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Valentino Tola
Fondamentali: Real Madrid – Atletico Madrid
16 set 2014
16 set 2014
Fondamentali è la rubrica di analisi dell'Ultimo Uomo, in questa puntata il derby di Madrid vinto 2-1 dall'Atletico di Simeone.
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Valentino Tola
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Neanche un mese fa, il Real Madrid sembrava una squadra fatta, e faceva paura per qualità, completezza della rosa e personalità. Ora il problema non sono solo le sconfitte, ma un assetto ancora tutto da definire, caso piuttosto raro in un fresco campione d’Europa. Ma anche l’Atlético Madrid, nonostante la vittoria pesantissima e quella raggelante capacità di non scomporsi mai anche quando sta giocando piuttosto male, deve ancora consolidare equilibri inevitabilmente nuovi attorno a un’idea di gioco che rimane la stessa ma in assenza di Diego Costa impone parecchi aggiustamenti. Insomma, in estate quello più indietro col lavoro sembrava il Barcellona, e invece le distanze sembrano già essersi ridotte un po’.

 

La partita, non proprio eccelsa, ha vissuto tre fasi:
1) quindici-venti minuti di piattume assortito con vantaggio dell’Atlético;
2) Cristiano Ronaldo;
3) Arda Turan e Griezmann.

 

Bisogna ringraziare

per averci evitato la riproposizione dell’ennesimo derby tatticamente bloccatissimo. E prima di vedere il perché bisogna chiarire un paio di cose sull’azione dello 0-1: il Real Madrid difende malissimo i calci piazzati, Casillas in tutta la sua carriera ha sempre avuto problemi nelle uscite alte e ultimamente dà così poca sicurezza da sembrare fissato a una sbarra come nel calciobalilla…ma questo gol non è colpa di Casillas.
In rete abbondano le supposizioni (i difensori del Madrid si accalcano vicini alla porta perché hanno paura di una papera del loro portiere), ma non potendo entrare nella mente dei giocatori dobbiamo attenerci a quello che vediamo: ed è ricorrente vedere Koke chiudere la traiettoria del calcio d’angolo subito sul primo palo, e l’Atlético portare lì tanti giocatori, ostacolando non solo l’intervento, ma perfino la visuale del portiere avversario, che si chiami Casillas o in altro modo. Tanti gol abbiamo visto realizzati in questa maniera da Miranda, Godín e sabato da Tiago, e tanti ne faceva così l’Atlético della doppietta Liga-Copa del Rey 1996, nota fonte di ispirazione di Simeone per quanto riguarda gli schemi sui calci piazzati.

Ma al di là delle disquisizioni sull’episodio, anche il Real Madrid, non solo lo spettatore neutrale, deve ringraziare per il gol di Tiago. La scossa costringe a uscire dal copione iniziale della continua circolazione di palla da una fascia all’altra, con passaggi super-sicuri e Ronaldo e Bale incollati alla linea del fallo laterale per evitare la perdita in zona centrale e provare a eludere la trappola che l’Atlético tende quando scala lateralmente. Strategia alla quale l’Atlético risponde con una condotta ultra-difensiva in cui andarsi a prendere il pallone è l’ultima delle preoccupazioni: come già capitato in precedenza, i due attaccanti dell’Atlético (Mandžukić e Raúl Jiménez) si preoccupano di ripiegare fin dietro i due centrocampisti centrali del Real Madrid (Modrić e Kroos), lasciando Pepe e Ramos totalmente liberi di portare palla. Nessuno esce dalle tre linee di Simeone, e l’Atlético nei primi due minuti non tocca nemmeno una volta il pallone. E nemmeno soffre, va da sé.


Solita storia quando l’Atlético affronta il Real Madrid: 6 giocatori (i 4 centrocampisti o più i due attaccanti) a chiudere le linee di passaggio da Kroos e Modrić ai trequartisti merengues.


 

 

Subito il gol però il Real Madrid opera un cambio mai visto nei precedenti con l’Atlético: avvicina Ronaldo e Bale. Il portoghese va a fare la seconda punta sul centro-destra mentre James passa dalla trequarti alla fascia sinistra.

Incrociare i flussi di è male (

), ma stavolta è la soluzione: le diagonali fra i due assi madridisti mandano in tilt l’Atlético. In particolare

ribadisce come la sua natura di fuoriclasse emerga persino di più nel gioco senza palla. Ronaldo attaccando lo spazio stira allunga storpia spezzetta trita qualsiasi linea difensiva. Trascina via due-tre difensori alla volta, libera compagni e disordina gli avversari che corrono affannosamente verso la propria porta.

 


Bale e (soprattutto) Ronaldo smontano la gabbia laterale dell’Atlético. L’azione finirà con un cross di Ronaldo dalla destra e James che conclude male in area ma è liberissimo sul secondo palo. Azione emblematica: il movimento di Ronaldo fa correre l’Atlético verso la sua porta e dà un vantaggio ai madridisti che arrivano dalla seconda linea, sia per concludere che per recuperare il pallone.


