
Fiorentina – Lazio
di Federico Aquè (@FedAque)
La Lazio ha giocato contro la Fiorentina nel giorno del 116.esimo anniversario della sua fondazione e per l’occasione si è regalata il secondo successo consecutivo in trasferta dopo quello contro l’Inter: battendo così la squadra che, in quel momento, era prima in classifica e una delle pretendenti più serie per lo scudetto. Una situazione difficile da interpretare, perché prima della vittoria a S. Siro la Lazio aveva vinto solo a Verona contro l’Hellas, perdendo tutte le altre trasferte.
Prima della partita Stefano Pioli aveva detto di sentirsi «come quei genitori che vanno dagli insegnanti per parlare del proprio figlio e gli viene detto che il ragazzo è intelligente, ma potrebbe dare di più». Un discorso che è in parte servito, ma dirò subito che probabilmente nemmeno questo successo può essere definito “il punto di svolta” della stagione: anche dopo aver battuto l’Inter la Lazio aveva pareggiato, male, contro il Carpi e anche a Firenze ha dimostrato di essere ancora lontana dai picchi dello scorso campionato. Certo, in tempi di vacche magre vincere a Firenze è un risultato prestigioso che può dare fiducia a una squadra che sembrava smarrita fino a poche settimane fa, ma la prestazione è stata convincente soprattutto quando la Lazio non aveva il pallone tra i piedi.
Un dato affatto scontato, comunque, viste le difficoltà difensive dei biancocelesti (27 gol subiti alla fine del girone d’andata) e l’avversario affrontato (al momento di scendere in campo la Fiorentina aveva il miglior attacco della Serie A). Un po’ per la forza della Fiorentina, un po’ per il campionato poco brillante giocato finora, Pioli ha scelto un approccio meno aggressivo, senza comunque rinunciare ad attaccare l’inizio azione dei viola, e questa strategia ha portato i suoi frutti.
Schierata con il 4-3-3, la Lazio portava i tre attaccanti (Keita, Djordjevic e Candreva) in pressione sui tre difensori centrali della Fiorentina (Roncaglia, Gonzalo Rodríguez e Astori), mentre le due mezzali (Parolo e Milinkovic-Savic) si disponevano in modo tale da intercettare il possibile passaggio dal difensore al centrocampista centrale che si muoveva in appoggio. Pioli, in questo modo, ha preferito non affrontare in maniera diretta la qualità dei palleggiatori viola, ma ha cercato di rendere loro la vita difficile riducendo gli spazi e forzandoli a un passaggio verticale rischioso o a uno scarico laterale. Ed era proprio in quel momento che scattava il pressing e la Lazio provava a recuperare il pallone.

Gonzalo Rodríguez è in possesso del pallone, Djordjevic esce in pressione per accelerare i tempi della giocata del difensore, ma non in maniera particolarmente aggressiva. Vecino è schermato da Milinkovic-Savic, mentre Parolo resta a metà tra Mati Fernández e Badelj, togliendo di fatto due possibili opzioni a Gonzalo. Il capitano viola, alla fine, sceglie di tornare indietro da Tatarusanu, che a sua volta apre a sinistra verso Astori, prontamente attaccato da Candreva.

Astori gioca un passaggio rischioso verso Vecino: Milinkovic-Savic lo anticipa, scambia con Djordjevic e si presenta in area di rigore, sprecando l’occasione con un tiro sporco.
Il primo pressing laziale era tutt'altro che compatto: la linea difensiva restava distante, lasciando a Biglia il compito di “anello di congiunzione” tra le due parti della squadra. L’argentino si è mosso poco in avanti, preferendo restare in posizione per poi andare coprire i propri compagni fino a schiacciarsi sulla linea difensiva.
Ancora una volta, il periodo difficile e la pericolosità della Fiorentina (soprattutto dei movimenti ad attaccare la profondità di Kalinic) hanno suggerito prudenza: il baricentro a fine partita si è assestato sui 48 metri (un dato basso), l’altezza media delle palle recuperate (35,4 metri) è stata all’incirca nella propria trequarti e la squadra è rimasta piuttosto lunga in campo (il dato finale è di 38,5 metri).
Alla fine si è dimostrato un atteggiamento produttivo: la Lazio ha effettivamente messo in difficoltà il palleggio dei viola, occupando sempre con tanti uomini il centro del campo e concedendo soltanto lo scarico sulle fasce. Fondamentale il sacrificio dei tre attaccanti, in particolare del centravanti (prima Djordjevic e poi Matri), che aveva il compito di ripiegare per schermare il centrocampista centrale che si muoveva in appoggio una volta che il pallone veniva girato sulla fascia. In questo modo Keita e Candreva, certamente più pericolosi in ripartenza, potevano restare più alti per puntare palla al piede la difesa viola una volta recuperata palla.

