Forse ci stiamo dimenticando di Rooney
Quello che torna all’Everton è uno dei giocatori più talentuosi degli ultimi anni, eppure non ha ricevuto l’amore che meritava.
Il carattere di Rooney
C’è un video che sintetizza in pochi secondi la questione del carattere di Rooney, che per sua stessa ammissione fin da piccolo ha dei problemi a controllare la rabbia. Questo è il motivo per cui in carriera ha avuto un bel po’ di momenti di oscurità e reazioni violente in campo, ma è anche l’impulso fondamentale intorno a cui ha costruito uno stile di gioco inconfondibile.
Il video è stato ripreso durante una partita contro il Newcastle nel 2005. Rooney corricchia all’altezza della lunetta del centrocampo, protestando con l’arbitro che lo ignora. Ha un piccolo gesto di stizza, lo insegue, cerca di farsi sentire. Sembra disinteressato all’azione, ovunque essa si stia svolgendo. Improvvisamente un pallone spiovente entra nell’inquadratura, e ci rendiamo conto di essere arrivati a una decina di metri dal limite dell’area di rigore. Rooney lascia perdere l’arbitro, si coordina e rifila un calcione al pallone con la stessa rabbia con cui io o voi potremmo dare un pugno al muro o un calcio alla sedia durante una lite molto accesa con il/la nostro/a fidanzato/a. È uno dei gol più belli della sua carriera, secondo alcuni il più bello in assoluto.
Manchester United Legend
Nel corso degli ultimi dodici mesi Mourinho si è dedicato all’impresa di scaricare Rooney con tutta la ricchezza lessicale e la capacità di variare i registri – tecnico, aziendalista, sentimentale – che gli sono proprie. Pochi giorni fa ha detto che Rooney “gli manca”, ma non poteva “impedirgli di essere felice”, una dichiarazione che ci trasporta istantaneamente in un mondo da Occhi del cuore e che probabilmente va presa con conseguente serietà. Qualche mese fa invece aveva ammesso che Rooney stava passando un “periodo difficile” nella “parte finale della propria carriera” (al momento della dichiarazione Rooney aveva trentun anni e mezzo e faceva stabilmente panchina a Ibrahimovic che ne aveva trentasei). In un’altra intervista invece si è messo a concionare con aria grave sul fatto che il calcio è una industry nella quale those who lead devono prendere delle decisioni, siano esse in sintonia o meno con i sentimenti della piazza e di loro stessi.
In realtà era chiaro da mesi che questa sarebbe stata l’estate dell’addio di Rooney al Manchester dopo dodici stagioni, e se non fosse tornato all’Everton sarebbe andato in Cina ad appesantirsi, segnare da lontanissimo e diventare ancora più ricco.
L’Everton invece è una squadra forte e ambiziosa, ritenuta da molti una delle regine di questa parte di mercato. Ceduto Lukaku proprio allo United, oltre che con Rooney i “blues” si sono rinforzati con due delle più belle rivelazioni del calcio inglese nella scorsa stagione, Pickford in porta e Michael Keane in difesa, con un giocatore ancora giovane ma di già acclarata caratura internazionale come Davy Klaassen e con due talenti purissimi come Onyekuru e Sandro Ramirez. L’obiettivo è la qualificazione alla prossima Champions League e per riuscirci l’Everton avrà bisogno di Rooney a pieno servizio, per cui non si può parlare né di una scelta unicamente sentimentale né di allontanamento dal calcio che conta.
La tentazione di fare già adesso un bilancio della sua carriera è quindi probabilmente ingenerosa sia nei confronti del giocatore che del suo nuovo club, e può essere giustificata solo dal vistoso e stabile calo di rendimento di Rooney nelle ultime due stagioni almeno, dalla sua perdita di esplosività (che peraltro era già stata vaticinata da Alex Ferguson anni fa, quando aveva scritto nella sua autobiografia che Rooney avrebbe toccato l’apice “intorno ai venticinque anni” e che non riusciva a immaginarselo “fare grandi cose dopo i trenta”) dall’impossibilità di ritagliarsi un posto da titolare in attacco anche dopo l’infortunio di Ibrahimovic, in un Manchester arrivato sesto segnando 54 gol, oltre 20 in meno di ciascuna delle cinque squadre che lo hanno preceduto in classifica e addirittura uno in meno del Bournemouth nono.
