Quando sullo 0-0 un giocatore riceve palla, si concede un tocco in più prima di passarla e poi rimane sul posto invece che scattare avanti vuol dire che il risultato tutto sommato gli va bene. Dopo un primo tempo abbastanza movimentato, soprattutto in avvio, la Juve della ripresa, fin dal primo possesso, ha lanciato questo segnale inequivocabile all’Atlético, che col pareggio dal canto suo si assicurava il primo posto nel girone.
Strategia non priva di rischi, perché la consueta compostezza difensiva dell’Atlético poteva anche essere fraintesa (quella di Simeone è una squadra che per sistema non si fionda sempre alla caccia del pallone ma aspetta che cada fra i suoi piedi a partire da un controllo perfetto della zona, e può mantenere quest’atteggiamento anche se sta pareggiando in casa una partita da dentro o fuori e manca solo mezzora alla fine), e a un certo punto si è avuta la sensazione che l’accomodamento della Juventus fosse eccessivo e che forzando un paio di attacchi l’Atlético avrebbe potuto sorprenderla.
Ma alla fine no, nessun fraintendimento. I possibili cambi intorno al 65’-70’ sono il segnale da cui finalmente le reali intenzioni dell’Atlético son state decifrate. Nella telecronaca spagnola prima si vocifera di un possibile ingresso di Tiago, poi addirittura Radomir Antić (commentatore tecnico nonché allenatore di Simeone nel penultimo Atlético campione di Spagna) auspica/suggerisce/minaccia un Griezmann, ma alla fine arriva inesorabile l’annuncio della “bordocampista”: “Simeone ha mandato a scaldarsi J E S Ú S G Á M E Z”.
Probabilmente lo ha mandato a prendere giusto una boccata d’aria, visto che alla fine non entra nessuno, in tutte e due le squadre. Non c’era nulla da cambiare, evidentemente, a partire dal risultato.
Istantanea dal concitato finale. La Juventus schiumando rabbia si proietta in avanti, l’Atlético con gli occhi iniettati di sangue si lancia alla ricerca del pallone.
Finchè si è giocato a calcio la partita ha vissuto su un equilibrio in cui la Juve monopolizzava il pallone, l’Atlético al calduccio del suo bunker non soffriva ma nemmeno proponeva un’ipotesi di contropiede una volta recuperato il pallone.
Allegri opta per la difesa a 4 e un uomo in più centrocampo (davanti a Pirlo tendenzialmente Pereyra centrale, Pogba sul centro-sinistra e Vidal sul centro-destra, anche se piuttosto interscambiabili), che però non gli regala una reale superiorità contro il sistema difensivo colchonero. Simeone sceglie il baricentro più basso possibile, senza regalare nulla tra centrocampo e difesa e alle spalle della linea arretrata; però così facendo si condanna all’arcinota impossibilità di ribaltare l’azione con Mandžukić lì davanti (Arda trequartista e Raúl García stavolta a destra).
Il piano di Allegri non funziona perché Pirlo è seguito a uomo proprio da Mandžukić e perché il centrocampista in più alla fine non fa che intasare eccessivamente la metà campo. Per far valere davvero l’uomo in più in mezzo la Juve dovrebbe prima allargare le maglie dell’Atlético, attirandolo verso un lato per poi liberare Vidal, Pereyra e Pogba contro i teorici due soli mediani spagnoli (Mario e Gabi), ma ciò non avviene.
La Juve gioca prevalentemente sulla destra ma Lichtsteiner da quarto di difesa parte più basso e porta palla da zone eccessivamente arretrate. Sulla circolazione juventina è così molto facile per Koke scalare sullo svizzero, senza allontanarsi troppo dai compagni in zona centrale e senza scoprire le possibili linee di passaggio a servire i tagli di Vidal.
Pirlo marcato a uomo, centrocampo troppo stretto, nessuna possibilità di ricevere tra le linee.