La Lazio lascia che il pallone arrivi sulle fasce, in questo caso a Marcos Alonso, spostato a destra dopo l’ingresso di Pasqual. Il movimento di Ilicic, seguito da Parolo, gli apre spazio nel mezzo, ma Biglia è pronto ad accorciare, mentre Borja Valero viene schermato da Djordjevic. L’unica soluzione per Alonso sarà il passaggio filtrante verso Kalinic, intercettato da Hoedt.
Il fermo immagine qui sopra riassume bene le difficoltà della Fiorentina, non solo relative alla partita contro la Lazio. La manovra della squadra di Paulo Sousa funziona quando riesce a costruire la propria azione nel mezzo, grazie alla qualità dei quattro giocatori che si dividono tra centrocampo e trequarti. Quando viene costretta a girare il pallone sulle fasce la sua pericolosità diminuisce molto, perché i movimenti a creare superiorità in ampiezza sono rari e l’esterno è costretto quasi sempre a giocare l’uno contro uno da fermo per sbloccare la situazione.
Contro la Lazio, inoltre, se escludiamo Ilicic, partito dalla panchina per un problema fisico, mancava il giocatore migliore da questo punto di vista: Bernardeschi, che proprio in virtù delle sue qualità nell’uno contro uno, nonostante non sia il suo ruolo preferito, è diventato il proprietario della fascia destra viola. Il risultato è che con il 67,6% di possesso palla la Fiorentina ha tirato in area di rigore solo 5 volte, contro le 9 della Lazio.
Pur in una gara persa subendo tre gol, si è avuta la dimostrazione che finora Paulo Sousa sia stato più bravo a organizzare la fase difensiva, e in particolare il pressing, che non quella puramente offensiva. La Lazio è riuscita raramente a costruire l’azione palla a terra (solo Hoedt e Biglia hanno chiuso la partita con più di 20 passaggi riusciti) e, portata anche lei sistematicamente sulle fasce, era costretta a un lancio lungo o a un passaggio forzato (non è un caso che i giocatori ad aver perso il maggior numero di palle siano stati i due terzini: Konko e Radu). Proprio su un lancio lungo di Hoedt la squadra di Pioli è passata in vantaggio, capitalizzando un errore nel controllo di Roncaglia e le mancate chiusure di Gonzalo Rodríguez e Astori, che hanno aperto la strada verso la porta a Keita.
I biancocelesti hanno vinto sfruttando due contropiedi (primo e terzo gol) e un errore in impostazione della Fiorentina (il gol di Milinkovic-Savic), che hanno esaltato soprattutto la qualità degli esterni d’attacco laziali. In quel ruolo (ammesso che il mercato non gli porti via Felipe Anderson) i biancocelesti hanno poco da invidiare al resto del campionato: basta riguardarsi lo splendido pallone servito di prima da Candreva a Felipe Anderson in occasione del 3-1. Gli allievi, per restare nella metafora utilizzata da Pioli prima della partita, si sono sì applicati di più, portando a casa un bel voto, ma per tornare a essere tra i migliori della classe hanno ancora molto da studiare.
Inter - Sassuolo
di Emiliano Battazzi (@e_batta)
Il 28 gennaio 2014 Eusebio Di Francesco è un allenatore disoccupato: è stato esonerato dal Sassuolo, la squadra che aveva condotto per la prima volta in Serie A, dopo una sconfitta contro il Livorno. I neroverdi avevano appena 17 punti in 21 partite e sembravano ormai destinati alla retrocessione: al suo posto fu chiamato Malesani. Dopo le cinque sconfitte consecutive con il nuovo allenatore, su richiesta dei giocatori, Di Francesco venne richiamato.
Due anni dopo è ancora lui il tecnico del Sassuolo che arriva a San Siro da sesto in classifica, per una sfida di alto livello contro l’Inter capolista. È bene ricordarsene, perché anche in provincia può essere molto difficile costruire un progetto di calcio sulla base di un’identità di gioco netta e spregiudicata: forse persino più azzardato che in una grande squadra.
Di Francesco ha costruito una squadra competitiva per la Serie A e che è in grado di giocarsela ormai contro tutti nello stesso modo: intensità, movimenti a memoria, verticalità; ma ha avuto bisogno di tempo.
Scosse di assestamento
Le due squadre scendono in campo con lo stesso modulo, ma diverse strategie di gioco. Il 4-3-3 dell’Inter di Mancini si basa sulla solidità del blocco difensivo, sulla grande fisicità dei tre centrocampisti e sulle invenzioni del tridente: Ljajic a destra, Icardi al centro e Perisic a sinistra (almeno inizialmente). La sorpresa è solo nella linea difensiva, dove i due terzini invertono le fasce: c’è Nagatomo a destra per controllare la velocità di Sansone e D’Ambrosio (di piede destro) dall’altra parte per tenere d’occhio il mancino Berardi e non consentirgli il movimento verso il centro del campo. Giocare con i terzini a piede invertito, contro esterni che si accentrano, è un’ulteriore prova dell’attenzione di Mancini nel bloccare le qualità dell’avversario, anche a costo di sacrificare degli automatismi.

