Forse non conoscete Roman Abramovich
La storia di un politico con la “p” minuscola.
Nelle stanze del potere
Più anziano di vent’anni rispetto ad Abramovich, Boris Berezovsky ha fatto la sua fortuna sfruttando le privatizzazioni selvagge degli anni ’90 nel campo delle automobili e dei media. Al tempo in cui lo ha sostenuto, era un pesce decisamente più grosso rispetto ad Abramovich, non solo perché più ricco ma soprattutto perché poteva vantare connessioni molto profonde con la cosiddetta “Famiglia”: quel circolo di familiari e amici che per il presidente Yeltsin fungeva di fatto da gabinetto politico.
In particolare, Berezovsky era riuscito ad entrare nelle grazie della figlia minore di Yeltsin, Tatyana, sommergendola di regali (automobili di lusso, per lo più). Tatyana era molto influente nei confronti del padre, talmente influente che secondo alcuni è stata proprio lei a consigliargli di svendere le aziende energetiche russe per salvare un paese destinato altrimenti al fallimento.
Berezovsky conosce Abramovich nel 1995 sullo yacht di un amico in comune e ne rimane subito affascinato. Una delle qualità che in Russia viene riconosciuta ad Abramovich è quella di saperci fare nei rapporti interpersonali ed è paradossale se pensiamo che in Inghilterra sembra essere invece un uomo silenzioso e sfuggente. Secondo il giornalista russo Alexei Venediktov, che ha conosciuto entrambi, dopo quell’incontro Berezovsky lo definì il giovane più talentuoso che avesse mai conosciuto: «Una volta gli ho chiesto che talento avesse Abramovich e lui mi ha risposto che era un buon psicologo».
Berezovsky e Abramovich, 2000.
Più avanti lo stesso Berezovsky dichiarerà: «Non penso che Abramovich sia furbo strategicamente, ma se vuole convincerti personalmente finisci per credergli, al punto da pensare che sia davvero che sia sincero. È un genio. Mi ha davvero convinto per lungo tempo che potessi fidarmi di lui come di un figlio».
L’altra parte della realtà è che Abramovich serviva a Berezovsky nel suo progetto di appropriazione della Sibneft, una megacompagnia energetica nata dalla fusione tra la Noyabrskneftegaz (azienda che si occupava dell’estrazione) e la raffineria di Omsk, la più grande di tutta la Russia, con cui il futuro presidente del Chelsea aveva già fatto non meglio precisati affari. Grazie alle connessioni di Berezovsky, il governo Yeltsin – tra la fine di settembre e dicembre del 1995 – creò prima, e poi mise in vendita, la Sibneft. L’acquisizione finì in favore di Abramovich e Berezovsky, circa due anni e 200 milioni di dollari dopo, per un’azienda che già nel 2003 valeva 75 volte tanto (15 miliardi di dollari).
Con l’acquisto della Sibneft, Abramovich non divenne solo incredibilmente ricco ma anche pericolosamente potente, probabilmente più di quanto lo stesso Berezovsky si aspettasse. Negli anni successivi, Abramovich non solo si espanse con una disinvoltura sorprendente nel pericoloso campo dell’alluminio (tanto che i conflitti in questo settore sono stati chiamati “Alluminium Wars”) con l’acquisizione della NkAZ, ma soprattutto si sostituì lentamente a Berezovsky nel rapporto con Tatyana, la figlia di Yeltsin.
Fu solo con il cambio di regime politico, però, che Abramovich si trasformò davvero in un oligarca.
Come si dice machiavellico in russo?
Nell’agosto del 1999 Boris Yeltsin nomina come suo primo ministro un ex membro del KGB, con un passato per forza di cose torbido nella Germania dell’Est, fino a quel momento praticamente sconosciuto al grande pubblico: Vladimir Putin.
Gli oligarchi russi che hanno ormai preso il controllo della corte di Yeltsin, incluso ovviamente Berezovsky, si sfregano le mani di fronte ad una nomina di così basso profilo, convinti di poter controllare anche quello che sembra essere il più probabile successore del presidente. Tuttavia, nella più tipica delle narrazioni sul potere accadrà esattamente il contrario e sarà proprio Putin a mettere definitivamente fine alla breve era degli oligarchi. Quando Berezovsky proverà a chiedergli chi avrebbe voluto come capo di gabinetto, Putin elude la domanda rispondendo che avrebbe fatto le sue considerazioni.
