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Hanno vinto i giocatori migliori
16 lug 2018
16 lug 2018
La vittoria della Francia, così come il percorso della Croazia migliore della storia, rappresentano un calcio in cui conta più di ogni altra cosa il talento individuale.
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La finale della Coppa del Mondo di calcio del 2018 è stata una partita ricca di gol e di emozioni. Basti pensare che solamente in un’occasione, sessant’anni fa a Stoccolma - nell’epifania di Pelè che sconfiggeva per 5-2 i padroni di casa della Svezia - nel match conclusivo del mondiale sono state realizzate più di 6 reti.

Escluso il precedente del 1958, nel dopoguerra non era mai capitato che le due squadre finaliste segnassero 6 gol nei 90 minuti regolamentari e tuttavia, nonostante un’eccezionalità di questo tipo, è difficile sostenere che sia stata una partita giocata bene dalle due squadre.

Quindi, che squadra è stata la Francia?

La strada trovata da Didier Deschamps per organizzare al meglio il talento diffuso di cui disponeva è stata piuttosto semplice e diretta. Il tecnico di Bayonne ha preferito sollevare i suoi uomini da complessi compiti di costruzione della manovra - che negli ultimi anni della sua gestione sono stati sempre piuttosto difficoltosi - disegnando una squadra estremamente reattiva, che preferiva lasciare il pallone agli avversari per compattarsi nella propria metà campo ed evitare alla fase difensiva di sincronizzare complicati meccanismi di pressing aggressivo. Lasciando così grandi spazi in contrattacco al talento e alla velocità di Pogba, Griezmann e Mbappé.

Funzionali alla strategia tattica adottata è stato l’ingresso tra i titolari, dopo la prima partita, di Matuidi e Giroud: il primo, schierato da esterno sinistro, ha consentito, stringendo verso il centro del campo, di comporre frequentemente una linea di tre centrocampisti che permetteva a Mbappé di rimanere più alto e disponibile alle ripartenze.

Giroud, invece, costituiva una valvola d’emergenza per risalire il campo con le palle lunghe, evitando il rischio di perdere il pallone con la balbettante manovra palla a terra.

Si noti la differenza altezza media dei due esterni, Matuidi e Mbappé nella finale contro la Croazia. La presenza del primo ha reso possibile l’utilizzo costante del secondo nelle ripartenze, la principale arma offensiva dei Bleus.

Alla fine del torneo la Francia è stata la diciottesima squadra per possesso palla, con una percentuale media di poco inferiore al 50%. Delle squadre qualificate alla fase eliminatoria, solo Uruguay, Danimarca, Svezia e Russia hanno avuto una percentuale di possesso inferiore.

In finale la Francia ha estremizzato il suo atteggiamento tattico, con la complicità delle caratteristiche degli avversari e, solamente in parte, la situazione di punteggio evolutasi durante il match. I transalpini hanno tenuto il possesso del pallone solamente per il 34% del tempo.

È interessante notare come nei due brevi periodi in cui la partita è stata in pareggio la Francia abbia comunque lasciato il pallone alla Croazia: prima dell’autorete di Mandzukic il possesso del Bleus è stato del 42%, tra il gol del pareggio di Perisic e il rigore di Griezmann addirittura del 21%.

La scelta di Deschamps di giocarsi tutto sulla strategia che lo aveva condotto in finale, amplificandola, è stata piuttosto chiara: la Francia ha tenuto il baricentro molto basso (43.5 m), recuperando il pallone in posizione particolarmente arretrata (altezza media recupero palla 31.9 m), tenendo la squadra compatta nella propria metà campo.

La mappa delle posizioni medie dei giocatori francesi nel primo quarto d’ora di gioco. Nei primi 15 minuti la posizione media di tutti i giocatori transalpini, fatta eccezione, per un soffio, per quella di Griezmann, è situata nella propria metà campo.

Il contesto croato

Anche per la Croazia, il contributo tattico fornito dal proprio allenatore è stato orientato alla minore complessità possibile. Il Commissario Tecnico, Zlatko Dalić, ha affidato al talento, alle letture e all’esperienza dei suoi uomini migliori i destini della nazionale balcanica. Dalić ha messo la sua squadra nelle mani di un gruppo ristretto di dodici giocatori, sostituendo solamente in un paio di occasioni Brozovic con Kramaric, transitando dal 4-3-3 al 4-2-3-1 nelle partite contro Nigeria e Russia.

