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Fondamentali: prima giornata
24 ago 2015
24 ago 2015
Focus tattico: la difesa del Milan, il regista della Juve, i problemi di Sarri e quelli di Mancini.
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Un ciclo di vittorie firmato Pirlo-Vidal-Tévez non si cancella in un’estate: con il dibattito sui potenziali sostituti più aperto che mai, la Juventus ha esordito perdendo in casa contro l’Udinese di Colantuono.

 

Allegri ha dovuto inventarsi il centrocampo che, già orfano di Vidal e Pirlo, ha perso per infortunio il nuovo arrivato Khedira e il regista di scorta della scorsa stagione, Marchisio. Spazio quindi a Padoin davanti alla difesa, affiancato da Pogba e Pereyra nel 3-5-2. Coman, titolare come in Supercoppa, ha fatto accomodare nuovamente Dybala in panchina.

 

Come era lecito aspettarsi, Padoin, preziosissimo per la sua duttilità sia nella gestione Conte che in quella Allegri, non ha le caratteristiche per dettare i tempi. E infatti, iniziato il match, il regista “nominale” ha subito lasciato l’incombenza dell’impostazione del gioco alla coppia di registi “effettivi”, formata da Bonucci e Pogba.

 


Bonucci diventa il vertice alto del rombo di inizio azione della Juventus.



 

Durante la scorsa stagione, con la Juventus schierata con il 3-5-2, eravamo abituati a vedersi formare un rombo in fase d’impostazione: Bonucci agiva da vertice basso con Barzagli a destra e Chiellini a sinistra, e Pirlo, posizionato davanti alla difesa, vertice alto. Con questa disposizione, i quattro riuscivano a impostare il gioco da dietro in scioltezza, fin dentro la metà campo avversaria. Senza il vice-Pirlo e il suo erede designato, Marchisio, è venuto a mancare il riferimento principale di questo “rombo difensivo”, con Bonucci a svolgere sia il ruolo di vertice basso che quello di vertice alto: se doveva partecipare alla prima impostazione si portava subito vicino al cerchio di centrocampo, altrimenti si faceva trovare direttamente davanti a Barzagli e Chiellini, anch’essi tutt’altro che timidi nel proporsi più in avanti del solito. La posizione avanzata di Bonucci è sembrata una mossa piuttosto anarchica ed è difficile capire se rispondesse a una precisa richiesta di Allegri: di sicuro ha compromesso la forma difensiva della Juventus.

 


Bonucci si fa trovare direttamente davanti a Barzagli e Chiellini, mentre Padoin vaga alla ricerca della posizione giusta.



 

Questo movimento a elastico del numero 19 juventino era favorito dall’approccio alla gara scelto da Colantuono per la sua Udinese, schierata a specchio (3-5-2), e ben preparata tatticamente. Iturra, ad esempio, lasciava spesso la sua posizione da schermo davanti alla difesa per pressare Padoin all’inizio dell’azione juventina.

 

Con molto spesso tutti gli avversari a difendere nella propria metà campo, Bonucci poteva guadagnare campo anche palla al piede. Ciò che non ha funzionato, purtroppo per Allegri e la sua Juventus, è stata l’altra metà del duo di playmaker, Pogba.

 

Il francese è bravo e volonteroso nel costituire un punto di riferimento per i compagni accentrando il gioco su sé stesso, sia grazie alla sua fisicità, sia alle sue capacità tecniche che gli permettono sempre di difendere la palla. Non è però in grado di essere una continua fonte di gioco avanzata per la squadra. Inoltre, la sua principale abilità di playmaking è il passaggio diagonale a tagliare la difesa. Questa tipologia di passaggio ha un doppio vantaggio, perché permette di guadagnare spazio verticalmente e di cambiare il fronte di gioco. Ma con l’Udinese che difendeva a 5, latitavano gli spazi su cui giocarli. Inoltre, il francese ha rischiato a volte di strafare, con tentativi leziosi che gli sono costati persino qualche fischio.

 

Senza un vero faro in mezzo al campo, la Juventus ha cercato di prevalere col fisico, appoggiandosi al proprio centravanti, Mandzukic. Il nuovo acquisto ha subito messo in mostra la sua grinta e la sua fisicità, pressando senza sosta in avanti, lottando e avventandosi su tutti i palloni alti. Ed è proprio con un cross dopo l’altro che la Juventus ha cercato di segnare. Con Coman ad agire su espressa richiesta di Allegri non accanto, ma dietro al compagno di reparto, il croato si è trovato spesso raddoppiato e gli è sempre mancato o il tempo del salto o l’impatto giusto con il pallone.

 

Con i bianconeri che stentavano nel gioco, la partita l’ha vinta Colantuono osando. Dentro Kone e Duván Zapata, la sua squadra ne ha guadagnato nello sviluppo offensivo, con Théréau che non ha perdonato un errore di Lichtsteiner.

