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Alfredo Giacobbe
Fondamentali: Roma-Milan
22 dic 2014
22 dic 2014
Roma e Milan: due squadre in momenti molto diversi della loro evoluzione agonistica.
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Alfredo Giacobbe
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L’espressione “ciclo di vita” viene usata per indicare l’evoluzione di un individuo col passare del tempo, riassumendo i momenti cruciali dell’esperienza umana con i termini “nascita”, “sviluppo”, “maturità” e “morte”. Questo andamento caratteristico è stato poi associato a soggetti diversi dagli esseri umani, oggi possiamo parlare di ciclo di vita di un software, di un prodotto o di un progetto. Roma e Milan sono due squadre che si sono incontrate in momenti molto diversi della loro evoluzione.

 

I rossoneri vengono da una stagione disastrosa e disorientante: gli scossoni societari, prima, e tecnici, poi, hanno minato i risultati sportivi nel breve termine e messo in dubbio la programmazione nel medio-lungo periodo. Filippo Inzaghi è stato chiamato sulla panchina meneghina per fare tabula rasa, per spazzare via le macerie del Milan che fu, calcinacci che avevano iniziato ad accumularsi fin dalla cessione contemporanea di Ibrahimovic e Thiago Silva nell’estate 2012. Al tempo stesso nell'immaginario dei tifosi Super Pippo simboleggia il fasto di un passato non troppo lontano, a cui tornare il prima possibile. In sintesi però si può dire che quello rossonero è un progetto appena nato.

 

I romanisti, con Garcia in panchina dal Giugno 2013, sono stati autori dell'inseguimento strabiliante all’ultima Juventus di Conte, strabiliante per i risultati ottenuti e per il gioco mostrato. La società ha vissuto un’estate da protagonista, piazzando diversi colpi di mercato nel tentativo di colmare il gap con la squadra torinese, che nel frattempo aveva perso il suo mentore. Da qualche partita, però, non moltissime ma comunque un numero sufficiente a tirare una somma parziale, la Roma non riesce più ad esprimere quel gioco che era diventato il “gioco della Roma”. È facile indicare l’imbarcata presa all’Olimpico contro il Bayern Monaco come il momento spartiacque tra la più bella Roma di Garcia e quella di oggi. Meno facile capire in che fase del suo ciclo di vita è la squadra giallorossa? È nel pieno del suo sviluppo, e può, quindi, crescere ancora e migliorare il suo gioco? Oppure è un progetto che sta entrando in una fase di difficile maturità, in cui non riesce a trovare nuove soluzioni quando l’avversario dimostra di conoscerne i punti di forza e quelli di debolezza?

 


Due sono i principi che regolano il gioco romanista da quando Garcia è alla guida: il primo è il calcio posizionale; l’altro è quello della creazione della superiorità numerica sulle fasce. Il primo prevede una serie di movimenti brevi e continui da parte dei giocatori liberi dal possesso per offrire al portatore di palla, in ogni zona del campo, almeno due possibilità di passaggio (con la formazione dei cosiddetti triangoli). Il secondo sfrutta la sinergia tra gli uomini della “catena” formata da terzino-interno-ala (stiamo parlando di un 4-3-3) per permettere ad un uomo di liberarsi al cross o di inserirsi in area.

 

Nel match contro il Milan, il portatore di palla romanista era sempre in difficoltà a causa dello scarso movimento dei compagni: in mancanza di una chiara linea di passaggio, il pallone veniva spostato lentamente e lateralmente o addirittura all’indietro; ma i maestri catalani del tiqui-taca ormai hanno insegnato anche all'osservatore più disattento che il pallone va spostato con tocchi rapidi, a breve distanza, possibilmente in avanti o, quando non in avanti, per creare i presupposti di un passaggio in avanti, facendo saltare una linea avversaria. Se c’è poco movimento, però, è più difficile che un avversario sia costretto a spostarsi dalla propria zona per prendere l’uomo, quindi è più difficile creare un varco attaccabile nello schieramento difensivo.

 

Se guardiamo i dati SICS, i passaggi chiave (

c'è un glossario se avete dei dubbi) risultano distribuiti equamente tra i giocatori romanisti; il solo Keita ha totalizzato un paio di passaggi chiave più dei compagni (cinque in tutto) e non a caso è quello che ha provato a muoversi di più, ricevendo e giocando più spesso la palla.

 




 

Sicuramente al centro del campo è mancato un uomo come Pjanic ma una squadra dalle grande ambizioni deve prescindere dalle qualità di un singolo. La Roma spesso ha forzato il proprio gioco anche con lanci dalla difesa, cosa inusuale per una squadra che preferisce costruire il proprio gioco da dietro e palla a terra. La distribuzione dei lanci lunghi di De Sanctis inoltre ha lasciato a desiderare in termini di precisione, come spesso gli accade (solo quattro passaggi su sedici messi a segno).