I momenti migliori dei croati sono stati quelli in cui ha potuto dispiegare in campo aperto la velocità e la fisicità di Rebic e Perisic - come nel trionfale match contro l’Argentina - e quelli in cui, come spesso accaduto nei supplementari, raggiunti per tre volte di file dagli uomini di Dalić, il disordine dovuto alla fatica lasciava grossa influenza alle raffinate interpretazioni tattiche di Brozovic, Modric, Rakitic e Mandzukic.

A differenza della Francia, però, la Croazia non ha disdegnato di tenere il pallone tra i piedi, cercando di controllare la partita tramite il possesso. In tutte le partite a eliminazione diretta i croati hanno avuto più possesso palla degli avversari, tenendo in media il pallone per il 58% del tempo. Tuttavia, la circolazione del pallone croata è stata spesso più un mezzo difensivo per preservare dai pericoli che una maniera di attaccare efficacemente le squadre avversarie.

In particolare, con il 4-3-3 adottato nella finale e in genere maggiormente utilizzato del 4-2-3-1, la Croazia costruiva una base di possesso sicura, abbassando Modric e Rakitic, le due mezzali, ai fianchi del mediano Brozovic, schierando di fatto, cinque giocatori quasi costantemente sotto la linea del pallone.

Lo scaglionamento adottato, unito alle ottime doti tecniche e di palleggio dei centrocampisti, costituiva un’ancora sicura per il mantenimento del pallone, ma, il basso numero di giocatori avanzati, limitava la capacità della Croazia di penetrare efficacemente tra la maglie delle difese. In assenza di uno schieramento posizionale che occupasse metodicamente le zone alle spalle del centrocampo avversario e gli half-spaces, la fase di possesso croata si sviluppava principalmente sulle fasce, con le combinazioni tra gli esterni e i terzini, supportati in sostegno dalle mezzali e veniva finalizzata dai cross verso il cuore dell’area avversaria. La Croazia è stata la seconda squadra del mondiale per cross effettuati per 90 minuti (21,7), ma solamente la nona per cross accurati (4.6 p90).

Come accaduto per la Francia, la squadra di Dalić ha affrontato la finale senza provare in alcun modo ad andare oltre le certezze accumulate durante l’intero torneo, ripercorrendo la strada tattica che l’aveva condotta a giocarsi il titolo di campione del mondo.

Il controllo del pallone è stato quindi appannaggio dei croati che, nonostante il primo tempo conclusosi in svantaggio, tramite il controllo del pallone riuscivano a dominare strategicamente la partita.

Lo scontro tattico tra il possesso difensivo croato e la scelta puramente reattiva di Deschamps vedeva prevalere la squadra di Dalić, penalizzata solamente - ma è tantissimo - dagli episodi che consentivano alla Francia di chiudere la prima frazione in vantaggio per 2-1 senza avere mai tirato in porta su azione.

Le difficoltà francesi e i limiti croati

Nel primo tempo, infatti, la strategia di possesso croata inibiva quasi del tutto le possibilità di ripartenza della squadra di Deschamps. Partendo dal suo prudente schieramento posizionale in fase offensiva, i croati riuscivano a riconquistare facilmente il pallone e, nelle poche fasi di possesso concesse alla Francia, giocavano un pressing piuttosto aggressivo sui timidi e confusi tentativi di salida lavolpiana attuati dai due centrali francesi e da un Kantè molto impreciso (solo 14 passaggi tentati, di cui ben 6 sbagliati).

Il pressing croato ha messo in luce tutti i limiti dei transalpini nel risalire il campo tramite una manovra palleggiata. Modric e Rakitic si alzavano sulla stessa linea di Mandzukic e sporcavano irrimediabilmente la costruzione bassa della Francia: Kanté riduceva la sua precisione nei passaggi dall’88% nel torneo al 57% nel match, Varane dall’87% al 73%.

Solamente due ingenuità croate hanno permesso alla squadra di Deschamps di andare negli spogliatoi all’intervallo in vantaggio di una rete e con due gol realizzati. Nella prima occasione, è stata probabilmente la posizione della linea di difesa a zona di Dalić a creare i presupposti dell’autorete di Mandzukic: sulla punizione calciata dai 25 metri circa, da destra, dal mancino Griezmann, la Croazia si schierava con una disposizione 4-3-1 a zona con l’ultima linea disposta a circa un paio di metri dalla linea dell’area piccola che schiacciava troppo verso Subasic l’intero schieramento difensivo e favoriva il disturbo profondo di Pogba sullo stacco di Mandzukic.