 



 

Nella prima partita di Sarri da allenatore del Napoli, tutto ha funzionato come avrebbe dovuto, ma solo per 15 minuti: quelli iniziali, in cui il Napoli è riuscito ad andare in vantaggio ed è apparso già pronto tatticamente. Dopo, il buio: si è capito ben presto che il cammino verso un nuovo stile di gioco è ancora lungo. Sarri ha bisogno di tempo.

 

Nel suo abituale 4-3-1-2, a sorpresa David López è interno destro di centrocampo ad affiancare Valdifiori, con Hamsik dall’altro lato. Il vertice alto del rombo è Insigne, con Higuaín e Mertens in avanti.

 

In pochi minuti di Napoli “sarriano” si è visto un buon repertorio: la squadra accorciava moltissimo nella zona del pallone, accompagnata da una linea difensiva che saliva quasi a centrocampo; il primo possesso avversario era attaccato con un pressing organizzato per spingere al lancio lungo; i due attaccanti si muovevano molto per creare ampiezza, allargare la difesa e permettere gli inserimenti degli interni; si cercava di verticalizzare il più possibile, attaccando in zona centrale; la squadra era sempre compatta e aggressiva. Finalmente si è rivisto un Hamsik in grande spolvero, in una squadra più verticale e che cerca costantemente di attaccare la profondità.

 

Le partite durano però ben 90 minuti, e in larga parte di questa arbitraria frazione di tempo è stato il Sassuolo a mostrare le cose migliori, permettendo allo stesso tempo di evidenziare tutti i difetti degli avversari.

 

Di Francesco ha studiato bene il sistema di Sarri, e ha capito dove attaccare. In primo luogo, cercare sempre i cambi di campo: il Napoli accorcia molto lo spazio anche a costo di lasciare voragini sul lato debole. Le ali del Sassuolo hanno cercato di garantire sempre ampiezza e di rendere impossibile il compito di geometria del Napoli: Berardi dalla destra cercava sempre il lato opposto, oltre a sistemarsi tra le linee per immaginare la profondità per i suoi attaccanti. Le catene di fascia del 4-3-3 degli emiliani hanno letteralmente sovrastato gli avversari, sempre troppo attenti a chiudere gli spazi in zona centrale. È stata fondamentale la dinamicità degli interni del Sassuolo: Duncan a sinistra e Missiroli a destra hanno garantito sempre i movimenti giusti e assorbito benissimo quelli degli avversari. Nell’attesa di vedere Allan al posto di un David López improbabile per mancanza di dinamismo, il Napoli deve interrogarsi su tutto quello che non ha funzionato.

 

Tra gli errori più vistosi, la difficoltà nel tenere le linee vicine: la squadra si è allungata troppo, permettendo così al Sassuolo non solo di avere spesso la superiorità numerica sulle fasce, ma soprattutto a Berardi di giocare libero tra le linee e inventare l’assist del gol di Floro Flores. In questo modo, ovviamente, a soffrire era la linea difensiva, che non sapeva se salire ad attaccare il portatore o coprire la profondità: nel dubbio, il Sassuolo ha segnato entrambi i gol grazie a dei passaggi dietro le spalle dei difensori.

 

I problemi offensivi sembrano ricalcare alcune vecchie questioni irrisolte dell’Empoli: è vero che Higuaín tende naturalmente a muoversi su tutto il fronte offensivo, ma in area c’è stato poco e niente; così come Mertens, che si allargava molto finendo per pestarsi i piedi con Insigne (a disagio nel nuovo ruolo). Insomma, troppi movimenti, poca pericolosità, e solo tre tiri verso lo specchio, di cui solo uno degli attaccanti (Higuaín). Neppure i cambi hanno garantito un cambio di passo.

 

Le sostituzioni hanno invece consentito a Di Francesco di vincere la partita: il cambio totale del tridente, nonostante l’ottima prova di tutti i componenti, ha dato ottimi risultati. Il gol della vittoria è nato proprio dai nuovi entranti: Politano ha trovato Falcinelli sulla destra alle spalle della difesa del Napoli, il cross al centro ha trovato Sansone pronto a segnare con un colpo di testa morbido. Le sostituzioni sono importanti, ma ancor di più lo sono organizzazione tattica e strategia di gioco: il Sassuolo di Di Francesco, al momento, conosce e suona il suo ottimo spartito molto meglio del Napoli di Sarri.

 


A inizio primo tempo il Napoli sembra ancora mantenere le linee compatte: la difesa è molto alta, si nota il classico rombo di centrocampo, ma manca intensità. Il Sassuolo già ha capito cosa fare: ben due uomini pronti sul lato debole.



