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Football Manager contro la realtà
07 nov 2025
L'edizione 2026, uscita pochi giorni fa, tocca molti nervi scoperti del gioco.
(articolo)
16 min
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Nella mia testa Football Manager è ciò che divide la vita adulta da ciò che c'è stato prima. C’è stato un tempo in cui potevo passare decine, se non centinaia, di ore davanti a un videogioco, portare il Perugia a vincere la Champions League, arrivare a un livello di conoscenza del database tale da sapere che Alessandro Simonetta sarebbe diventato un fenomeno. Oggi tutto quel tempo è stato sostituito dal lavoro e Alessandro Simonetta è diventato un poliziotto.

Su Instagram c’è tutto un filone di reel che ricostruiscono in maniera quasi pornografica la mia memoria di quei momenti e che è utile per chi è troppo giovane per sapere cosa significava essere un bambino o un adolescente nato nel 1989 davanti a un PC. Computer desktop a torre di metallo grigio topo, tavoli di legno massiccio, tappetini del mouse, modem a 56k che prendono la polvere. Monitor bombati e giganteschi che mostrano le schermate di caricamento di FIFA 98, il gameplay di Age of Empires II, gli enigmi di Monkey Island. Con una ricerca di cinque minuti sono riuscito a trovarne uno di Championship Manager 2001/02, il mio portone d’accesso a questa tana del Bianconiglio.

Oggi spendere tutto quel tempo per un videogioco, per qualsiasi videogioco, mi fa venire la nausea: sono ancora quella persona? Lo sono mai stata? Ciò che i reel di Instagram non possono restituire è la sensazione che il tempo andasse alla metà, o forse a un quarto della velocità a cui va oggi. Forse non ho passato davvero centinaia di ore davanti a Football Manager: è che quelle ore, che oggi vanno a 2x, allora mi sembravano giorni o settimane. Non so se è solo il mio cervello ad essere cambiato o se erano videogiochi come Football Manager a farmi sentire così - come se ci cadessi dentro.

D’altra parte, non esiste altro modo di giocare a Football Manager - un videogioco che ha l’ambizione più o meno esplicita di darti una versione ridotta, ma alla fine nemmeno troppo, della realtà - se non cadendoci dentro. Quando se ne esce si ritorna a respirare, come fanno i protagonisti di Matrix quando escono dalla simulazione e tornano al mondo reale. Quando sei dentro Football Manager sei davvero l’allenatore del Perugia, nella tua bacheca c’è la Champions League e Simonetta è diventato un fenomeno. E infatti c’è un trend di reel anche su questo: uomini che scherzano (ma nemmeno troppo) sul fatto che sono stati davvero allenatori del Perugia e che hanno vinto davvero quella Champions League.

Il parallelismo tra Football Manager e Matrix non mi è venuto per caso: nessun videogioco sportivo, ma direi nessun videogioco in generale, cerca di riprodurre così fedelmente la realtà, di rompere la barriera che divide il linguaggio da ciò che percepisce davvero un allenatore professionista con occhi, orecchie e cervello. Se ci avete giocato almeno una volta sapete perfettamente a cosa mi riferisco: la possibilità di modificare le metodologie d’allenamento, i colloqui con i giocatori o con la stampa, le estenuanti trattative con le squadre in sede di mercato, più recentemente addirittura con gli agenti dei calciatori. È impossibile o comunque superfluo continuare l’elenco degli infiniti modi in cui Football Manager prova a riflettere la realtà perché si finirebbe nel paradosso in cui sono intrappolati ormai da più di trent’anni anche i programmatori della Sports Interactive - lo stesso che è alla base del celebre racconto della “mappa dell’Impero”, inserito da Jorge Luis Borges nella Storia universale dell’infamia.

“In quell'Impero, l'Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell'impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell'Impero che aveva l’Immensità dell'Impero e coincideva perfettamente con esso”.

L’anno scorso questa missione amanuense di riproduzione del mondo sembra aver soverchiato Sports Interactive, che per la prima volta nella sua storia è stata costretta a cancellare il lancio di un’edizione (la 2025) e di rimandare tutto alla successiva (la 2026). Un evento che per gli appassionati è stato una specie di undici settembre. Per questo, quando mi è stata data la possibilità di intervistare qualcuno della Sports Interactive per il lancio di Football Manager 2026, non ci ho pensato due volte.