 

Per quanto riguarda le corsie esterne, Maicon non è stato il solito attaccante aggiunto, il laterale a tutta fascia che nella scorsa stagione dava il suo apporto in fase di possesso. Contro il Milan, il brasiliano era debilitato fisicamente, come annunciato già prima della gara, ha centellinato le discese e per la maggior parte del tempo ha passeggiato per il campo, non trovando mai i tempi corretti dell’inserimento. Sull’altra fascia Holebas è risultato più pericoloso, è andato al cross sei volte centrando il bersaglio nel 50% dei casi.

 

Nella prima frazione però sembrava subire la situazione: forse preoccupato dalla velocità di Honda, il greco restava più indietro, guardando spesso cosa facesse Maicon dall’altro lato ed evitando di salire in contemporanea. Di conseguenza lo sviluppo del gioco giallorosso è mancato di ampiezza, con rari cambi di gioco che invece avrebbero potuto mettere in difficoltà i milanisti, stretti a protezione del centro del campo. Holebas e Maicon contemporaneamente alti sul campo si sono visti solo dopo che il Milan è rimasto in dieci.

 

Ma la cosa più grave è che entrambi i laterali, nelle occasioni in cui si sono avvicinati all’area avversaria, non hanno avuto appoggio da parte dell’interno e dell’ala, come accadeva lo scorso anno, e sono stati costretti a tentare l’uno contro uno talvolta, a restituire il pallone all’indietro più spesso. In una maniera che direi sistematica, invece di cercare la proverbiale combinazione sul vertice dell’area, gli attaccanti giallorossi andavano a riempire l’area in attesa del cross.

 




 

Risultato pressoché nullo: i centrali del Milan, Mexes e Zapata, non hanno mai sofferto sulle palle alte. Solo con l’ingresso di Ljajic per Florenzi la Roma è riuscita a concentrare un discreto numero di giocate sul vertice destro dell’area di rigore avversaria, col serbo che abbandonava la sua posizione e andava a giocare dallo stesso lato di Gervinho.

 

La Roma ha provato anche a sorprendere il Milan in contropiede, nelle rare sortite dei rossoneri nella metà campo avversaria. Gervinho e Florenzi hanno tenuto una posizione molto più bassa, soprattutto nella fase iniziale della partita, quasi a voler restare a protezione di Maicon e Holebas. I giallorossi hanno recuperato palla molto lontano dalla porta avversaria, mediamente sui propri 35 metri, una statistica non troppo dissimile da quella del Milan (30m) che aveva però un atteggiamento ben più difensivo.

 

Gervinho e Florenzi sembravano quelli della prima Roma di Garcia, quando i giallorossi hanno fatto a fette l’Inter a San Siro con le ripartenze fulminee delle sue frecce. In quella partita fu però fondamentale anche Totti, per la sua capacità di andare incontro e offrire un appoggio al portatore di palla in uscita dalla difesa e di rilanciare quasi a memoria sugli esterni. Questo lavoro non è riuscito quasi mai contro il Milan, con il capitano giallorosso francobollato da De Jong e preso in seconda battuta da Mexes.

 

Inzaghi ha dimostrato di conoscere i punti di forza del suo avversario ed è stato molto bravo a predisporre anche le coperture preventive per proteggersi dall’eventualità di un attacco in contropiede.

 




 


Il Milan ha difeso in maniera molto ordinata prendendo pochi rischi: Honda e Bonaventura si abbassavano diligentemente per formare un 4-5-1 difficile da penetrare. Per la maggior parte del tempo i rossoneri hanno aspettato gli avversari nella propria metà campo, con la prima linea sistemata poco più su dei propri sedici metri. A sprazzi, però, il Milan è venuto fuori ed ha pressato la Roma più in alto, riuscendo a riconquistare palla sulla trequarti, rendendosi subito pericoloso dalle parti di De Sanctis.

 

Il dispositivo di pressing messo in pratica dai rossoneri è risultato efficace perché portato in maniera corale, sistematica; al contrario la Roma ha abbozzato un timido pressing individuale con Totti prima, con Keita poi, non riuscendo mai a recuperare palla in posizioni tali da rendersi pericolosa. In generale la circolazione di palla dei giallorossi sembra meno fluida dello scorso anno e sia i centrocampisti centrali sia i terzini restano bassi per aiutare i centrali.

 

È sembrato quasi che Manolas e Yanga-Mbiwa non godano della stessa fiducia di Benatia e Castan, o che i recenti errori di De Sanctis contro il Sassuolo abbiano lasciato le loro scorie.

 




 
Il Milan ha mostrato una buona organizzazione difensiva ma altrettanto non si può dire della sua costruzione di gioco. I rossoneri non eccellono in alcuna statistica offensiva e dei nove tentativi effettuati verso la porta giallorossa, sei sono partiti da fuori area.