 



 

Uno dei problemi del

è stato quello di non avere, di fatto, una coppia titolare in mezzo alla difesa. Inzaghi, durante il campionato, ha sperimentato tredici coppie diverse e la più utilizzata (sette volte) è stata quella formata da Gabriel Paletta e Philippe Mexès, un acquisto di gennaio (Paletta) e un calciatore ignorato fino a novembre e poi trovatosi d’improvviso titolare e anche capitano (Mexès).

 

Dopo aver fatto ruotare i difensori centrali a disposizione durante il precampionato, Sinisa Mihajlovic sembra invece aver scelto la sua coppia titolare, composta da Rodrigo Ely e Alessio Romagnoli (nati rispettivamente nel 1993 e nel 1995). Un’intuizione affascinante, perché si tratta dei centrali più giovani della rosa.

 

Ely e Romagnoli hanno giocato insieme due partite nella loro carriera: contro il Perugia in Coppa Italia e contro la Fiorentina all’esordio in campionato. Normale che non ci sia affiatamento, quindi, ma ci si può comunque chiedere se le loro caratteristiche si completino e se insieme possano formare una coppia ben assortita, quella su cui il Milan può impostare il proprio futuro.

 

È una domanda interessante cui rispondere dopo la partita con la Fiorentina decisa da due falli, uno commesso da Ely (che gli è pure costato l’espulsione) e l’altro da Romagnoli. Visto che dell’ex Roma abbiamo parlato

di recente mi vorrei soffermare su Ely, anche perché è normale pensare che Romagnoli sia il titolare della difesa del Milan e che quindi la coppia vada pensata in sua funzione, affiancandogli un compagno che lo completi e ne nasconda per quanto possibile i difetti.

 

Viste le caratteristiche, a Romagnoli andrebbe affiancato un giocatore bravo a coprire la profondità e che abbia la personalità per guidarlo, aiutandolo a leggere meglio le azioni e i movimenti degli avversari. Pur essendo un ragazzo con personalità, Ely non ha ancora il carisma per guidare la linea difensiva. Capita allora che si creino situazioni di confusione sui movimenti.

 


Ely accorcia, Romagnoli tiene la posizione, mentre De Sciglio scappa indietro salvo poi fermarsi e salire una volta accortosi che i compagni non lo stanno seguendo. Ognuno si muove per conto proprio e il Milan si espone pericolosamente al taglio di Bernardeschi.



 

In casi come quello appena mostrato, oltre allo scarso affiatamento, si nota come manchi un difensore che si faccia seguire dai compagni, che decida se in quella particolare azione si copre la profondità oppure si accorcia in avanti. Ely a Firenze ha dimostrato di essere più a suo agio nella seconda ipotesi. Non so se sia questo il motivo che ha spinto Mihajlovic a puntare su di lui, ma di certo a Sinisa piacciono i difensori che difendono in avanti, che cercano frequentemente l’anticipo, pur prendendosi qualche rischio. Dopo un minuto e 40 secondi di partita Ely era già uscito due volte su Bernardeschi spingendosi fino alla trequarti della Fiorentina.

 

Quando invece si è trattato di coprire la profondità Ely ha mostrato dei limiti. Non è veloce e quindi deve sopperire a questa mancanza leggendo prima l’azione, anticipando il movimento dell’attaccante per non essere costretto a recuperare. Anche prima dell’espulsione, però, Kalinic l’aveva messo in difficoltà due volte tagliandogli davanti: nel primo caso ha fatto fallo prendendosi l’ammonizione, nel secondo caso ha lasciato scappare l’attaccante per non essere espulso, concedendo l’uno contro uno con Diego López (che comunque ha parato il tiro).

 


Ely vede Kalinic che gli taglia davanti, ma ha un momento di esitazione e si fa bruciare. Sgambetta l’attaccante e viene ammonito. È un cartellino pesante.



 

Senza dubbio sia Ely che Romagnoli hanno grandi margini di miglioramento, ma non so se siano pronti da subito a giocare insieme. Le loro caratteristiche individuali non si integrano come dovrebbero: tutti e due preferiscono giocare in anticipo, non sono veloci e hanno difficoltà a coprire lo spazio alle loro spalle, specie se la squadra difende molto alta, come ha fatto il Milan a Firenze.

 

L’azione dell’espulsione di Ely è chiarificatrice in tal senso: tutti e due escono in anticipo, ma non riuscendo a intervenire sono costretti a recuperare. Nell’occasione Ely ha dimostrato scarsa agilità, incrociando il proprio piede destro con quello sinistro di Kalinic, pur non avendo l’intenzione di fare fallo. È stata la svolta della partita: Alonso ha segnato quella stessa punizione e per la Fiorentina è stato tutto più facile.

 

Il Milan ha pagato con una sconfitta all’esordio, ma essendo appunto la prima giornata Mihajlovic ha tutto il tempo per intervenire. Il punto è: c’è nella rosa milanista un difensore centrale affidabile che si completi con Romagnoli, vale la pena insistere su Ely o c’è bisogno di andare sul mercato?