Parlo con Jack Joyce, «product owner nel team che si occupa delle partite», un ruolo che lui mi descrive «a metà tra il design del videogioco e la sua produzione». Per intenderci: è stato lui a disegnare il nuovo sistema che divide la tattica tra possesso e non possesso, che da quello che ho capito è una delle novità più apprezzate di questa nuova versione. A vederlo potrebbe essere uno dei miei compagni del liceo - e come uno dei miei compagni del liceo si è imbattuto in Football Manager. «Ho iniziato a giocarci nel 2000, credo, quando ancora si chiamava Championship Manager. Era una demo gratuita che davano con una rivista: se non sbaglio mi faceva giocare solo per sei mesi, poi potevi ricominciare da capo e rifarli di nuovo. È così che sono diventato dipendente. Dieci anni dopo sono entrato in Sports Interactive».

Nell’edizione 2024 Joyce si è occupato di programmare gli schemi su palla da fermo. Io scherzo dicendo che è il Nicolas Jover (il celebre allenatore dei calci piazzati dell’Arsenal) di Football Manager, e lui prende la battuta molto seriamente. Alla fine, se ci penso, è molto vicino ad essere Nicolas Jover e basta. «Per le palle da fermo abbiamo parlato con un allenatore di calci piazzati della Premier League e uno proveniente dal calcio per Nazionali. Gli abbiamo mostrato i nostri progetti e abbiamo ricevuto dei feedback direttamente da loro su ciò che potevamo e non potevamo fare».

Tra i due mondi, è noto, la comunicazione è continua e ormai il confine è davvero sottilissimo. Dico ormai ma in realtà Football Manager ha contaminato il reale sin dalla sua nascita. È celebre la storia del sedicenne Villas-Boas che nel 1993, dopo ore e ore passate su Championship Manager, infila sotto la porta di Bobby Robson una lettera piena di appunti. Oggi Villas-Boas è il presidente del Porto. In un certo senso, hanno ragione quegli appassionati di Football Manager che nei reel dicono di aver vinto davvero la Champions League. «Abbiamo parlato con diversi grandi allenatori riguardo le loro tattiche. Tipo Thomas Frank [attuale allenatore del Tottenham, ndr] o altri. Non so se posso fare tutti i nomi perché non so se vogliono che questa cosa si sappia… […] Con loro parliamo non solo del videogioco ma anche di calcio reale e da queste conversazioni noi apprendiamo insegnamenti e informazioni utili che poi possiamo applicare al gioco».

Qual è, gli chiedo, la difficoltà principale in questo processo di conversione del reale nel videogioco? «Questa è difficile», mi risponde «Penso che una delle sfide più grandi sia semplicemente il tempo. Sai, abbiamo un database interno delle funzionalità — una specie di archivio delle idee — dove inseriamo tutte le proposte su ciò che vorremmo fare per portare il gioco a un livello superiore ogni anno. E penso che lì dentro ci siano migliaia di idee. Ci sono tantissime cose che vogliamo realizzare, ma pochissimo tempo per farlo. Un’altra difficoltà è mantenere buone prestazioni, cioè far sì che il gioco giri bene sia su computer di fascia bassa che su quelli di fascia alta. Non puoi esagerare con la complessità della simulazione, altrimenti nessuno riuscirebbe più a giocare. E poi c’è un’altra cosa che forse non tutti colgono: dal punto di vista tattico — visto che io mi occupo molto di questa parte — la cosa più difficile è far sì che gli allenatori controllati dall’intelligenza artificiale sappiano usare i nuovi strumenti. È facile implementare una funzione in modo che tu o io possiamo usarla mentre giochiamo, ma è molto più complicato far sì che il Pep Guardiola simulato dall’intelligenza artificiale giochi davvero come Pep Guardiola. Questa penso sia la difficoltà principale: perché stai provando a insegnare a un computer a pensare come un essere umano, e questo è molto difficile».

