Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
La Francia e la ricetta per vincere il Mondiale
11 lug 2018
11 lug 2018
Belgio e Francia hanno dimostrato di meritare una semifinale di un Mondiale ma quella di Deschamps si è dimostrata ancora una volta la squadra più solida.
Dark mode
(ON)

In questo Mondiale, a cui mancano ancora tre partite da giocare, sono stati segnati già 32 gol con un colpo di testa. Opta ci dice che solo nel 2002 ne sono stati segnati di più (35). Sempre durante Russia 2018, siamo arrivati a 69 gol da calcio piazzato (quindi su rigori, punizioni, calci d’angolo e rimesse laterali) su 158 segnati in totale. Ed è con un cross al bacio di Griezmann, da palla ferma, e l’ennesimo colpo di testa, che la Francia ha segnato il gol risultato poi decisivo.

In una partita resa comunque piacevole dal livello dei giocatori in campo, la Francia ha tratto il massimo pur senza brillare eccessivamente con la palla tra i piedi, confermandosi squadra dal grande talento individuale che però riesce ad accendersi solo per brevi momenti nella partita, e che in genere preferisce concentrare la sua attenzione nella difesa posizionale. Una partita che ha concluso il sogno della generazione d’oro del calcio belga di vincere il primo Mondiale della sua storia (ma che ha replicato il miglior risultato di sempre, la semifinale): una squadra guidata da un tecnico ambizioso, che con le sue scelte ha cercato sempre di prendere l’iniziativa.

Il carattere di questo Belgio
Il Belgio di Martinez ha tenuto un atteggiamento proattivo lungo tutta la partita, con una strategia che voleva il Belgio protagonista con il pallone e attento ad occupare in modo razionale gli spazi in campo. Una squadra che il tecnico spagnolo ha saputo aggiustare di partita in partita dimostrando il coraggio di voler migliorare adeguandosi all’avversario, come siamo più abituati a veder fare alle squadre di club (e infatti questa è la prima esperienza di Marinez sulla panchina di una Nazionale).

In questo caso, alla necessità di trovare la strategia migliore per affrontare la Francia si è aggiunta l’assenza forzata di Meunier, che ha contribuito a spingere il Belgio verso una difesa a 4, con Chadli terzino destro e un centrocampo più folto con la presenza di Dembélé, che diventava a 3 in fase offensiva, con Chadli che saliva all’altezza dei centrocampisti. A dare l’ampiezza a sinistra ci è finito Eden Hazard, con Dembélé e Witsel in coppia davanti alla difesa, per aiutare l’uscita del pallone, e De Bruyne a fare da rifinitore. Fellaini ha fatto a tutti gli effetti da secondo attaccante, per non lasciare Lukaku come sola presenza in area di rigore.

L’idea di base con cui il Belgio voleva arrivare alla conclusione consisteva nello sfruttare a proprio vantaggio Fellaini e Lukaku facendogli occupare l’area di rigore, facendo uso quindi di una dose massiccia di cross. Il Belgio costruiva prevalentemente a destra, con Chadli come principale riferimento e la possibilità di cambiare campo per cercare direttamente Hazard a sinistra, in isolamento contro Pavard. L’esecuzione di questa strategia, però, è stata poco precisa e il Belgio troppe volte ha perso palla in situazioni pericolose. Va dato atto a Martinez di essere rimasto fedele per tutta la partita all’idea di un Belgio che prova a imporre il proprio contesto.


Il grafico di passaggi e posizioni medie mostra il volume di gioco concentrato sulla fascia destra per arrivare al cross. I dati Opta ci dicono che ha tentato 21 cross esclusi i corner.



Così come la fase di possesso, anche quella senza palla viene curata nei dettagli da Martinez, questa volta utilizzando giocatori con compiti specifici: Fellaini che si attacca a Pogba per limitarne il più possibile l’efficacia in costruzione; Dembélé in raddoppio su Mbappé per non lasciare solo Vertonghen in balia della sua velocità; Witsel attento a seguire per quanto possibile i movimenti di Griezmann per non lasciarlo ricevere con spazio.

La Francia ha avuto le sue occasioni da gol ma il piano gara ha comunque garantito al Belgio di mascherare il suo più grande difetto: le transizioni difensive. Pensare di annullarlo del tutto era impensabile contro una squadra che dispone di Griezmann e Mbappé, ma forse quello è veramente mancato al Belgio è stata la capacità dei singoli di interpretare lo spartito di gara fornito da Martinez, e forzarlo là dove lo ritenevano necessario.