 

I centrocampisti hanno cercato spesso di liberarsi della palla lanciando lungo su Menez, sperando che il francese riuscisse a guadagnare un calcio di punizione che permettesse alla squadra di guadagnare metri (cosa che è accaduta in 4 occasioni). I movimenti di Honda e Bonaventura, già sacrificati in una lunga e faticosa fase difensiva, sembravano dipendere dall’istinto di Menez: se il francese decideva di attaccare una zona, i due si muovevano altrove semplicemente per reazione, non assecondando una manovra ragionata e predeterminata.
Questo provocava una certa confusione nei centrocampisti che sono stati costretti spesso a cambiare la giocata in poche frazioni di secondo, commettendo così parecchi errori.

 

La prestazione di Menez ha influenzato quella dell’intera squadra: il francese ha ingaggiato e vinto più duelli di tutti in mezzo al campo (12 su 21), ma ha perso 11 volte palla (se non vi tornano i conti è perché si può perdere palla senza andare nell'uno contro uno, passandola male ad esempio. Il Milan ha portato dei pericoli solo sulla sinistra, zona di predilezione del falso nove rossonero, dove Menez ha ricevuto 4 passaggi chiave. Il francese non ha nulla del centravanti e non gli si può chiedere di fare di meglio, resto perplesso circa le reali condizioni di Torres e Pazzini visto lo scarso impiego praticamente in ogni circostanza.

 
Garcia ha cercato nuove soluzioni, chiedendo ad esempio a Keita di portarsi in costante proiezione offensiva, in quello che a tratti è sembrato più un 4-2-3-1 che un 4-3-3. Con l’espulsione di Armero al settantesimo, la mossa è stata resa esplicita con l’ingresso in campo di Mattia Destro. I venti minuti di

hanno prodotto una sola occasione da gol per la Roma, semplicemente perché i giallorossi continuavano ad essere in numero insufficiente nella trequarti avversaria, regalando più uomini al Milan rispetto a quello fatto uscire dal campo dall'arbitro.

 

Nell’unica occasione avuta, Gervinho va in percussione centralmente dopo aver combinato in area addirittura con Yanga-Mbiwa, un difensore centrale rimasto alto dopo un calcio piazzato.

 




 


La partita è stata poco spettacolare: l'indice di pericolosità SICS totale è 80, con il Milan fermo addirittura a 22 e nessuna vera e propria occasione da gol, tirando solo 3 volte da dentro l'area di rigore. La Roma con un punteggio di 58 non fa molto meglio, con due sole occasioni da rete.

 

Il Milan è chiaramente all’inizio di un nuovo progetto e Inzaghi sta lavorando più sulla fase difensiva, che sembra già consolidata, piuttosto che sulla fase offensiva, affidata ancora in gran parte alle individualità e a rischio anarchia. È un modo di lavorare comune a molti allenatori, potrei citare tra gli altri (senza però che nessuno confonda un discorso generale con un paragone diretto tra Inzaghi e quelli che sto per citare) Mourinho e Van Gaal: prendere meno gol infonde nei calciatori fiducia nei propri mezzi e nelle capacità dell’allenatore. Per comprendere il potenziale di questo progetto bisognerà forse aspettare la prossima stagione, quando l’allenatore potrà lavorare con la fiducia di tutti. E se potrà farlo con giocatori presi dal mercato più adatti all’idea di gioco che ha in testa.

 

Capire la posizione della Roma oggi è un rompicapo. Non solo la partita col Bayern, ma l’intero percorso nelle sei partite del girone sembra aver minato le certezze dei giallorossi. Gli avversari che affronta ormai dimostrano di aver studiato e di riconoscere i punti di forza di questa squadra, di lavorare nel corso dei novanta minuti per arginarli con un fiducia che sembra opposta all'atteggiamento “perdente” che hanno quando davanti c'è la Juve.

 

Anche Garcia sembra aver riconosciuto i segnali dell’ingresso in una fase matura e non per forza brillante del suo progetto, e sta provando nuove soluzioni. In più momento De Rossi ha cercato di avere una posizione più avanzata, pur passando la maggior parte del tempo sotto la linea della palla. Anche la ricerca della verticalità in maniera più diretta, un antidoto forse all'assenza di movimenti senza palla che caratterizza la Roma di questo periodo, non ha portato benefici (soprattutto quando a rilanciare è stato De Sanctis e quando a contendere il pallone di testa non c’era un centravanti vero). È troppo presto per trarre conclusioni o fare previsioni, la cosa certa è che la pausa natalizia non poteva arrivare in un momento migliore per Garcia e il suo staff. È il momento di riunirsi, recuperare le forze e capire la strategia migliore con cui affrontare una seconda parte di stagione che vede la Roma ancora in corsa per tre trofei.

 



 
 

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