piace molto il gioco di posizione e tattico che si gioca nella Liga, credo che mi possa aiutare nell’ambientamento. Il ritmo certo è più elevato, spero più che altro di abituarmi presto a questo».

Se da una parte c’è un calciatore che si porta dietro una promessa, dall’altra c’è un allenatore che deve maneggiare un capitale tecnico e umano senza sfiorare il rischio di renderlo cenere. Eppure Xabi Alonso non sembra proprio voler far ricorso alla cautela, con Mastantuono. Già nella prima di campionato, in casa contro l’Osasuna, ha ritagliato per lui una parentesi importante, di quasi mezz’ora, seguita poi dai 63’ minuti da titolare nella partita successiva con l’Oviedo: forse per testarne la capacità di assorbimento come nella migliore delle terapie d’urto, forse per tener fede a quello che sembra essere il vero movente che ha portato Mastantuono a Madrid, e cioè accelerare, ma senza forzare, la costruzione di un talento generazionale che sappia competere, inizialmente almeno in termini di suggestione, con Lamine Yamal, che in fondo di Mastantuono è solo trentadue giorni più vecchio.

Mastantuono, come una specie di regen di Messi in Liga, ha chiesto di indossare la maglia numero 30, proprio nell’anno in cui Yamal, invece, ha scelto di portare sulle spalle per la prima volta la 10 del Barcellona. L’ha potuto fare perché, appunto, è stato tesserato dal Castilla (in Liga i giocatori devono avere una numerazione che va dall’1 al 25), che a molti è sembrato un escamotage per tenere uno slot libero nelle liste della prima squadra nel caso in cui si prospetti la possibilità di un ultimo acquisto eclatante, a due settimane dalla chiusura del mercato. Il caso ha sollevato un discreto polverone nell’immediato dopopartita: Miguel Galán, il presidente del CENAFE (il centro di formazione degli allenatori in Spagna), l’ha definito un atto di malafede e secondo il regolamento della Liga l’Osasuna (o qualcuno più appassionato ai cavilli in futuro) potrebbe anche chiedere la sconfitta a tavolino per il Madrid ogni volta che schiererà Mastantuono in quanto parte di una rosa composta da ventisei giocatori.

Diciamocelo: con il Castilla, Mastantuono non giocherà mai, mentre invece non saranno rari i momenti in cui, come è successo nelle prime due giornate, il giovane argentino verrà messo in campo non solo come primo grimaldello dei blancos per cambiare il corso delle partite, ma proprio come prima scelta.

In queste due apparizioni abbiamo visto Mastantuono posizionarsi sulla fascia destra, dove con buona personalità si è associato con Valverde, ma anche accentrarsi, abbassarsi, cercare costantemente la palla, proporsi in maniera proattiva. E anche rientrare per difendere – contro l’Oviedo, sul finire del primo tempo, è spuntato nell’inquadratura come un rapace per abbattersi su una palla scoperta al limite della sua area, spezzare l’azione avversaria e innescare la ripartenza.

Novanta minuti o poco più sono un’inezia, eppure sono stati sufficienti già per vederlo muoversi in campo con il suo andamento ondivago ma mai dinoccolato, involarsi con la palla al piede con l’andatura virtuosa dei motociclisti che affrontano le curve ai Gran Premi. Perché poi quando Mastantuono ha il pallone tra i piedi sembra sempre che possa succedere qualcosa. E spesso qualcosa succede: controlli eleganti in cui si passa la palla dal sinistro al destro, carezze di suola mancina, quella capacità, attanagliato negli spazi stretti di saper – in potenza – tirar fuori un coniglio da dietro le orecchie degli avversari.

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È esattamente da giocate di questo tipo che si intravede il talento di Mastantuono: giocate utili, in cui recupera e difende la palla, e poi la gestisce con l’esterno, come l’hockeysta fa con il disco, prima di una mezza vuelta di pisadita per innestare una ripartenza.

Un talento mai fine a se stesso (neppure il tentativo di tunnel – sì, Mastantuono ha provato a fare un tunnel al Bernabeu il giorno del suo esordio, e poi anche un altro, stavolta riuscito, a Luengo dell’Oviedo), ma sempre finalizzato alla creazione di superiorità numerica.

Piuttosto, se c’è un dubbio scaturito dai pochi minuti visti – anche se significativi – è un altro: è scritto da qualche parte che quella definizione che Mastantuono dà di sé – «sono un calciatore offensivo mancino che gioca largo sulla destra» – debba rimanere permanente? In fondo anche le bio di instagram si cambiano, di tanto in tanto, e poi per sempre. Siamo sicuri, insomma, che possa giocare solo in quella posizione, e che in un centrocampo invece tanto muscolare quanto polmonare con Tchouameni e Valverde non possa ritagliarsi un ruolo inedito, à la Kroos, à la Modric?

In fondo il terzo centrocampista su cui ha puntato Xabi Alonso nelle prime due partite di questa Liga è stato Arda Güler, uno che tecnicamente ha sempre giocato esattamente nella stessa posizione congeniale pure a Mastantuono – e che peraltro Mastantuono si è trovato a ricoprire spesso, contro l’Oviedo. E se la consacrazione del giovane argentino, a Madrid, anziché attraverso la sublimazione passasse attraverso una reinvenzione?

«Ha personalità, qualità e un sinistro speciale», ha detto di lui Xabi Alonso, al termine della partita con l’Osasuna. Lo ha ripetuto dopo la gara con l’Oviedo, mostrando un entusiasmo probabilmente secondo solo a quello dei tifosi, increduli di poter abbinare l’esaltazione sportiva a un certo rigurgito fascista, almeno a giudicare dalla maniera in cui sono stati rispolverati i cori dedicati a Franco, cioè Francisco Franco, il dittatore.

Certo, idolizzare da subito Mastantuono, in campo e fuori, porta con sé una buona dose di pericolo. Però gli ingredienti affinché il Madrid possa già avere il suo Yamal, anche se è molto presto, almeno sulla carta – o nella percezione ottimistica dei suoi tifosi, e degli esteti – sembrano esserci tutti.

«Ha un carattere vincente e migliorerà di partita in partita», ha detto Xabi Alonso. «È il nostro presente e il nostro futuro».

Sarà poi il tempo, e il campo, a dirci se le aspettative erano fuori dimensione, se la promessa sarà mantenuta o disattesa, se Madrid, e in fondo l’Argentina, avranno un diez, nuovo ma in maniera diversa, dal quale farsi prendere a braccetto per perpetuare le loro glorie calcistiche.

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