Solo Hazard ha provato a farlo quando la Francia ha iniziato a raddoppiare sui suoi dribbling, andando a ricevere troppo lontano dall’area però per poter dare l’ultimo passaggio. Nonostante il grande volume di gioco, il Belgio ha chiuso con solo 9 tiri totali, di cui 6 nell’area (solo 4 di testa).

Lukaku ha effettuato 22 tocchi e Fellaini 37. In due hanno tirato 2 volte in tutto, nessuna delle quali nello specchio. Non abbastanza contro questa Francia.



Deschamps, il chimico
Ormai sappiamo che guardare le partite di un Mondiale con lo stesso metro di giudizio con cui si guarda il calcio dei club è inutile. Lo sport è lo stesso, ma declinato in modo differente per moltissime ragioni. Deschamps sembra aver abbracciato questa evidenza scegliendo di non cavalcare l’avanguardia tattica del momento ma di sfruttare il talento (incredibile, strepitoso) a disposizione.

Forse Deschamps, l’unico allenatore ad aver già vinto una Coppa del Mondo da giocatore, ne ha capito meglio di tutti l’essenza: la Francia punta prima di ogni altra cosa a non prendere gol, a sbagliare il meno possibile, e nel caso a correggere il più possibile l’errore del singolo con un altro singolo.

La Francia è l’immagine più attuale della squadra reattiva, che vuole reagire all’iniziativa avversaria fermandola con il proprio talento e la propria organizzazione difensiva (non raffinatissima) e da lì costruire la sua partita a sua volta basata sulla somma del talento individuale. Provando ad andare in porta con scambi veloci e improvvisati in contropiede nati dal puro talento tra chi combina. Oppure su palla ferma.

Deschamps ha capito, nel caso non lo avesse saputo da prima, che vince torneo chi sbaglia di meno e che basta uno schema su palla ferma per avere un’occasione da gol. D’altra parte allenare uno schema è più facile che trovare dei meccanismi per far funzionare l’attacco posizionale. La Francia ha battuto così l’Uruguay ai quarti, e adesso il Belgio in semifinale.




Si può vedere la Francia come una specie di calderone dentro cui Deschamps versa la quantità e il tipo di talento peculiare di cui necessita per trovare il suo equilibrio perfetto: il giocatore che recupera palla, il correttore, il regista, il rifinitore, l’attaccante che dà profondità, la punta che fa da sponda.

Alcuni di questi talenti sono più importanti di altri, è evidente, ma tutti contribuiscono a far funzionare il sistema. La Francia non è una squadra superiore alla somma delle sue singole parti, perché così ha scelto Deschamps, ma tanto basta per essere una squadra difficile da battere e pericolosissima in transizione offensiva. In grado di creare il numero giusto di conclusioni nella porta avversaria e ricevere il numero minimo nella propria. Alla Francia bastano poche azioni da gol a partita per segnare ed è molto difficile creargli contro azioni pulite. Il sistema così minuziosamente bilanciato e il talento a disposizione fa sì che la Francia di Deschamps, pur non raggiungendo quindi il massimo del suo potenziale, non è mai stata superata in campo. Neanche dal Belgio, dalla sua organizzazione e dal suo talento.

Questa squadra costruita con il bilancino sembra avere un rimedio per tutto. Ad ogni anticipo di Kanté su una palla filtrante c’è dietro un movimento di Pogba per coprire l’eventuale errore; ad ogni passaggio lento e prevedibile a centrocampo corrisponde un tocco di prima illuminante di Griezmann per far avanzare la squadra.


Ad esempio i due centrali sarebbero più adatti a difendere alti e non arroccati a difesa della propria area, ma con l’avanzare del torneo hanno imparato a conoscersi meglio in campo e ora si compensano a vicenda. Varane ad esempio si concentra sull’area piccola.

La Francia è una squadra più cerebrale di quanto gli venga riconosciuto, perché legge e reagisce al contesto di gioco. A volte lo impone, a volte decide di accettarlo e galleggiare senza mai soffocare. Per questo c’è chi la paragona all’Atlético Madrid di Simeone, anche per la capacità di saper gestire sempre la propria fase di difesa posizionale e per l’importanza che hanno le letture senza palla. Possiede i giocatori per farlo come nessun’altra al Mondiale, questo è innegabile, ma non era scontato ad inizio torneo. Con l’andare avanti delle partite, invece, sono cresciute le influenze dei giocatori più intelligenti e in grado di guidare i compagni di reparto: Varane, Pogba, Griezmann.