Dunque proviamoci, ripartendo dall’inizio della sua avventura con i “reds”: il “tradimento” di Rooney nei confronti dell’Everton si realizza nell’estate del 2004, con modalità brutalmente asciutte, e un senso di inevitabilità che in un certo senso lo rende ancora più amaro. Nessuno pensa davvero che il miglior giovane attaccante d’Inghilterra e forse del mondo possa restare a lungo in una squadra che in quel momento è di medio-bassa classifica, e la rabbia dei tifosi dell’Everton cresce intorno alla frustrazione per questo stato di cose piuttosto che sulla base di una reale aspettativa tradita.
Ferguson racconta nella sua autobiografia la riunione decisiva per la trattativa, a fine agosto a Liverpool, con Moyes cupo e silenzioso e il presidente dell’Everton in lacrime che chiama la moglie al telefono e continua a ripeterle «il ragazzo… ci stanno portando via il ragazzo…».
I 26 milioni di sterline pagati dal Manchester ne fanno a 18 anni l’under 20 più pagato della storia.
L’esordio immediato in Champions League contro il Fenerbahce, quasi senza preparazione, è il momento culminante della prima fase della carriera di Rooney, quella che assomiglia in tutto e per tutto a una favola. Rooney si presenta al pubblico dell’Old Trafford diventando il più giovane giocatore di sempre a segnare una tripletta nella massima competizione europea. Ancora una volta, i tre gol mostrano un armamentario tecnico illimitato: prima una gran botta di sinistro sul passaggio in profondità di van Nistelrooy, poi una rasoiata in diagonale radente al terreno da almeno venti metri, infine addirittura un calcio di punizione a giro sopra la barriera.
Al Manchester deve confrontarsi con una dimensione nuova, come un bambino superdotato che passa dalla scuola pubblica a quella per genii, guadagnando in stimoli ma perdendo il diritto di sentirsi speciale. Il confronto più immediato è naturalmente quello con Cristiano Ronaldo, che ha la sua stessa età e la stessa innata capacità di rendersi pericoloso partendo da qualsiasi punto nella trequarti avversaria. I due si trovano a meraviglia e diventano la miglior coppia di giovani attaccanti al mondo, producendo sensazionale a ritmo continuo in un tridente completato da un terminale spietato e più esperto come Van Nistelrooj. Rooney e Cristiano si completano anche esteticamente, con la postura eretta e il passo da spadaccino del portoghese che fanno da cornice alle esplosioni di forza di Rooney.
Il primo anno non vincono niente, il secondo solo una Football League Cup. Tra il 2007 e il 2009 però, con Tevez al posto di Van Nistelrooj, iscrivono i propri nomi nella prestigiosa storia dello United. Il primo anno riescono a mettersi dietro il Chelsea di Mourinho e a laurearsi campioni d’Inghilterra, venendo eliminati dalla Champions nella storica doppia semifinale contro il Milan. Nella partita di andata Rooney segna una doppietta che è lo zenit della sua carriera internazionale fino a quel momento, prima controllando e girandosi in un fazzoletto e poi trafiggendo Dida sul suo palo con una conclusione di potenza erculea e ideazione geometrica.
Qualcosa di profondo però è cambiato nel gioco di Rooney e dei suoi compagni. Cristiano Ronaldo ormai porta la maglia numero 7 per abitudine, ma si è largamente emancipato dal ruolo di ala. È libero di accentrarsi, arretrare, tastare il polso delle difese avversarie e prendere la forma delle loro peggiori paure. Anche Rooney è diventato molto più duttile, ma in un senso che ha a che vedere con il servizio alla squadra più che con la libertà creativa. Il magnete che lo attraeva continuamente verso la porta avversaria sembra essere stato disattivato e gli highlights della sua stagione comprendono più cross morbidi dalla trequarti e assist per i compagni che gol. Lo troviamo del tutto a suo agio in zone del campo in cui i grandi attaccanti di solito si avventurano solo con lo spirito delle star di Hollywood nel terzo mondo: sforzandosi di sorridere ma augurandosi che finisca in fretta. Troviamo Rooney a duellare a centrocampo con il mediano avversario senza differenze di approccio sensibili con l’avversario. Lo vediamo uscire a testa alta da un ripiegamento difensivo sulla fascia col passo sbrigativo e l’aria pratica di uno che ha fatto il terzino tutta la vita.