Come bloccare l’inizio azione dell’Inter parte 1: il tridente del Sassuolo si compatta al centro, schermando la ricezione di Medel; le mezzali coprono i loro dirimpettai. Miranda ha due sole possibilità: lo scarico in fascia per Nagatomo o il lancio lungo.

Come bloccare l’inizio azione dell’Inter parte 2: Falcinelli scherma Medel, Missiroli segue Kondogbia, Duncan è in alto su Brozovic. A Murillo non resta che lo scarico sulla fascia per D’Ambrosio, su cui Berardi è pronto.
Nel Sassuolo il solito 4-3-3 con i due terzini Vrsaljko e Peluso a tutta fascia, Magnanelli pivote davanti alla difesa e Falcinelli centravanti per attaccare la profondità.
I padroni di casa entrano in campo con un’intensità davvero impressionante: sembrano sovrastare l’avversario come un branco che non può essere fermato. È un mix di forza fisica e volontà molto raro in Serie A e il Sassuolo va in difficoltà: nei primi cinque minuti l’Inter crea due nette occasioni da gol e sembra persino più fluida rispetto ad altre volte.
Passata la tempesta, però, il Sassuolo si ricorda del piano gara e comincia a entrare in partita: Di Francesco individua il punto debole dell’Inter nella costruzione del gioco dal basso e avanza il baricentro della sua squadra. I nerazzurri vanno in difficoltà e sono costretti spesso al lancio lungo (54 in tutto e ben 197 verticalizzazioni) per non correre rischi in difesa. Il pressing del Sassuolo sulla trequarti è organizzato e il vero obiettivo è spingere l’avversario sulla fascia: Nagatomo sarà uno dei più coinvolti nell’Inter, con ben 69 palloni giocati, dietro solo a Brozovic e Ljajic.

Difendere in avanti parte 1: è sempre il solito gioco delle coppie. Qui Murillo sta dicendo a Miranda “per favore passala al portiere che non saprei cosa farmene”.
Il Sassuolo conquista ben 22 palloni nella metà campo avversaria e costringe Brozovic, Ljajic e persino Icardi ad abbassarsi per aiutare i compagni. Una grande occasione da gol per Missiroli nasce proprio da un pallone rubato da Duncan a Ljajic, che si era abbassato sulla propria trequarti: con un doppio splendido riflesso, Handanovic impedisce il vantaggio degli avversari. A volte il senso della posizione del portiere dell’Inter fa sembrare quasi naturali delle parate al limite dell’impossibile (era accaduta una cosa simile anche contro la Roma).

Difendere in avanti parte 2: in questa immagine c’è tutto. Il Sassuolo ha bloccato l’inizio azione dell’Inter, che è costretta a rivolgersi a Handanovic. Sul lancio lungo del portiere, la difesa emiliana è altissima e manda in fuorigioco Icardi: scacco matto.
In fase offensiva, il Sassuolo non riesce a elaborare le sue solite trame: le due ali sono sempre raddoppiate e in particolare per Berardi diventa difficile sia tagliare verso il centro che provare i classici cambi di campo alla cieca. Sull’altra fascia Sansone fa qualcosa in più soprattutto a livello individuale (ben 6 dribbling riusciti), ma alla fine si rende pericoloso solo con i calci piazzati.
Il centravanti Falcinelli sembra più un faticatore, sempre pronto ad attaccare la profondità e a impegnarsi in ogni tipo di duello contro la miglior coppia difensiva della Serie A, ma con poca capacità di incidere in zona gol. Oltre ai palloni riconquistati sulla trequarti, la miglior arma offensiva del Sassuolo è rappresentata dai tagli degli interni Duncan e Missiroli alle spalle dei terzini avversari.
Nonostante qualche errore difensivo del Sassuolo e qualche triangolazione offensiva dell’Inter, il risultato non si sblocca anche per l’imprecisione di Ljajic: decisivo per la creazione di gioco (5 occasioni create, 4 dribbling positivi), ma imperdonabile per gli errori in zona gol. C’è inoltre anche un grande Consigli a impedirgli di segnare: su un suo tiro a girare sul secondo palo, il portiere avversario si lancia e cambia addirittura in volo la mano con cui intervenire, usando quella di richiamo per stendersi fino al limite massimo. Dopo il brutto errore contro il Frosinone, Consigli ha dimostrato di essere un portiere di livello.
Alla pari
Nella ripresa la squadra di Mancini sembra di nuovo riempita di quel sacro fuoco agonistico iniziale e si rivedono intensità e fisicità (ben l’85% dei contrasti vinti), che però non bastano ad andare in vantaggio. Il Sassuolo continua a recitare il suo copione, attaccando a volte come uno sciame, con entrambi i terzini altissimi e cercando di difendere spostando il baricentro in avanti.
Con l’ingresso di Palacio, l’Inter si sistema con un rombo in cui Ljajic diventa trequartista dietro le due punte argentine: Brozovic e Kondogbia nel frattempo invertono le fasce di competenza, con una mossa sofisticata di Mancini motivata dal fatto che Duncan sembra inarrestabile (2 occasioni create, 8 palle recuperate e ben 4 dribbling riusciti) e costringe Brozovic a un lavoro troppo dispendioso: meglio la fisicità di Kondogbia per contrastarlo.
Inoltre, in questo modo le due mezzali giocano a piede invertito e possono sfruttare la visione diagonale del gioco: sia per accentrare verso Ljajic che per disordinare l’avversario.