La colonna vertebrale della Francia
Il luccichio della prestazione di Mbappé è quello che attira di più l’attenzione. Il ragazzo prodigio ha rappresentato da solo una sicurezza in termini di pericolosità offensiva grazie alla sua velocità e al suo dribbling in conduzione (7 dribbling riusciti su 15 tentati) e in termini di pure occasioni da gol create (6 totali, come nessun altro in partita).

La partita della Francia però si regge sulle prestazioni della sua colonna vertebrale, formata da Varane, Pogba e Griezmann. Tre giocatori totalmente inseriti dal punto di vista mentale lungo i 90 minuti (cosa che invece manca ancora a Mbappé, anche vista la giovane età) che permettono alla Francia di fare sempre la cosa giusta al momento giusto.

Contro il Belgio, Pogba ha dimostrato ancora una volta la totalità del proprio repertorio, oltre alla capacità di curare quelle piccole cose che cambiano una squadra. Come l’attenzione nei confronti di Fellaini per non permettergli di ricevere al limite dell’area e farne quindi il target dei lanci del Belgio; oppure la precisione nelle aperture, che fanno meno rumore di quella nell’ultimo passaggio (3 passaggi chiave), ma che servono comunque al sistema per dare il via alla transizione offensiva.

Quella transizione poi continuamente pulita da Griezmann. Il numero 7 ha eseguito l’ennesima sinfonia di letture, con e senza palla, per aiutare il sistema a muoversi senza singhiozzare. Ha lavorato in termini difensivi ponendosi come primo riferimento della pressione e bilanciando le transizioni offensive, portandosi lui in marcatura preventiva quando le lancia. Ogni suo tocco di palla indirizza la manovra in un senso, ogni suo movimento aiuta almeno un compagno.




Varane ha lavorato per reggere fisicamente su Lukaku, ma anche per limitare il problema strutturale della presenza di Hazard nella zona di Pavard, senza che Mbappé andasse in raddoppio. Varane ha lavorato bene in marcatura ma al contempo ha corretto i possibili errori dei compagni. Una delle immagini che ci porteremo dietro da questo Mondiale è il suo intervento in contrasto su Hazard.

Salutiamo il Mondiale di Hazard
Anche il Belgio però aveva una propria colonna vertebrale molto forte e strutturata. La squadra di Martinez ha controllato il pallone, come al solito, e la Francia glielo ha fatto fare, sicura di poter tenere a bada gli avversari.

In una squadra ricca di talento, quello di Eden Hazard brilla comunque più degli altri e lui dipendevano poi le possibilità del Belgio. Se nel primo tempo era confinato nello sfiancante lavoro di dover trovare superiorità numerica sulla fascia, e al contempo la ricezione nel mezzo spazio di sinistra per arrivare alla conclusione, nel secondo - con un gol da recuperare - il suo carisma è stato debordante.


Alla fine Hazard ce l’ha fatta a chiudere una partita stabilendo il record di dribbling riusciti in questo Mondiale: 10.



Rispetto alla partita col Brasile Martinez aveva inserito Mertens per permettere a De Bruyne di ricevere più basso, con più spazio e con a fianco un compagno largo su cui appoggiarsi. Il giocatore del City non si è trovato a suo agio però, e quando il piano A è fallito l’unico piano B disponibile era solo Hazard.

Il fuoriclasse del Chelsea ha chiesto continuamente il pallone lungo tutto il campo, provando a ricevere anche basso e da lì superare personalmente le linee della Francia. Provando quindi letteralmente a caricarsi un sistema incastrato sulle spalle per dare quello che mancava: capacità di disordinare il rivale. Autore dell’ennesima grande prestazione in questo Mondiale, dove ha brillato come una delle stelle più grandi. Non è però bastato per arrivare in finale.

La Francia invece ha superato un altro ostacolo complicatissimo con il minimo sforzo apparente. Magari non sarà troppo divertente da veder giocare - anche se è difficile non divertirsi guardando giocatori così forti - ma Deschamps sembra aver trovato la ricetta per vincere questo Mondiale, o almeno per arrivare a giocarsi la terza finale della storia della Nazionale francese.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura