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Francesco Totti esiste ancora
10 giu 2022
Sono passati cinque anni dal suo addio al calcio ma Totti continua a giocare.
(articolo)
9 min
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All’inizio di Mi ricordo, sì, io mi ricordo il documentario di Anna Maria Tatò in cui Marcello Mastroianni riflette sulla sua carriera, il celebre attore romano racconta i tempi in cui, da ragazzo, si nutriva di cinema. Il fumo delle sigarette nel fascio di luce del proiettore, gli attori di cui imitava i gesti una volta uscito, le attrici che gli sembravano delle regine. A un certo punto si domanda se il «grande schermo» abbia lo stesso effetto sulle nuove generazioni, abituate alle proporzioni di quello che lui chiama «cinema rimpicciolito», la televisione. «Fellini un giorno mi disse: vedi, Marylin Monroe prima la guardavamo così, gigantesca. Ora la guardiamo lì, per terra, piccola. Fa differenza».

Io Ricordo è uscito nel 1997 e venticinque anni dopo quelle parole dovrebbero far pensare a Netflix che vince gli Oscar e, in generale, al discorso su su quale film meriti il grande schermo - di solito i Blockbuster, perché si considera che ci siano più dettagli in un’esplosione che in un’espressione facciale.

A me, invece, quelle parole hanno fatto pensare a Francesco Totti.

Sono passati cinque anni quasi esatti dal giorno del suo addio, da quando in lacrime ha confessato di non sapere cosa avrebbe fatto da quel momento. Totti ha fatto un po’ il dirigente in tribuna, con l’aria assente di un cartonato pubblicitario. Ha estratto i foglietti coi nomi delle squadre per la Champions League. Durante il primo lockdown ha fatto una serie di dirette Instagram con suoi ex compagni e avversari. Poi ha fatto qualche pubblicità. Ma soprattutto ha ripetuto, ogni volta che ne ha avuto la possibilità, che fosse stato per lui non avrebbe mai smesso di giocare e che, anzi, tutto sommato, magari solo mezz’ora, potrebbe giocarla ancora, ad alto livello. E forse per dimostrarlo ha fondato una squadra di calcio a otto - da qui in avanti calciotto - a cui ha dato il suo nome (o meglio, quello del suo centro sportivo, Totti Sporting Club, che per ironia della sorte si trova a Ostia, non lontano dallo Sporting Beach dove invece andava al mare Daniele De Rossi) e con cui scende più o meno regolarmente in campo.

Ormai sono più di due anni che vediamo Francesco Totti su uno schermo che è persino più piccolo di quello della televisione. Sui nostri telefonini, cioè, forse Mastroianni lo chiamerebbe il piccolissimo schermo. Quasi ogni suo gol viene condiviso dai siti dei tifosi, o direttamente sulle chat private. E quasi ogni suo gol è accompagnato da un cocktail di sentimenti agitati ma non mescolati: un po’ di tristezza e nostalgia, certo, ma anche un sincero e commovente fomento, perché Totti esiste ancora, è vivo e gioca quasi letteralmente con noi, o quanto meno sugli stessi campi in cui giochiamo noi. Campi con dietro parcheggi, siepi e alberi che quasi entrano in campo, mura di edifici con la vernice scrostata, con finestre buie di uffici. Certo c’è un po’ di pubblico venuto per vederlo giocare, Francesco Totti, mentre nessuno viene a veder giocare me, per dire, ma anche nelle finali dei tornei di quartiere - o degli altri tornei che raggiungono un livello di fama quantomeno "cittadino", il Pezzana, quello dei Circoli di calcetto - c’è sempre gente accalcata fuori dalle reti metalliche o, quando ce n’è una, seduta in tribuna.