Mi sono sempre chiesto, in effetti, in che modo gli scout di Football Manager quantificassero qualità mentali o psicologiche, come la determinazione, l’impegno, il coraggio, con un numero che va da 1 a 20. «In generale, quello che facciamo è questo: quando un ricercatore osserva un giocatore, ha a disposizione un sistema di linee guida molto dettagliato su ciò che deve valutare durante l’analisi. Per esempio, per l’attributo “determinazione”, uno degli aspetti principali che osserviamo è come il giocatore reagisce alle difficoltà. Quando la sua squadra subisce un gol, come si comporta? Tiene la testa bassa e guarda il pavimento con aria sconsolata, oppure continua a giocare con la stessa intensità, quasi come se nulla fosse successo? Se il ricercatore non è sicuro su una determinata caratteristica può segnalarlo, e allora la simulazione assegna casualmente un valore del giocatore. Questo accade di solito solo nei campionati minori, dove magari non abbiamo una copertura di scouting completa».

Riprodurre una persona è difficile, quindi: sarebbe stato strano il contrario. Pensate adesso a cosa significa riprodurre una partita: 22 persone solo in campo, due allenatori, un’altra infinita di variabilità che possono mandare il risultato da una parte o dall’altra. «Il motore delle partite di Football Manager si basa su una simulazione completamente dettagliata. L’esempio che faccio sempre è quando un giocatore tira in porta: noi non diciamo al gioco “ok, questo tiro deve colpire il palo” e poi gli facciamo semplicemente colpire il palo. No: il giocatore esegue davvero il tiro con una certa intenzione, e quell’intenzione è soggetta a un margine di errore in base ai suoi attributi. Dopodiché, dove finisce finisce: noi non sappiamo in anticipo se colpirà il palo o meno, lo scopriamo solo quando accade, e la simulazione reagisce di conseguenza». A volte parlare di Football Manager è come parlare di filosofia: cos’è l’intenzione? Quanto conta il caso? «Ogni dettaglio conta. Tutto entra nel calcolo delle decisioni. Cose come il rapporto tra i giocatori, l’umore del giocatore in quel giorno, la sua costanza di rendimento, oltre ovviamente ai suoi attributi tecnici e mentali. Il motore tiene conto perfino di fattori ambientali, come ad esempio l’altitudine: se giochi in Bolivia, in alta quota, e non sei abituato a quelle condizioni, anche quello incide».

Forse diamo troppo per scontato che il lavoro di chi è alla Sports Interactive sia in primo luogo di capire come funziona il calcio ancora prima di capire come trasformarlo in un videogioco - e forse, come vuole il celebre aforisma sul cinema e la vita, tra le due cose non c’è differenza. Sull’altitudine e le partite giocate in Bolivia decido di approfondire perché anche io ci ho scritto un articolo. «Abbiamo consultato molti studi e articoli scientifici che analizzano come l’altitudine influenzi non solo le prestazioni fisiche dei giocatori, ma anche il modo in cui si muove il pallone, perché l’aria è più rarefatta a certe altitudini», mi risponde Joyce, «i tiri dalla lunga distanza, per esempio, non sono influenzati dal vento nello stesso modo: la palla viaggia più velocemente, proprio a causa della minore resistenza dell’aria».

Joyce mi parla spesso di «ricercatori», del «team ricerca», e non so se è chiaro lo sforzo che c’è dietro a queste parole. Alla nostra intervista partecipa anche Andrew Sinclair, Content Executive della Sports Interactive, che mi dice che al team ricerca lavorano più di 1500 persone. A costo di essere ripetitivo: parliamo di persone la cui unica occupazione è quella di capire come funziona il calcio. «Credo sia il più grande reparto di scouting del mondo», mi dice con una certa soddisfazione Joyce.

