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La singolarità del talento di Forsberg
10 nov 2017
10 nov 2017
Lo svedese è uno dei creatori di gioco più moderni del calcio attuale.
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Nel calcio l’espressione “creatore di gioco” si riferisce di solito ai giocatori in grado di produrre situazioni pericolose da solo, anche all’interno di un organismo di squadra. Giocatori che hanno la visione e la qualità tecnica quindi per aggirare o bucare la solidità dei sistemi difensivi. È un’espressione felice, che si rifà non solo all’accezione che usiamo più comunemente di “gioco”, ma anche alla definizione che ne dà il dizionario Garzanti, secondo cui “gioco” è anche «lo spazio compreso tra le superfici affacciate di due elementi meccanici uniti da un accoppiamento mobile; il movimento consentito di tale spazio è la libertà di movimento».

 

È un’immagine efficace quando la trasportiamo su un campo da calcio. Non è difficile immaginare le due squadre accoppiate, con le loro strategie collettive, come due sistemi specchiati che si bloccano a vicenda. Fra le cose che permettono il gioco fra questi due sistemi, e fanno sì che qualcosa succeda in uno sport in cui succede poco (rispetto ad altri sport), ci sono i “creatori di gioco”. Appunto. Come caselle vuote, disordinano i sistemi, rompono gli equilibri e creano le condizioni per un evento.

 

Nella Svezia post-Ibrahimovic sembrava non potesse esserci un altro giocatore in grado di aggiungere imprevedibilità a una Nazionale tradizionalmente ordinata ma che raramente, nella sua storia, ha trovato un talento in grado di regalarle imprevedibilità. Quando però ci si cominciava a immaginare una nuova era d’austerità, è arrivato Emil Forsberg, che in queste qualificazioni ha segnato 4 gol in 10 partite, affermandosi come una fonte di gioco insostituibile nella pragmatica Svezia di Andersson.

 



La rivelazione è arrivata esattamente due anni fa, nello spareggio per qualificarsi a Euro 2016 contro la Danimarca. Forsberg, che in quel momento aveva 24 anni e giocava nella Serie B tedesca con il Lipsia, ha preso il suo posto largo a sinistra nel 4-4-2 e ha iniziato a tempestare di corse palla al piede la difesa danese. All’andata, a fine primo tempo, da una sua incursione in area è arrivato il gol dell’1 a 0. All’inizio del secondo tempo, poi, ha raccolto una palla sulla trequarti, si è girato e aveva tutta la linea difensiva danese davanti; ha iniziato a portare il pallone defilandosi verso l’angolo sinistro dell’area di rigore, cercando di sfuggire ai raddoppi attraverso l’inganno delle finte di corpo, poi, una volta dentro l’area, si fa fare fallo, guadagnando il rigore del 2 a 0.

 

In una situazione in cui Ibrahimovic era rimasto leggermente in ombra, un altro giocatore è stato in grado di spostare gli equilibri di una partita pesante.

 



 

È stato quindi naturale per Forsberg, dopo l’Europeo, ereditare la numero 10 di Zlatan. La timidezza con cui ricopre il ruolo di leader tecnico è però diametralmente opposta a quella del gigante (in tutti i sensi) che lo ha preceduto, e significativa della nuova era della Nazionale svedese. Se Ibrahimovic era il capitano superuomo che attirava tutte le luci su di sé, lasciando nell’ombra il resto della squadra, nel bene e nel male, Forsberg è una persona schiva, abituata a vedersi come parte di un collettivo. «È timido e umile ed è per questo che non c’è mai una grande comunicazione attorno a lui. È senza dubbio il giocatore più noioso da intervistare»,

il padre Leif, ex calciatore professionista.

 

Come la maggior parte dei giocatori nord-europei, Forsberg sta gestendo la propria carriera con estrema consapevolezza e professionalità. È sposato con una calciatrice professionista che definisce “la sua più severa critica”: «Quando torno da una partita ed è molto silenziosa capisco che non ho giocato bene. È una cosa bella avere accanto qualcuno che capisce di calcio».

 

Se Ibrahimovic era un accentratore anarchico, la molecola impazzita di un organismo rigido, Forsberg si prende le proprie responsabilità creative in armonia con una squadra costruita sull’intensità fisica e la disciplina tattica. Nella Svezia parte largo a sinistra nel 4-4-2 ma quando prende palla si muove in modo imprevedibile per disordinare e creare scompiglio fra le linee. Decidendo lui dove andare a formare la superiorità numerica. Può decidere di correre lungolinea sulla fascia, agendo da ala tradizionale, ma il più delle volte si accentra, sia correndo in diagonale verso il limite dell’area, che in orizzontale.