 



 

L’ideale di calcio di Roberto Mancini sembra ruotare intorno a due elementi cardinali: il controllo sulla partita e il proverbiale centrocampo muscolare. Il primo si riflette nella disposizione delle sue squadre, il secondo nella direzione che tendenzialmente imprime al mercato. Il problema è che in confronto alla convivenza di questi due elementi, alcune equazioni della meccanica quantistica risultano di risoluzione decisamente più semplice.

 

Contro l’Atalanta, come ci si aspettava, l’Inter ha dominato, nel senso molto manciniano di  “fare la partita”. Ha chiuso con il 69,7% di possesso palla, il valore più alto della giornata di campionato, confermando il dato dell’anno scorso, quando dall’arrivo di Mancini è stata la prima squadra per percentuali di possesso. Il possesso è stato però della (modesta) qualità che ci si aspettava dagli interpreti in campo (Medel, Gnoukouri, Kondogbia e Brozovic tutti insieme all’inizio).

 

Il tema centrale del primo tempo è stata la semplicità con cui il tridente offensivo dell’Atalanta ha disturbato lo sviluppo dell’azione interista, spesso anche con soli due uomini, potendo schierare uno tra Maxi Moralez e Papu Gómez (più spesso quest’ultimo) a rinforzo del centrocampo. Ne risultavano grotteschi tentativi di impostare 5 contro 2, quando non 6 contro 2, con la conseguenza più negativa nella possibilità per l’Atalanta di triplicare la marcatura nel momento in cui l’Inter fosse riuscita a trovare il guizzo per la verticalizzazione.

 


I problemi del rombo dell’Inter. Brozovic a disagio nel ruolo di trequartista, si abbassa troppo ed è facilmente controllato da de Roon. I centrocampisti sono disposti orizzontalmente in un raggio di cinque metri, e i terzini sono sempre accompagnati dalle ali dell’Atalanta, obbligando gli attaccanti a continui movimenti laterali per creare ampiezza.



 

Se l’Atalanta ha chiuso con 4 tentativi di tiro in porta senza mai centrare lo specchio, l’Inter ne ha registrati 21, di cui solo 7 nello specchio, solo 5 all’interno dell’area di rigore. Il riflesso di una squadra con poche idee e soprattutto con poca qualità, che spesso si è rifugiata nelle coraggiose, ma completamente inefficaci conclusioni da lontano nel tentativo di risultare pericolosa, e che è riuscita poco e male a coinvolgere nell’azione Jovetic e Palacio. Il primo ha iniziato a proporsi al centro con generosità, ma ha finito per spegnersi ala sinistra, facendo compagnia a Masiello per gran parte della partita. Il secondo ha come al solito speso ogni riserva di energia alla ricerca di spazi, risultando però poco lucido anche in occasione di controlli elementari.

 

L’inserimento di Hernanes a fine primo tempo ha ovviamente spostato l’inerzia della partita, ma era parso talmente logico da risultare inevitabile. Da trequartista vero, ha saputo offrire sempre una linea di passaggio sulla trequarti, mentre Brozovic era costretto ad abbassarsi almeno sulla metà campo, e soprattutto ha dimostrato una sensibilità nel ricevere e difendere palla spalle all’avversario che Brozovic non ha assolutamente nelle sue corde. Contemporaneamente il croato, indicato da Mancini come il migliore in campo, si è confermato un’ottimo interno, mettendo in risalto il più grande pregio di questa squadra, una novità quasi assoluta: il recupero palla.

 

L’espulsione di Carmona è arrivata al termine di un quarto d’ora esasperante in cui l’Atalanta non è letteralmente riuscita a trovare due passaggi consecutivi, e non che prima ci abbiano provato molto. La scarsa lucidità del cileno è stata figlia dell’incredibile consumo di energie nervose che i bergamaschi hanno dovuto pagare sia in fase difensiva, dove hanno impressionato per attenzione e coordinazione nei movimenti, e poi in fase offensiva, dove l’intensità mostrata già il 23 agosto da Medel, Kondogbia e Brozovic ha soffocato ogni tentativo di ragionamento.

 

Bisogna anche sottolineare che per de Roon è stato difficile rimpiazzare Cigarini, che probabilmente è un lusso per questa dimensione. L’olandese ha giocato benissimo inseguendo ovunque Brozovic prima e Hernanes poi, ma il difetto nella qualità è stato notevole. Inevitabile, proprio in virtù di questo consumo nervoso, intensificato dai venticinque minuti in inferiorità numerica, che ci si dimentichi di Jovetic su una rimessa laterale battuta rapidamente al novantaquattresimo, e che il montenegrino poi delizi San Siro con un gran gol dalla distanza.

 
 

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