Da quando l’ha fondata nel 2019, la squadra di Totti ha vinto un campionato di Serie A della Lega Calcio a 8 e una Coppa Italia, nella stessa stagione 2019-20. Ci ha fatto giocare David Pizarro, Alberto Aquilani, Alessio Cerci e, direi soprattutto, Davide Moscardelli autore di 36 gol stagionali. Quest’anno sono stati eliminati nei playoff dalla Lazio (che è uscita subito dopo) e per capire quanto Totti è vivo ed esiste ancora basta ricordare la notizia di fine aprile, quando la sua squadra ha perso anche il derby di Supercoppa con la Lazio e lui è stato al centro di un piccolo parapiglia. Non solo Totti continua a giocare, ma continua a rosicare quando perde contro la Lazio.

L’allenatore avversario ne ha approfittato per scrivergli un messaggio piuttosto acido sui social, invitandolo a mettersi la maglia della Lazio «per farti vincere qualcosa», identificando Totti con la Roma stessa (anche se in realtà nel campionato c’è un’altra squadra che si chiama “Roma”, ancora in corsa per la vittoria del campionato, tra l’altro), tirando in ballo l’eterno conflitto tra Roma e Lazio. È strano vedere sconosciuti, tifosi più o meno qualsiasi, potersi rivolgere a Totti come se fosse davvero un giocatore da torneo qualsiasi. Fa parte del gioco, ma in realtà è Totti stesso ad avergli dato la possibilità di parlargli “da pari”, scendendo al livello dei comuni mortali, litigando con avversari che mai si sarebbero sognati di condividere il campo con lui tre o quattro anni fa. Non dico che dovrebbero ringraziarlo o trattarlo diversamente da come farebbero con qualsiasi altro avversario - anzi un po’ peggio, proprio in virtù del “simbolo Totti”, perché Totti rosica ancora ma anche i laziali rosicano per il semplice fatto che Totti esista, ed è giusto così - ma in fin dei conti Totti sarebbe potuto starsene per conto suo, a godersi l’estensione del proprio potere cittadino come una divinità intoccabile.

Da una parte è Totti che non riesce a tenersi, a smettere sul serio di giocare, a crescere, ma si tratta anche, in un certo senso, di una forma di generosità da parte sua. Rosicare significa rinunciare a qualsiasi superiorità, riconoscere un senso alla rivalità, all’avversario. Una persona che non può passeggiare in centro a Roma, che deve entrare al cinema quando le luci sono già spente per essere lasciato in pace, ma che mette tibie e peroni a disposizione di dilettanti e semiprofessionisti potenzialmente vendicativi. Uno che doveva giocare nel Real Madrid e che oggi gioca contro la squadra del ristorante La Fraschetta Del Pesce. Quello che persino i laziali devono riconoscere a Totti è che non è mai stato sfuggente, ambiguo, non si è mai sottratto, è sempre stato in sintonia con il suo stesso simbolo. Ma il punto è proprio questo: perché Totti non riesce a smettere sul serio? Se non ha niente da dimostrare, né da vincere - quanto può valere una Supercoppa di calciotto, con tutto il rispetto - perché non rinuncia al suo stesso simbolo?

Mi è venuta in mente un’intervista a Zaniolo - che con Totti e la città ha un rapporto speciale, forse persino suo malgrado, considerando le proporzioni della questione - in cui qualche tempo fa ha detto che «ogni tanto» si va a rivedere i gol di Totti e poi - usando un terribile imperfetto che mi ha fatto pensare “maledetto tempo”, recitando inconsapevolmente a memoria la lettera di addio di Totti - che «era veramente forte». Ma come era? Zaniolo non li guarda i video di Totti che gioca a calciotto? Oppure privato del contesto - lo stadio, settantamila persone, i colori giallo e rosso, la competizione - il nostro modo di guardare Totti è cambiato? Eppure mentre guardo e riguardo, e riguardo, i suoi gol a calciotto, non riesco a non pensare che persino così, per terra, piccolo, anzi piccolissimo, qualcosa del Totti vero e proprio sia rimasto intatto.

