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Federico Corona
Acerbi ha zittito tutti
05 giu 2023
05 giu 2023
Nessuno lo voleva, è diventato uno dei pilastri dell'Inter.
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Federico Corona
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Foto di Marco Canoniero / Imago
(foto) Foto di Marco Canoniero / Imago
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Pochi minuti alla fine di Inter-Fiorentina, finale di Coppa Italia. Uno degli ultimi assalti della Fiorentina, esausta ma piena d'orgoglio perché consapevole di meritare il pareggio, produce un calcio d'angolo. La palla è corta e viene ribattuta sull'esterno. Un giocatore che onestamente non ricordo la controlla e rimette nella mischia un cross stanco, a caccia del compagno che aveva tentato un attacco disperato al secondo palo. Il pallone è lungo e si perde sul fondo, come le speranze della Fiorentina. Presa coscienza dello scampato pericolo, Francesco Acerbi si gira di scatto e comincia a inveire contro Lautaro Martinez, colpevole di aver mollato il suo uomo dopo la ribattuta del calcio d'angolo. Gli urla di tutto, agitando le sue braccia lunghe e spigolose. È una furia. Lautaro incassa riducendo il suo disappunto a un lieve movimento del capo. È l'uomo della partita, ha segnato una doppietta sensazionale e predatoria, e tra pochi minuti stringerà una coppa che porta il suo marchio: avrebbe tutti i motivi del mondo per mandare al diavolo un compagno che osa aggredirlo per un errorino senza conseguenze, eppure si prende la sfuriata senza battere ciglio. È una scena che spiega bene lo status raggiunto da Acerbi all'Inter. Quello di chi può permettersi di prendere a male parole l'uomo-franchigia. Se lo è guadagnato una partita dopo l'altra, da quando è stato schierato in campo per la prima volta contro il Viktoria Plzen, il 13 settembre, in Champions League. Era arrivato all'Inter come un appestato, un ferro vecchio, un nemico. Nessuno nell'ambiente nerazzurro voleva questo 34enne decadente che come idoli aveva Alessandro Nesta e George Weah. Inoltre era reduce da una brutta stagione, ulteriormente macchiata dall'errore sul gol di Tonali nel fondamentale Lazio-Milan, con tanto di sorriso che ha scatenato ire e speculazioni di interisti e laziali. Con il mercato in chiusura, all'Inter serviva un difensore per completare la rosa. Ranocchia aveva salutato e su Skriniar suonavano le prime sirene francesi. Acerbi era una richiesta specifica di Simone Inzaghi, uno di quegli allenatori ossessionati dai fedelissimi, fissati con gli alfieri. Il flop di Correa non aveva scalfito le sue deviazioni, e quello non era di certo il momento migliore per assumersi un altro rischio. La ferita di uno scudetto perso con una buona dose di autolesionismo bruciava ancora sulla pelle degli interisti, molti dei quali, con la cronica insoddisfazione che li caratterizza, erano uniti nel pensiero che con Antonio Conte in panchina avrebbero avuto la seconda stella già cucita sul petto. Quello di Acerbi appariva come un capriccio povero: l'ennesima prova del presunto provincialismo di cui più volte Simone Inzaghi è stato accusato, e il sintomo di una società alla canna del gas, che mette toppe con prestiti bolsi. #Acerbinonlovogliamo era lo slogan che risuonava con disprezzo in tutto l'Inter Twitter. Dopo un paio di settimane di adattamento, utili anche a spegnere il fuoco della polemica, Acerbi ha la sua prima chance contro il Viktoria Plzen. Gioca una partita solida, attenta, pulita. Nulla di straordinario, di certo non abbastanza per spazzar via tutto lo scetticismo che ha accompagnato il suo arrivo. Per Inzaghi però, è abbastanza. Come se stesse aspettando solo di rompere il ghiaccio prima di consegnargli le chiavi della difesa dell'Inter. Come se tra di loro ci fosse un accordo occulto, basato sulla fiducia e la stima reciproca: vieni qui per fare il titolare, non come rimpiazzo. Complice l'ingrigimento di Stefan De Vrij, da lì Inzaghi non torna più indietro. In poco tempo Acerbi diventa irrinunciabile. Basterà una serie ridotta di partite condotte con la stessa affidabilità, la stessa presenza, e la stessa personalità, per costringere i tifosi a fare i conti con se stessi, ingurgitare il proprio veleno e fare mea culpa. «Con un po' di fatica, ma alla fine i dirigenti dell'Inter mi hanno accontentato», ha detto Inzaghi in una recente intervista alla Gazzetta dello Sport.