Nel calcio di rigore concesso dall’arbitro Pitana con il supporto del VAR, invece, l’ingenuità è stata di Perisic, ma era probabilmente errata la posizione assunta da Brozovic a difesa della zona del primo palo, troppo esterna considerando la facilmente prevedibile traiettoria a rientrare del corner di Griezmann. È da sottolineare come il calcio d’angolo fosse nato da un rilancio lungo di Lloris verso la corsa profonda di Mbappé, non perfettamente letto da Vida, a testimonianza dell’estrema essenzialità della manovra offensiva della Francia.

Nel mezzo, il bellissimo gol di Perisic, autore di un notevole gesto tecnico che con il controllo orientato di destro si è liberato di Kanté e di sinistro ha battuto Lloris.

La fase offensiva croata non è riuscita però a produrre sufficienti pericoli per compensare i due gol ottenuti dai francesi. Il copione tattico dei croati non usciva dai binari stabiliti e conosciuti durante il torneo e produceva, come al solito, un gran numero di cross (12 nel solo primo tempo, 6 dei soliti Vrsaljko e Perisic in tutto il match) di cui solo due raggiungevano un compagno di squadra e generavano i soli due tiri su azione della Croazia nel primo tempo. Incapaci di disordinare con il gioco esclusivamente perimetrale la difesa di Deschamps, i balcanici nel primo tempo calciavano in porta per 5 volte da calcio piazzato, rivelando un’insolita debolezza francese nella difesa delle situazioni da palla inattiva.

La pass-map della Croazia evidenzia bene il grosso lavoro di manovra dei tre centrocampisti, supportati dai terzini e dai centrali, mentre le connessioni coi giocatori offensivi sono invece inferiori (non deve trarre in inganno la posizione di Rebic e Perisic,

in realtà i due non hanno ricevuto internamente, ma prevalentemente sull’esterno: nel grafico viene riportata la posizione media, figlia dei tanti cambi di fascia tra i due).

I 6 minuti di Pogba e Mbappe

Il secondo tempo iniziava alla stessa maniera del primo, con la Francia bassa e che, nella rare occasioni in cui sfidava la resistenza al pressing croato alzando la pressione - prevalentemente con Pogba - veniva superata lasciando spazi invitanti alla manovra avversaria.

Le avvisaglie del gol del 3-1 erano rappresentate da un’occasione in ripartenza, la prima per la Francia, di Mbappé su lancio di Paul Pogba al minuto 51. Otto minuti dopo, con un calcio ancora più bello - 50 metri di controbalzo - Pogba lanciava nuovamente in campo aperto Mbappé per andare poi a concludere arrivando a rimorchio . La prodezza individuale di Pogba ha steso la Croazia, mai veramente sotto sul piano del gioco eppure sotto di due gol nel risultato.

La squadra di Dalić ha pagato a caro prezzo lo scoramento e dopo 6 minuti, slegata e allungata, ha subìto il gol del 4-1 di Mbappé, che ha reso praticamente inutile il clamoroso errore di Lloris che regalava il secondo gol alla Croazia. In entrambi i gol subiti nel secondo tempo, il portiere Subasic, l’eroe delle partita vinte ai rigori contro Danimarca e Russia, non sembrava immune da errori.

Sul tiro di Pogba, coperto dai difensori, si spostava verso il centro della porta per liberare la visuale, ma veniva preso in contropiede dal tiro di sinistro del fuoriclasse francese. In occasione del gol di Mbappé, preparava l’eventuale tuffo con un saltello a piè pari verso sinistra, venendo, anche stavolta, preso in contropiede sul suo lato destro. Chissà se al mancato tuffo non abbia in parte contribuito l’infortunio, apparentemente superato, occorsogli nel finale della partita contro la Russia proprio sulla coscia destra, quella dell’arto di spinta per un tuffo verso destra.

Cosa ci dice il successo della Francia (e quello della migliore Croazia della sua storia)

La Francia si è dimostrata la squadra di certo più solida del mondiale, mettendo a segno un percorso netto nella fase a eliminazione diretta, condotta vincendo ogni partita al novantesimo minuto. L’unico possibile momento di difficoltà, seguente al gol di Mercado che aveva portato in vantaggio l’Argentina all’inizio del secondo tempo dell’ottavo di finale, è stato risolto con estrema autorità, segnando 3 gol in 11 minuti.