 

Il pensiero costante di Forsberg è di non uscire mai troppo dalla zona palla o da dove il gioco può prendere sviluppi interessanti. Se la squadra attacca sul lato destro, ad esempio, Forsberg si prende la libertà di accentrarsi in posizione di mezzala per offrire una linea di passaggio, ed eventualmente completa anche il taglio dal lato opposto, occupando il ruolo dell’ala destra opposta, che nel frattempo si è accentrata. I movimenti delle ali sono ciò che rendono elastico un sistema altrimenti legnoso come il 4-4-2 svedese, che fa in ogni caso largo uso dei lanci lunghi verso Berg e Toivonen. Ma anche rispetto a Durmaz - il giocatore che di solito gioca a destra - Forsberg ha una libertà di movimento ancora maggiore. Quando la palla circola tra i difensori, ad esempio, Forsberg si avvicina a Berg e a Toivonen per ricevere l’eventuale passaggio taglia-linee di Lindelof e attivare una combinazione veloce. Altre volte è direttamente lui ad attaccare la profondità senza palla oltre la linea difensiva avversaria. Se guardiamo le posizioni medie dei giocatori svedesi in Svezia - Francia è il giocatore più avanzato, e sembra agire quasi da seconda punta.

 


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La sua qualità più preziosa, in un calcio che non ha tempo da concedere a nessuno, è la capacità di mantenere un’affinata visione del gioco ad altissimi ritmi. Forsberg smentisce l’idea del trequartista cerebrale, che ha bisogno di rallentare il gioco per allinearlo al suo pensiero, e rompe l’inversa proporzionalità tra sforzo fisico e lucidità mentale, visto che riesce a correre e a pensare alla stessa velocità. Forsberg ha una feroce tensione verticale, ma raramente perde il controllo del suo gioco. Anche quando sembra aver portato palla per troppo tempo, con una frenesia eccessiva, poi trova un verticalizzazione, un cambio di gioco, una semplice lettura che dà un senso alla sua azione.

 

La sua corsa è più potente che elegante, la sua sensibilità sul pallone non ha l’erotismo dei numeri 10 classici. Guardandolo rimanda un senso di praticità nord-europeo che non si avvicina a quella naturalezza divina che ricerchiamo nei giocatori creativi. Questo non significa che Forsberg non sia un giocatore tecnico: in conduzione ha sempre la palla attaccata al piede, per servire assist usa l’esterno e l’interno con uguale efficacia e ha un uso quasi brasiliano del corpo per la quantità di finte con cui disorienta gli avversari. Se Forsberg completa circa 2 dribbling e mezzo a partita è soprattutto per la sua capacità elusiva di usare il corpo, visto che è veloce soprattutto quando può allungarsi in transizione, ma è poco reattivo sui primi passi.

 

Sia nel RB Lipsia che nella Svezia i suoi dribbling servono alla squadra per calibrare i movimenti offensivi, e a lui per individuare il corridoio giusto per una rifinitura o una verticalizzazione. Anche nel suo gioco di passaggi Forsberg non mostra una sensibilità eccezionale, ma è compensata da una lettura, un estro e una scelta dei tempi incredibile. Lo scorso anno Forsberg è stato il miglior uomo assist in Europa: 19 in 30 partite giocate, più di 1 ogni 2 partite. In queste 30 partite Forsberg ha servito 94 passaggi chiave, 3 in più di Neymar, e molti in più di giocatori come Robben (49) o Messi (79).

 

Sono numeri gonfiati dalla enorme influenza che Forsberg ha sul gioco del Red Bull Lipsia, che gli permette di toccare tantissimi palloni e tenerli più o meno quanto vuole. E infatti quest’anno, che la squadra sta girando leggermente peggio, anche le statistiche di Forsberg sono in leggera flessione. Ma non possiamo ignorare di trovarci di fronte a un vero maestro del gioco creativo, il cui genio non solo sopravvive ma si esalta in una squadra presa a paradigma del calcio moderno.

 



 

Nelle squadre di scuola tattica tedesca quello del numero 10 sembrava dovesse essere il sacrificio necessario sull’altare della rivoluzione dell’intensità. Roger Schmidt al Leverkusen, ad esempio, ha utilizzato Hakan Calhanoglu come una specie di macchina lanciapalle, l’innesco dell’attacco blitz e ultraverticale della squadra; Klopp ha amato sempre giocatori fenomenali in transizione, anche a costo fossero monodimensionali. Ralph Hasenhuttl, al RB Lipsia, lascia invece a Forsberg la libertà di seguire il proprio istinto, giocando il pallone come sente, ma questo è possibile soprattutto perché Forsberg riesce ad esprimere il proprio estro alla velocità a cui vuole andare la squadra. Riempendo di sbuffi e ricami la manovra verticale del RB Lipsia quando ha il pallone, ma trasformandosi nel primo difensore una volta persa, sempre con estrema intensità.

 

Forsberg è il miglior creatore di gioco possibile all’interno del sistema frenetico del Lipsia, quello che riesce a garantire qualità senza abbassare i ritmi. Ma lo è anche all’interno del sistema fin troppo statico della Svezia, che senza le sue corse faticherebbe in termini quasi fisici a portare il pallone verso la porta avversaria.

 

Ventura potrebbe decidere di schierare dalla sua parte Barzagli, come centrale di destra del 3-5-2, che dovrà essere bravo ad uscire forte per evitare le sue ricezioni tra le linee, ma anche a limitarne la sua vena in transizione. Come

il ct Andersson, «Se vogliono lasciare spazio a Forsberg, lui se lo prenderà volentieri». Anche non dovesse qualificarsi per il Mondiale, la sua evoluzione sarà interessante non solo per capire che forma continuerà ad assumere un talento già così singolare, ma anche perché questa forma ci dirà qualcosa sul calcio che stiamo guardando.

 

 

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