Tutte le partite di Acerbi si somigliano, almeno in questa stagione. Che si trovi a marcare Gonçalo Ramos o Daniel Ciofani, che giochi contro il Benfica in un quarto di Champions o contro la Cremonese in un infrasettimanale non cambia nulla. Il suo rendimento si attesta sempre su un livello d'eccellenza moderata. Nelle sue partite non si trovano mai interventi sbalorditivi, salvataggi miracolosi, recuperi eccellenti o gesti plateali. La sua efficacia non tracima mai in qualcosa di eccezionale, eppure è sempre notevole. Anche il momento personale più evidente della stagione, stagna in questo strano limbo. Il gol segnato al Parma nei supplementari degli ottavi di finale di Coppa Italia, che ha permesso all'Inter di passare il turno. La ribattuta di Buffon che arriva sulla sua corsa e Acerbi che dal limite dell'area disegna un pallonetto di testa tanto strambo quando assolutamente perfetto. Un gol fuori dai canoni, un gol a suo modo stupefacente ma che comunque nessuno si sentirebbe di definire “bello”. Piuttosto, “giusto”. Per quanto Acerbi si spinga in alto, nel suo volo c'è sempre qualcosa che rifugge il sublime. La strana percezione che offre è anche dovuta al suo stile e alla sua estetica, che alimentano gli equivoci su di lui. Acerbi è sgraziato, ha le spalle ricurve e le braccia affilate. Quando si mette in moto sembra un grosso uccello che tenta faticosamente di uscire dal mare contaminato dal petrolio. Tiene i calzettoni in modo sciatto, né alti né bassi, come se li avesse infilati di fretta. Lungo e ruvido, con la barba incolta e i capelli senza storia, è aspro come un uomo della frontiera americana, un personaggio uscito da un libro di Larry McMurtry. Ha una dialettica spiccia e senza filtri, che evade ogni costruzione sintattica e arriva al punto in pochissime parole e senza tentennamenti. «Se non passiamo è un disastro, sarebbe una stagione di merda», ha detto alla vigilia del ritorno della semifinale di Champions League con il Milan, eludendo ogni frasario da conferenza e dando voce all'unico pensiero di ogni interista. Sarebbe il ritratto perfetto di un giocatore rozzo. E infatti il coro che gli hanno dedicato i tifosi dell'Inter intona “Spaccali tutti, Acerbi spaccali tutti”, come fosse un picchiatore vecchio stile, un macellaio d'altri tempi. E invece Acerbi è un difensore poco falloso (0,6 falli a partita). In generale, è tutt'altro. Con il pallone tra i piedi, ha un gestione saggia e una buonissima sensibilità nel sinistro. Dal primo momento in cui ha messo piede in campo, si è inserito in maniera organica nella fase di prima costruzione dell'Inter, fiore all'occhiello dell'impalcatura tattica della squadra di Inzaghi. E anche quando si trova in una zona di campo apparentemente fuori dal suo radar d'azione, sa essere preciso, quasi mai precipitoso come capita a difensori che esplorano territori sconosciuti, soprattutto della sua taglia. Inzaghi si fida così tanto del suo controllo del contesto, che nelle ultime partite lo sta usando come arma tattica, alzandolo sulla linea dei centrocampisti in fase di prima costruzione. Un modo per togliere riferimenti alla pressione avversaria, ma anche un attestato di fiducia alle sue doti tecniche e cerebrali. La difesa a tre è il suo giardino di casa. Due centrali ai fianchi offrono la giusta protezione alla sua scarsa velocità, un limite che comunque Acerbi riesce a gestire con esperienza. In fase di non possesso, l'Inter alterna momenti di pressione a momenti in cui si arriccia in un blocco medio-basso, a seconda dell'avversario e del momento della partita. Quando la squadra si compatta, Acerbi è sapiente nelle letture e ingombrante in area di rigore. Quando la squadra aggredisce alta, non ha paura di lasciarsi campo alle spalle perché ha un ottimo tempo di intervento in marcatura sulla punta. Per gli attaccanti è veramente fastidioso affrontare Acerbi in questo tipo di situazioni. Soprattutto sui palloni che arrivano diretti dai difensori o comunque percorrono distanze lunghe. Giroud e Taremi, non proprio due giocatori eterei, ne sanno qualcosa. Acerbi usa tutti i centimetri, i chili, e sopratutto gli spigoli del suo corpo aguzzo per contestarli, ed è davvero difficile batterlo in questi duelli. Spesso usa le sue gambe lunghe come arpioni, per sporcare il pallone o il controllo dell'avversario da dietro, mentre con le mani lo stringe nella sua morsa puntuta. In generale Acerbi è un difensore che conserva tratti antichi e ricalca la tradizione italiana dei difensori centrali. A questo però, aggiunge la modernità del trattamento del pallone, e soprattutto la conoscenza del gioco nei suoi aspetti più evoluti.Oltre alle qualità appena descritte, è riuscito a ritagliarsi questo ruolo nell'Inter soprattutto per via della sua straordinaria applicazione. Acerbi porta all'estremo i limiti della concentrazione. Anche nel gesto più stupido e banale di una partita di calcio, non è mai pigro o grossolano. In campo è una sorta di garante delle cose fatte bene. Guardandolo attentamente, si notano movimenti preventivi spesso non necessari, e quando deve recuperare la sua posizione dopo un'uscita, lo fa al massimo dell'intensità, abbassando la testa in un gesto primitivo, come per caricare il più possibile lo sforzo. Ha una parola per tutti in tutte le situazioni, quando la palla è in gioco e quando il gioco è fermo, e spesso non le manda a dire alle punte (Lukaku e Lautaro i suoi bersagli preferiti) se hanno portato una pressione indolente.