Guardo il suo gol da centrocampo a cui applaude il portiere avversario (che aveva rinviato dal limite dell’area giusto sul suo petto spesso come un frigo Smeg anni ‘50); la punizione di esterno alla Roberto Carlos, ripresa da dietro da un tizio col telefonino che lo complimenta dicendogli «mortacci tua, ao, ma tu sei un matto» - come migliaia di persone hanno commentato decine dei suoi gol in passato, solo che questo specifico tifoso può farlo a pochi centimetri di distanza dalla faccia di Totti. E poi guardo i quattro gol segnati nella stessa partita, tutti da fuori area: la punizione normale, il tiro di esterno con la palla che gli saltella incontro e che lui taglia, decapita con un colpo preciso che la spedisce sotto la traversa, il tiro al volo improvviso, da fermo, la gamba caricata come una catapulta medievale, anche quello finito sotto la traversa.

Totti sul piccolo schermo, sgranato, con la palla che sfuma per la bassa risoluzione. Senza far alzare in piedi l’equivalente di una piccola cittadina di provincia. Persino il suono della palla, quella piccola esplosione di chi ha imparato a calciare con i palloni degli anni ottanta e novanta, mi pare diverso senza la cavità di cemento che era solito ospitarlo. Questa è la malinconia, la sensazione di decadenza irreversibile, inevitabile. Eppure qualcosa traspare, sopravvive al passaggio dall’analogico al digitale. Quella qualità unica che collega il pensiero, il disegno mentale di Totti, alla traiettoria che il piede - sempre sorprendentemente piccolo se ci fate caso, raccolto, come se dentro lo scarpino le dita fossero chiuse a pugno.

Francesco Totti ha iniziato a giocare che le pay-tv non esistevano e oggi sopravvive, come altri, come Zidane ad esempio, in gloriosi account di highlights e singole giocate, o sporadiche apparizioni in carne e ossa in contesti infinitamente al di sotto del suo valore. Certo, Totti lo fa con una costanza che lascia pensare ci sia un’intenzione supplementare, rispetto a Zidane che vuole semplicemente condividere il campo con degli amici. Certo, Totti non ha vinto tre Champions League consecutive da allenatore e a differenza sempre di Zidane è parte integrante di ogni sua intervista il rimpianto dei tempi in cui giocava. Per dire: ancora nel 2020, tre anni dopo il ritiro, diceva che sarebbe stato un «buon elemento» per la Roma. E va detto che guardando i video del calciotto una parte di me pensa che forse ha anche ragione.

Quello di Totti in fin dei conti è un esperimento. Per vedere fino a dove, fino a quando, il talento racchiuso nei suoi piedi resterà vitale. Quanto può giocare da fermo? Quanto lontano dalla porta? Quanto gli si può rimpicciolire, la porta? E quanto può essere piccolo lo schermo su cui guardarlo? E se non ci fosse per niente lo schermo, se ci fossero solo quelle poche persone presenti al suo talento, che forza avrebbe? Per questa ragione il culto di Totti non è minimamente scemato rispetto a quando ha smesso di giocare: di De Rossi resta l’idea, il ricordo della persona, il carisma; di Totti però è immutabile la sensazione di onnipotenza che lo accompagnava. Tornasse in campo domani, per qualche strana ragione, il pubblico dell’Olimpico lo accoglierebbe come fosse Haaland. Totti ha detto che lo riconoscono ovunque vada, anche all’estero, persino fuori dall’Europa, e che magari tra dieci anni la situazione cambierà. Se perderà i capelli e ingrasserà, magari non lo riconosceranno più. Ha detto.

Ma Totti lo riconosciamo da qualcos’altro. Per farsi dimenticare dovrebbe smettere di giocare, di calciare palloni con la naturalezza con cui pugili settantenni mimano jab e combinazioni. Come Sugar Ray Robinson, riconoscibile e unico anche solo per come saltava la corda (e si faceva pagare, per guardarlo allenarsi). E forse è proprio per questo, per non farsi dimenticare, che Totti si ostina a giocare. O meglio, per continuare a farsi riconoscere.

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