Come si attacca a San Siro: il terzino destro Vrsaljko è altissimo e pronto al cross. Nella zona centrale dell’area i giocatori del Sassuolo sono addirittura in superiorità numerica su quelli dell’Inter: 5 vs 4.
Con il tempo l’Inter guadagna terreno e costringe l’avversario ad arretrare (il baricentro medio del Sassuolo a fine partita è di circa 50 metri, basso appunto), ma continua a creare solo per inerzia o quando trova l’avversario disordinato (i nerazzurri stavano per segnare dopo un calcio d’angolo battuto male dagli avversari e con marcature preventive sballate). Entrambe le squadre finiscono per allungarsi, ma il Sassuolo di più (lunghezza media 42.6 metri, troppi): rimane in partita anche grazie alle splendide parate di Consigli e alla mancanza di precisione di Ljajic.
Di Francesco cambia in attacco e fa bene: Defrel (al posto di Falcinelli) e Floro Flores (al posto di Sansone) entrano subito in partita (è più facile quando puoi giocare a memoria). Nonostante sia in difficoltà, la squadra neroverde non rinuncia ad attaccare e viene premiata nell’ultima azione della partita, in uno dei rari errori della coppia difensiva interista: Murillo salta a vuoto e Miranda è costretto a stendere Defrel, che stava andando verso la porta (tenuto in gioco da Nagatomo e dal difensore brasiliano).
Il rigore di Berardi permette al Sassuolo di essere sesto in classifica, a 31 punti e con una partita da recuperare: potenzialmente potrebbe concludere il girone di andata agganciando la Roma.
Forse non sarà stata la miglior partita dell'anno del Sassuolo, ma la più grande qualità (ed è una qualità vera, anche se negativa) dell’Inter è proprio quella di non far giocare bene nessun avversario. La squadra di Di Francesco ha dimostrato soprattutto una grande mentalità, cercando sempre di attaccare e mantenendosi fedele ai propri principi di gioco. Ha fatto così con tutti e questo atteggiamento è stato finora sempre premiato: ha vinto contro Napoli, Juventus e Inter; pareggiato contro Roma e Fiorentina. In un’ipotetica classifica avulsa tra le prime sei squadre in classifica, il Sassuolo sarebbe primo con 11 punti: incredibile ma vero, e non è un caso.
È difficile capire quali prospettive si possano aprire adesso, ma non c’è bisogno neppure di chiederselo: se il Sassuolo continuerà a giocare come ha sempre fatto finora potrà davvero puntare a un piazzamento europeo.
Per l’Inter di Mancini questa sconfitta, sebbene sia la seconda consecutiva in casa, non deve rappresentare un dramma: le difficoltà messe in mostra sono sempre le stesse (inizio azione, collegamento con Icardi, mancanza di regia a centrocampo) così come i punti di forza. In questa partita l’Inter ha anche creato più del solito, finendo però per concedere di più all’avversario, a conferma dei problemi nel giocare fase difensiva e offensiva in modo armonico ed equilibrato.
Con l’intensità messa in campo in alcuni momenti, però, l’Inter continuerà a raccogliere molti punti. La fortuna della squadra di Mancini è che non ci sono molte squadre sfrontate e organizzate come il Sassuolo, nel nostro campionato. La strategia del tecnico di Jesi è calcolata per il lunghissimo periodo e capiremo se avrà pagato davvero solo il prossimo maggio: nel frattempo è inutile e forse anche ingiusto aspettarsi un calcio diverso da una squadra che è stata costruita proprio per giocare in questo modo.
Ringraziamo per i dati Opta (che potete anche seguire su Facebook e Twitter)