Intorno al quarto d’ora però la Juve opera un aggiustamento interessante: Pirlo scappa letteralmente da Mandžukić, fino a diventare l’uomo più arretrato di tutta la squadra, praticamente da libero. Se non può pesare direttamente sulla partita Pirlo almeno incide indirettamente: la sua nuova posizione permette a Bonucci di slittare in maniera accentuata verso destra. In questo curioso ritorno ai tre centrali la Juve decongestiona il centrocampo e permette a Bonucci di guadagnare campo palla al piede. Dal 15’ al 20’ arrivano i migliori minuti della Juventus, quando l’Atlético fatica un po’ a leggere la nuova situazione tattica: Bonucci che si spinge fino alla trequarti permette a Lichtsteiner di avanzare la propria posizione, fino a impegnare Siqueira (piuttosto impulsivo e incerto nell’uno contro uno) e a insinuare dubbi in Koke e Mario Suárez, che in un paio di occasioni non sanno bene quando e in che punto uscire dalla linea per prendere Bonucci o piuttosto presidiare la loro zona, preoccupati dei tanti giocatori juventini che gravitano in quella zona (oltre a Vidal, Pereyra e Pogba anche Tévez che arretra spesso e volentieri sulla trequarti).
Pirlo passa dietro, Bonucci guadagna campo sulla destra.
Da passaggi filtranti di Bonucci nascono le uniche due situazioni in cui la Juve pesca l’uomo tra le linee (Vidal) e poi mette Lichtsteiner in condizione di crossare dal fondo. Quando Bonucci non crea questo vantaggio diretto comunque contribuisce a schiacciare l’Atlético indietro e rendere più difficile la riconquista del pallone dopo le respinte della difesa. Vedendo la Juve distendersi così sfacciatamente è inevitabile, scusate la ripetitività, pensare a come l’Atlético potrebbe invece attaccare quello spazio e sfuggire alla Legge del Campo Troppo Lungo integrando al meglio Griezmann nel proprio sistema.
Superiorità creata da Bonucci. Attira avversari, smarca Pogba tra le linee che a sua volta permetterà a Lichtsteiner di arrivare sul fondo. L’Atlético si fa trascinare troppo dietro (osservare la posizione di Mandžukić, Arda e Koke).
Comunque l’Atlético a conti fatti non concede praticamente nulla a una Juventus che a parte quest’accenno di vantaggio tattico limitato sia nello spazio che nel tempo per il resto aggrappata al massimo a qualche invenzione individuale: male la fascia con più talento (la sinistra con Evra e Pogba), spaesato Pereyra al centro della trequarti, fumoso e incapace di trovare la posizione dalla quale incidere per davvero Tévez (viene a prendere palla troppo dietro e troppo centrale, cosa perfettamente inutile contro l’impenetrabile trequarti difensiva dell’Atlético: solo in un paio di occasioni cerca di smarcarsi lateralmente).
Nell’Atlético appena solleticato dai cross brilla così l’autorevolezza dei centrali uruguaiani: degni di cotanta scuola, il solito Godín e il giovane Giménez (che sta entusiasmando come sostituto dell’infortunato Miranda) non sbagliano una copertura e quando perdono un duello è solo per concedere un colpo di testa debole e forzatissimo di Llorente su cross d’esterno di Pogba dalla sinistra. Come se non bastasse, Simeone corregge anche il leggero squilibrio causato dall’aggiustamento fra Pirlo e Bonucci: 4-5-1 e centrocampo più folto con Arda Turan a sinistra e Koke che passa in mezzo. Cala il sipario sulla partita di calcio e nella ripresa quando nessuno più si muove inizia quella di calciobalilla, che non è precisamente l’oggetto di questo articolo.
Non il migliore dei finali ma nemmeno le migliori conclusioni possibili in chiave futura: la Juventus deve ancora dimostrarsi pienamente competitiva contro avversari europei di questo livello (e l’aver creato così poco in due partite contro l’Atlético non è il dato più incoraggiante), e anche l’Atlético post-Diego Costa deve confermare appieno la propria credibilità. L’attacco pesante sta funzionando bene in Liga o contro avversari europei che puoi dominare nella loro metacampo (Olympiacos), ma contro i Real Madrid, Bayern e Chelsea giocare senza la possibilità di ripartire, senza varianti offensive, affidandosi alla pura solidità difensiva (anche se fuori categoria rispetto ai rivali) o al fantasmagorico repertorio su palla inattiva, potrebbe rivelarsi alla lunga un rischio.