Nell’estate del 2000, appena eletto presidente, Putin vuole subito presentarsi come l’uomo in grado di riportare lo stato russo al di sopra degli interessi particolari degli oligarchi, che sono ormai malvisti dall’opinione pubblica. Li riunisce tutti al Cremlino e cerca di stringere con loro un patto: potranno tenersi tutto ciò che si sono presi dopo la fine dell’Unione Sovietica a tre condizioni: non dovranno interferire col governo; non dovranno corrompere la burocrazia; e dovranno pagare le tasse. In caso contrario avrebbero perso tutte le loro proprietà, o peggio (una minaccia con un certo fondamento, in bocca ad un uomo che proveniva dal KGB). Uno dei primi a venire meno a questo patto fu proprio Boris Berezovsky.
Il presidente che costringe un imprenditore a riaprire una fabbrica: l’immagine che Putin vuole dare all’osservatore.
Un mese dopo quell’incontro, uno dei più importanti sottomarini dell’esercito russo, il Kursk, affonda nelle profondità del Mare di Barents, con a bordo 118 persone, e Putin ha la malaugurata idea di non interrompere le sue vacanze estive per seguire la vicenda di persona. Sulla stampa nazionale e internazionale il caso monta e Putin viene attaccato personalmente per quella clamorosa mancanza di cura nei confronti di una tragedia di dimensioni colossali.
Tra le voci più critiche del nuovo presidente c’è anche la ORT, un canale televisivo di cui Berezovsky era il principale azionista, che arriva a paragonare la triste fine del Kursk al disastro nucleare di Chernobyl. La reazione di Putin sarà durissima: Berezovsky di lì a pochi mesi sarà costretto a lasciare il paese in esilio e a vendere la sua quota in ORT (circa il 49%). L’uomo che si appropria della sua quota è proprio Roman Abramovich (che è ancora oggi proprietario di circa il 24% di quella che oggi si chiama Channel One Russia).
Quello di cui Berezovsky era totalmente all’oscuro è che Abramovich stava svolgendo un ruolo fondamentale nell’ascesa del cosiddetto nuovo zar. Aveva finanziato e dato un contributo logistico fondamentale al suo partito, Unità (oggi Russia Unita), ed era talmente vicino a Putin che, quando nell’estate del 1999 l’attuale presidente russo deve formare il suo gabinetto da primo ministro, è lui in persona a tenere i colloqui al Cremlino.
Un poster elettorale di Abramovich a Mosca, nel 1999.
Mentre Berezovsky si appresta a lasciare la Russia per sempre, Abramovich si candida a sorpresa a governatore della regione autonoma della Chukotka, nell’estremo oriente russo, forse per ottenere dei vantaggi fiscali per le sue aziende. Interrogato su quello che era il suo partner più vicino, risponde in maniera incredibilmente fredda: «Eravamo molto amici ma Berezovsky non mi ha mai aiutato, ha sempre aiutato se stesso».
In appena cinque anni Abramovich è passato dall’essere un piccolo imprenditore di giocattoli ad essere l’oligarca più ricco e influente di tutto il paese: mostrarsi vicino a Berezovsky non è più politicamente conveniente.
Anni più tardi, quando condivideranno Londra come nuova patria, Berezovsky in esilio e Abramovich per motivi di affari (ne parlerò meglio più avanti), l’ex mentore di vendicarsi del suo ex allievo portandolo in tribunale, consapevole che un processo contro il presidente del Chelsea attirerà un’attenzione mediatica senza precedenti. Infatti i giornalisti, che seguiranno il processo con attenzione maniacale, impacchettano la vicenda in un titolo da Blockbuster: “il processo degli oligarchi”.
Abramovich nell’estate del 2012 vincerà quel processo, dopo che l’Alta Corte di Londra respingerà «nella loro interezza» le accuse di Berezovsky: cioè di essere stato costretto a vendere la sua quota della Sibneft dopo l’esilio a un prezzo stracciato (1.3 miliardi di dollari invece di 6.8, secondo la quotazione ritenuta giusta da Berezovsky). Ma per lui sarà comunque una sconfitta, perché quel processo ci permette oggi di fare luce su una parte fondamentale di un passato che custodisce gelosamente.
In particolare, Berezovsky parlerà nel dettaglio del rapporto tra Abramovich e Putin, descrivendo il primo come una sorta di sicario del secondo: «Inizialmente si nascondeva alle spalle di Putin. Diceva: “È colpa di Putin, non mia, di Putin”. Ma dopo ha smesso di fare anche questo perché ormai agiva, mi dispiace dirlo, come un gangster».
Un incontro tra Putin e Abramovich nel maggio del 2005.
Pochi mesi dopo, nel marzo del 2013, Berezovsky verrà trovato morto nella sua casa nei pressi di Londra, forse suicida: Berezovsky aveva passato gli ultimi giorni della sua vita in depressione, alla ricerca di un modo per trovare i circa 180 milioni di dollari di spese processuali che era stato costretto a pagare dopo la sconfitta nel processo.