A questo punto potete capire cosa abbia significato aggiungere a Football Manager il calcio femminile - un mondo separato, che funziona in maniera diversa, che ha le sue coordinate e le sue dinamiche - che appare nell’edizione 2026 per la prima volta nella storia del gioco. «Dal punto di vista della ricerca, una delle sfide più grandi che abbiamo incontrato è stata il fatto che non esistono molte informazioni disponibili sul calcio femminile. Nel calcio maschile hai siti come WhoScored, Transfermarkt e molti altri che forniscono una quantità enorme di dati dettagliati sui giocatori. Nel calcio femminile, invece, c’è pochissimo materiale accessibile, soprattutto al di fuori dei pochi campionati principali. In molti casi abbiamo dovuto cercare le informazioni da soli, scavando a fondo o contattando direttamente i club per ottenere i dati necessari, perché non esistevano fonti pubbliche da cui attingere. Un’altra difficoltà è stata ricreare il gioco in modo autentico. Non volevamo semplicemente fare il database maschile ma con nomi diversi: volevamo riprodurre il calcio femminile nel modo più realistico possibile. Questo significa che, ad esempio, il motore delle partite si comporta in modo diverso per le giocatrici rispetto ai giocatori, perché hanno abilità e attributi differenti. Era qualcosa per noi di fondamentale importanza. Lo stesso principio si applica anche al sistema dei trasferimenti, che nel calcio femminile funziona in modo molto diverso rispetto a quello maschile, e anche alla gestione degli infortuni, che abbiamo voluto rappresentare in modo autentico. Per esempio, gli infortuni ai legamenti crociati anteriori sono molto più comuni nel calcio femminile che in quello maschile, quindi abbiamo dovuto ricreare anche questo aspetto. La sfida più grande per noi è stata rendere tutto il più autentico possibile. Non volevamo fare le cose a metà o limitarci a un adattamento superficiale: volevamo rendere pienamente giustizia al calcio femminile, dandogli la cura e la profondità che merita davvero». Andrew Sinclair mi dice che per implementare il calcio femminile hanno dovuto assumere 40 nuove persone solo nel team ricerca.

Come le mappe di Borges, nei suoi 33 anni di vita Football Manager è diventato sempre più grande e complesso, e quindi sempre più difficile da espandere e gestire. Da questo punto di vista, i problemi avuti con l’edizione 2025, che poi è diventata la 2026, vanno molto oltre l’implementazione del nuovo motore grafico, Unity, che è stato additato da molti come la radice di tutti i problemi. «Dal nostro punto di vista [l’edizione 2025] non raggiungeva il livello di qualità che vogliamo garantire quando pubblichiamo un gioco. Certo, avremmo potuto rilasciarlo comunque, ma non avrebbe avuto senso se poi le persone non si fossero divertite o soddisfatte. È stata una decisione difficile ma giusta, e tutti erano d’accordo perché alla fine la cosa più importante per noi è che le persone si divertano davvero con il gioco. Avevamo solo bisogno di un po’ più di tempo per portarlo al livello che volevamo. Ovviamente il passaggio a Unity è stato un’enorme sfida, soprattutto per un titolo come Football Manager che ha avuto uno sviluppo continuo per circa trent’anni: è tantissimo lavoro dover improvvisamente spostare tutto su un nuovo motore. Ma credo che ci fosse anche un problema con l’interfaccia utente. Il nuovo sistema progettato per FM25 non funzionava come volevamo: dava la sensazione che l’utente dovesse “lottare” con l’interfaccia per compiere azioni semplici. Quindi siamo tornati indietro, abbiamo ripensato e ridisegnato alcune parti per migliorarle, e abbiamo usato quest’anno extra per lavorarci sopra e perfezionare quei design fino a portarli al livello di qualità che volevamo davvero».

Paradossalmente, da quello che leggo in questi giorni, proprio l’interfaccia utente è stato l’aspetto più criticato di quest’ultima versione, che ha ricevuto recensioni discrete dalle riviste di settore e piuttosto negative dallo zoccolo duro dei giocatori abituali. Come ha riportato Il Post: “Molte critiche si sono concentrate inoltre sul fatto che FM26 sia meno intuitivo nella sua interfaccia e allo stesso tempo più facile rispetto alle versioni precedenti, probabilmente per attirare nuovi giocatori, in genere meno pratici di tutte le sottigliezze del gioco e meno interessati a certe sue sfaccettature”.