Nel bilancio tra costi e benefici, Deschamps ha realisticamente scelto di concentrarsi sui vantaggi derivanti da un atteggiamento prudente e da una difesa bassa, capace di donare al contempo stabilità arretrata e spazi da aggredire in contrattacco, eliminando così alla radice gli storici problemi nella costruzione palleggiata e nelle susseguenti transizioni difensive.

I costi da pagare a un’impostazione così reattiva sono stati limitati dal grande talento offensivo dei francesi, capaci, in spazi ampi, di generare pericoli per gli avversari con un gioco quasi esclusivamente verticale e dalla complessità estremamente ridotta.

La pass map della Francia contenente solo le tracce di passaggio giocate almeno 8 volte: da Lloris e Giroud. Un’immagine simbolo dell’estrema semplicità del calcio francese.

A rendere possibile l’efficacia del calcio dei Bleus è stato l’elevato rendimento della linea arretrata, in particolare della coppia Varane-Umtiti, che, sebbene maggiormente a proprio agio in un sistema in grado di farla difendere più distanti dalla propria porta, ha protetto ottimamente il cuore dell’area francese.

In avanti la verticalità e l’esplosività di Mbappè, la capacità di innescare le ripartenze con lanci o corse palla al piede di Pogba e la tecnica di Griezmann, fondamentale nel fornire un appoggio sempre dinamico alle ripartenze francesi, hanno dominato la fase offensiva della squadra di Deschamps.

Nella finale, l’estrema volontà di Deschamps di non abbandonare il sentiero battuto, si è scontrata, per tutto il primo tempo, con la capacità della Croazia di dominare tatticamente il match tramite un controllo del pallone di natura fondamentalmente difensiva che inibiva ogni possibile ripartenza dei francesi. La Francia ha prodotto davvero poco offensivamente ma, dopo i due gol del primo tempo, senza mai avere tirato in porta su azione, è bastata - come contro l’Argentina - una fiammata di 6 minuti per chiudere la partita con i gol di Pogba e Mbappé.

Con 6 tiri totali (di cui però 5 nello specchio), di cui sono 1 dentro l’area e 0.2 xG, la Francia ha segnato 4 gol (1 su rigore).

La Francia non ha giocato bene l’atto conclusivo del suo mondiale, ma coerentemente con tutto il mondiale ha vinto con autorità, affidandosi alle qualità e alle fiammate dei suoi giocatori offensivi.

In linea più generale ha vinto la squadra che, probabilmente, come riconosciuto da molti alla vigilia, possedeva la maggiore quantità di talento diffuso in ogni parte del campo. L’organizzazione di gioco è stata interamente finalizzata a semplificare i compiti ad ogni calciatore e a preparare il terreno per un’espressione il più immediata possibile delle capacità offensive dei migliori giocatori.

Se nel 2010 e nel 2014 a vincere la Coppa del Mondo erano, assieme ai grandi giocatori, gli stili di gioco netti e l’organizzazione tattica di Spagna e Germania, il 2018 è stato il trionfo della capacità francese di produrre calciatori di talento, pur senza un tratto veramente distintivo del calcio nazionale.

In fondo la vittoria della Francia si inserisce, in qualche maniera, nell’ampio filone aperto dalle vittorie del Real Madrid in Champions League, che centra la costruzione dell’identità di una squadra principalmente sulle caratteristiche dei propri uomini migliori e sullo sfruttamento quasi chirurgico delle loro qualità.

Anche la Croazia, che ha raggiunto uno storico secondo posto con una splendida generazione di calciatori, si può perfettamente assimilare a questo grande macro-insieme di squadre, la cui più profonda natura è radicalmente plasmata da quella dei suoi migliori calciatori, lasciando alla strategia a tavolino solamente gli aggiustamenti necessari ad affrontare le richieste della singola partita.

Un calcio assieme antico, nel ridare centralità anche progettuale alle caratteristiche dei calciatori in campo, ma al contempo estremamente moderno per la capacità di massimizzare i campioni a disposizione, sorpassando le contrapposizioni tattiche sempre più raffinate e per questo equilibrate.

Come nella lunga storia del pallone, sarà davvero interessante seguirne le evoluzioni.

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