Tutto questo l'ha portato a essere un perno dell'Inter di questa stagione. Con 3.713 minuti, è il terzo giocatore più utilizzato dopo Lautaro e Barella. Nelle rotazioni sistematiche adottate da Inzaghi da inizio aprile, è l'unico che non è stato quasi mai fatto riposare, nonostante i suoi 35 anni. Come se quest'Inter avesse sempre bisogno di Francesco Acerbi. Come se potesse fare a meno di tutti tranne che di lui. Bizzarro se si pensa a come è iniziata la sua storia con l'Inter. Invece Acerbi ha dimostrato di essere un giocatore di tutto rispetto, con la personalità giusta per imporsi in un contesto d'élite nonostante la sua età e le critiche che lo avevano investito. Ha giocato una stagione con il cipiglio di chi sentiva l'esigenza di dimostrare il suo valore, e che nel suo valore crede fermamente. Oggi non c'è interista che non ne riconosca la centralità e l'importanza per questa squadra. Inzaghi ha vinto la sua scommessa, puntando su un giocatore e un uomo di cui sapeva di potersi fidare, e che di lui ha detto «è intelligente, empatico, sempre positivo. Attrae le persone». Anche l'unico evidente errore di un'annata memorabile, è sembrato parte di una sceneggiatura perfetta per il racconto del suo riscatto. Lo scivolone contro la Lazio che ha portato al gol di Felipe Anderson. Una partita delicata che l'Inter è riuscita a ribaltare e a cui è seguito un messaggio di scuse di Acerbi, accolto da incitamenti dei tifosi dell'Inter che già allo stadio lo avevano incoraggiato con applausi. Una conciliazione simbolica e definitiva, un abbraccio immaginario che ha celebrato quest'unione inattesa e cancellato il passato di diffidenza. Con il suo approccio, Acerbi sembra aver plasmato tutta l'Inter, che ha finito per prendere quasi la sua forma. Una squadra con tigna e qualità, sobria, arrivata a un traguardo che nessuno a inizio stagione si poteva immaginare. Esattamente come Acerbi, che in un'intervista rilasciata a Repubblica nel 2019 parlava così: «Ho smesso di sognare. Mi tolgo ancora qualche soddisfazione con la Lazio e poi voglio fare l'allenatore». Sono passati quasi dieci anni da quando la sua vita è radicalmente cambiata, così come la sua traiettoria. Più volte ha raccontato di come la malattia gli abbia salvato la vita. Di come se non fosse stato per quella scoperta e quel percorso, avrebbe fatto una brutta fine, probabilmente avrebbe smesso. «Mi sono venuti a mancare gli stimoli, non sapevo più giocare. E bevevo, bevevo di tutto. Poi ho avuto di nuovo qualcosa contro cui lottare, un limite da oltrepassare. E sono ritornato bambino». La diagnosi era arrivata a luglio 2013, dopo che si era bruciato l'occasione del Milan per uno stile di vita irregolare e per l'inquieto disincanto che lo portava a indossare la 13 di Nesta come fosse una maglia qualunque. Il 10 giugno 2023 giocherà una finale di Champions League da titolare. È l'occasione di scrivere un gran finale. Nella sua zona agirà l'attaccante più forte del mondo, giovane, affamato e brutale. I tifosi dell'Inter, scherzando ma neanche troppo, forti della serenità degli sfavoriti dicono che si metterà in tasca anche lui. Pochi giorni fa, all'uscita del Suning Centre, un ragazzo gli ha addirittura regalato un retino da pesca invitando ad “acchiappare” Haaland. Sarà complicato, ma Acerbi ha già dimostrato di saper smentire tutti. 

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