Effettivamente Football Manager è un videogioco nato quando internet di fatto non esisteva ed espressioni come “soglia dell’attenzione” ancora non agitavano i nostri incubi. Visto da fuori, mi sembra che Sports Interactive sia oggi un’incudine in mezzo a due martelli: da una parte accontentare una platea di appassionati che è cresciuta con il gioco e per cui l’accuratezza con cui riproduce il mondo del calcio è la priorità numero uno; dall’altra fare breccia tra nuovi segmenti di pubblico, in un mondo in cui l’immediatezza ha sempre più valore e il realismo (nella grafica e non solo) è sempre più oggetto di discussione. Persino per me, che vado per i quaranta e con Football Manager ci sono cresciuto, il rapporto con i videogiochi è ormai radicalmente cambiato e si riduce in una partita in pausa pranzo a Fortnite, dove gioco con una skin di Palpatine in una mappa temporaneamente modellata sul mondo dei Simpson e in cui per qualche ragione il personaggio non giocante di Ned Flanders è quasi imbattibile. Praticamente non ha senso ma funziona.

Una schermata dall'interfaccia dell'edizione 2026.

Borges aveva chiuso il suo racconto sulla mappa dell’Impero con una cupa profezia. “Le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all'Inclemenze del Sole e degl'Inverni. Nei deserti dell'Ovest rimangono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche”.

Sia chiaro: non voglio fare l’uccello del malaugurio. Per Football Manager, tra l’altro, la situazione mi sembra ben diversa: alla fine, l’edizione 2024 è stata una di quelle che ha avuto più successo nella storia del gioco e le reazioni emotive che ci sono state in questi giorni mi sembrano il segno di una community che è ancora visceralmente legata a questo mondo. E uno dei motivi, credo, sia proprio il modo in cui arriva al cuore del conflitto che è alla base di qualsiasi esperienza videoludica, quello tra realismo e divertimento. Non posso non chiedere a Joyce, quindi, se è mai esistito un momento, nel suo lavoro, in cui ha pensato che il realismo fosse un limite più che una risorsa.

«Non mi piace usare il termine “realismo”», mi risponde Joyce «Preferisco parlare di autenticità. Per molte cose è un concetto più appropriato. Per esempio, quando giochi a Football Manager, non devi fare un volo di quattro ore per una partita europea in trasferta, non devi aspettare ore sull’autobus: semplicemente vai, giochi e basta. Quindi, in un certo senso, dobbiamo sempre fare delle scelte che rendano l’esperienza più fluida per il giocatore. Ad esempio, con il nuovo sistema tattico che abbiamo introdotto quest’anno, volevamo fare in modo che chiunque potesse prenderlo in mano e interagirci facilmente. Vogliamo che sia il più realistico possibile, ma non vogliamo che ci sia bisogno di diventare allenatori professionisti per capire come giocare. Cerchiamo sempre un equilibrio tra le due cose».

Dov’è il limite tra le due cose? Gli chiedo. «Dipende molto da ciò su cui stiamo lavorando. Bisogna trovare il giusto equilibrio. Facciamo molti test, sia interni che esterni. Progettiamo una funzione, poi invitiamo persone in studio per provarla, le osserviamo mentre interagiscono con quella funzione e vediamo come reagiscono. Se notiamo che si confondono troppo o non capiscono cosa sta succedendo, allora sappiamo che abbiamo esagerato — o che serve semplificare o modificare qualcosa. Non c’è una regola precisa: dipende sempre dal contesto e dall’obiettivo della funzione. È una grande sfida di design, perché non basta rendere una cosa realistica, bisogna anche renderla accessibile e comprensibile per chi gioca».

«Se parliamo di un conflitto tra realismo e accessibilità, un buon esempio è il sistema dei ruoli nel gioco. Sai, in Football Manager i giocatori hanno ruoli specifici, come regista arretrato o centravanti d’area. E per noi quello è un modo semplice per trasmettere un insieme complesso di istruzioni al giocatore. Nella realtà, un allenatore non dice solo a un giocatore: “Tu sei un regista arretrato”. Gli dà indicazioni molto più dettagliate, gli spiega cosa fare in ogni situazione. Ma nel gioco noi traduciamo quella complessità in un concetto sintetico, facile da capire e da usare, senza perdere coerenza e credibilità. In questo modo resta autentico, anche se non è del tutto realistico».

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