Questo in una certa misura accresce la sua fama e la sua popolarità tra i tifosi. Rooney fa nel calcio d’élite come un tizio con cui facevo le partitelle da ragazzino, che nella sua vera vita calcistica giocava difensore centrale a livelli molto alti e allora con noi per divertirsi faceva tutti i ruoli tranne il suo, dal regista alla punta, ed era comunque il migliore di tutti.
Allo stesso tempo Rooney inizia a rimetterci in visibilità: segna “solo” 14 gol in Premier tre in meno di Ronaldo che (fa notare qualcuno) in teoria è “meno attaccante” di lui.
L’anno dopo Rooney si rompe il piede a inizio stagione, ma rientra in fretta nel Manchester che vince (quasi) tutto: Community Shield, seconda Premier League consecutiva e soprattutto Champions League, battendo ai rigori in finale il Chelsea. L’uomo-copertina ormai indiscusso è Cristiano Ronaldo, che a fine anno vince il Pallone d’Oro. Rooney arriva solo tredicesimo, dietro tra gli altri ad Arshavin e Marcos Senna.
Ecco un altro paradosso nella carriera di Rooney: le stagioni migliori della carriera sono quelle che in un certo senso lo confinano per sempre al ruolo di comprimario, sia pure di altissimo livello.
Anni dopo Rio Ferdinand, una delle colonne di quella squadra, dirà senza mezzi termini (e forse, va detto, con una punta di orgoglio nazionalista) che Rooney sarebbe potuto essere migliore di Ronaldo, se avesse avuto il suo stesso egoismo. Ibrahimovic come d’abitudine sarà ancora meno diplomatico, e interrogato su quel pezzo della storia dello United dirà: «Rooney faceva tutto il lavoro, Ronaldo si prendeva tutto il merito».
In conclusione
Anche dopo la partenza di Ronaldo per Madrid l’infinita duttilità di Rooney, il suo essere così incredibilmente bravo a fare tutto, sarà paradossalmente l’ostacolo decisivo per impedirgli di diventare un giocatore da trenta gol a stagione. In un certo senso verrà sempre sacrificato a vantaggio di giocatori magari meno forti ma più specializzati, che si chiamino Owen, van Persie o addirittura Berbatov.
Un leggendario gol di van Persie con leggendario assist di Rooney, che rivela una volta di più una sensibilità di calcio da trequartista.
Per quanto ci sforziamo di studiare il calcio e parlarne con serietà attraverso l’osservazione e lo studio delle statistiche, il giudizio storico sui calciatori resta fondamentalmente sommario e ingiusto, perché ha a che vedere soprattutto con i sentimenti.
Non sono molti gli attaccanti di cui potete trovare su YouTube una compilation di 16 minuti in due parti dedicati a “assists and passes”.
Rooney torna all’Everton senza il tributo unanime che meriterebbe dai tifosi dello United, circondato da un velo di scetticismo e (come ha detto qualche mese fa Rio Ferdinand) con “un corpo da quarantenne”. Può darsi che a Liverpool riesca a scrivere un ultimo capitolo della sua favola, riannodando quella trama sentimentale che adesso pare sfilacciata, oppure il suo declino aumenterà in pendenza e il ritorno a casa sarà soltanto una breve tappa romantica prima di approdare in effetti in Cina o in qualche altro campionato esotico.
Credo però che la storia del calcio sarà generosa con lui. Quando le polemiche e i tweet spiritosi svaniranno, resterà il ricordo di un giocatore capace di assumersi la piena responsabilità di un talento debordante, anche quando questo lo ha portato su strade lontane dal suo immediato tornaconto personale. Rooney è un calciatore in cui l’amore per il calcio in tutti i suoi aspetti prevale su qualunque calcolo. I giocatori così sono rari e non vengono dimenticati.