 

Persino il meticoloso sistema difensivo di Simeone barcolla, Ronaldo impone un ritmo che rende difficile ripartire all’Atlético (e individualmente distrugge il povero Siqueira, costringendolo pure al fallo da rigore del pareggio), ma non possono essere taciuti i limiti intrinseci dell’Atlético del primo tempo.
L’Atlético soffre in difesa (ma lo salva un eccellente Moyá: sembra davvero un acquisto azzeccato, non solo fra i pali ma per la sicurezza con cui controlla l’area e i rinvii che si trasformano in assist) non solo per Ronaldo, ma perché attacca male, malissimo. E i peggiori difensori colchoneros sono Mandžukić e Raúl Jiménez, non per quello che fanno quando l’Atlético difende, ma per quello che fanno quando l’Atlético ha il pallone. Due-tre “prolunghe” aeree del croato, un po’ poco (certo non abbastanza per i 25 milioni spesi e la nomina a successore di Diego Costa), e nessuna continuità fornita a questi rilanci da Jiménez, parso fuori dal gioco in una misura clamorosa pure per uno straniero che deve scontare i fisiologici tempi di adattamento. Fuori dal gioco e lento, terribilmente lento, scherzato ripetutamente dai madridisti negli anticipi e nei recuperi. Non un pallone tenuto su dai due attaccanti, e gli altri 9 costretti a correre come polli senza testa.

 

Di fronte al rinomato handicap dell’Atlético nel ripartire quando difende così basso (troppo lenti, il campo sembra sempre troppo lungo) sorprende la scelta di Simeone di puntare finora sempre su coppie d’attacco “pesanti”: Mandžukić e Jiménez al Bernabeu e a Vallecas, Mandžukić e Raúl García contro l’Eibar, con Griezmann che parte in panchina oppure da una posizione di esterno di centrocampo che lo sacrifica un po’ (l’esterno di centrocampo nella squadra di Simeone è prima di tutto uno che deve stringere vicino al mediano in copertura). Coppie di attaccanti peraltro che si limitano a un gioco puramente frontale, senza nessuno dei movimenti laterali che caratterizzavano i vari Diego Costa, Villa e Adrián, e quindi irrigidiscono un po’ anche le combinazioni e gli incroci con Koke e l’altro esterno.
Contribuisce pesantemente anche un centrocampo che per una volta non riesce a nascondere con la perfezione tattica le carenze qualitative: Gabi, se vogliamo il simbolo del ciclo di Simeone, compie un infinità di errori neanche tanto forzati, sempre con la squadra che sta salendo e si becca il contropiede (solo un miracoloso controllo sbagliato da Benzema risparmia il secondo gol incassato); Raúl García mostra un visibile imbarazzo ogni volta che quello strano oggetto sferico entra accidentalmente in contatto con le sue estremità, e Koke è Koke, non è Iniesta, non è Xavi, non è Xabi Alonso. È un giocatore tecnicamente ottimo che può dare dinamismo a una fase di possesso giocando a uno-due tocchi, ma non è il giocatore che guida una fase di possesso (sembra però che Del Bosque pensi il contrario).

 

L’Atlético è completamente privo di bussola, non ha il tocco né i tempi per uscire dalla metà campo, ma in panchina c’è un signore con la barba lunga che sembra avere la risposta ad ogni problema. Torna dopo una lunga assenza, chi dice per infortunio, chi dice per andare a meditare nelle montagne, fatto sta che appena Arda Turan entra in campo tutte le cose tornano al loro posto. Quanto è bello uno sport che nella stessa partita ti permette di apprezzare tutti i possibili modi di giocare bene? Prima la frenesia pazzesca di Ronaldo, poi la genialità serafica del turco: ce n’è per tutti gusti.
È un Madrid che ha già perso ritmo nei suoi attacchi (ora aumenta il numero di cross, che non costringono l’Atlético a correre verso la propria porta; le transizioni difensive sono difficili con la squadra un po’ più spezzata fra i 4 elementi offensivi e il resto), al quale dà il colpo di grazia l’ingresso di Griezmann per Jiménez (bisogna chiedersi se Simeone abbia fatto i cambi giusti nel momento opportuno o se invece abbia soltanto rimediato all’errore della formazione iniziale). Se Arda è la pausa che mancava al centrocampo nel primo tempo, Griezmann è la continuità inesistente negli attaccanti partiti titolari. Un paio di azioni da grande giocatore, tenendo palla, attirando avversari e smarcando compagni sul lato opposto generano prima il tiro di poco a lato di Arda, poi

sempre di Arda (gran velo di Raúl García: l’importante è che la palla non la tocchi).


Griezmann calamita le attenzioni avversarie come i grandi giocatori: per i suoi compagni inevitabilmente sarà più facile smarcarsi (occasione per Arda sul cambio di gioco del francese).


 

Anche in questo caso, non si possono trascurare i demeriti dell’avversario: la posizione della linea difensiva madridista nel corso di tutta l’azione, da Coentrao che dà metri a Juanfran ai centrali che non vigilano su Arda al momento della conclusione, è semplicemente assurda. Restano troppo indietro, e non è un problema nuovo. Già a San Sebastián il gol del momentaneo 2-2 della Real Sociedad nasce da un’azione analoga: cross dalla fascia e inserimento di Zurutuza indisturbato perché i difensori madridisti difendono troppo attaccati a Casillas. La cosa meno incoraggiante per Ancelotti è che la fragilità difensiva ad oggi sia tale da vanificare fasi (mezz’ora buona con l’Atlético e con la Real Sociedad) di ispirazione che dovrebbero essere più che sufficienti per chiudere una partita.

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