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Fondamentali: Fine delle vacanze
31 ago 2015
31 ago 2015
Anche nel resto d'Europa si comincia a fare sul serio. Abbiamo analizzato alcuni spunti tattici di Bayern di Monaco-Bayer Leverkusen, Liverpool-West Ham, Siviglia-Atlético Madrid e Monaco-PSG
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Per battere il Leverkusen di Schmidt ed uscire dalla trappola dei ritmi alti bisogna prepararsi bene: Guardiola, con la sua maniacalità nell’analisi dell’avversario, ha individuato quattro mosse per rendere il Bayer inoffensivo e sconfiggerlo per 3-0 all’Allianz Arena.

 

La prima è stata una vera e propria sorpresa: dopo il “falso nove”, il “falso regista”, i “falsi terzini”, Neuer sweeper-keeper, Guardiola ha spinto la sua fantasia (e la frontiera dell’innovazione tattica) ancora più in là, schierando dei “falsi difensori centrali”.

 

Non è facile capire quanto abbiano contribuito le assenze contemporanee di Benatia (infortunato) e Boateng (squalificato) e la cessione imminente di Dante al Wolfsburg, ma in fase di non possesso il Bayern si disponeva con un 4-2-3-1 e una linea difensiva con Xabi Alonso e Alaba difensori centrali. All'inizio dell'azione, invece, le posizioni tendevano ad un 3-1-2-3-1, con Lahm, Alaba e Bernat in linea ed Alonso più avanti, come un vero e proprio pendolo che passava dalla posizione di “libero” a regista davanti la difesa.

 

Questa mossa aveva l’obiettivo di rendere vano il pressing del Bayer sul primo possesso, con una sorta di torello molto efficace perché in grado di trovare sempre un uomo libero senza farsi spingere sulle fasce.

 

https://youtu.be/WAkRJMLOC54?t=21s

Il contributo di Alonso e Douglas Costa al gol di Müller è talmente grande ed esteticamente prezioso da far apparire il tedesco come il cattivo della situazione che si prende tutti i meriti.



 

A questo assetto della linea difensiva si collegava un piano di gara molto chiaro: Douglas Costa (che da inizio stagione sembra il giocatore più decisivo dei bavaresi) e Robben toccavano quasi la linea di bordo campo per garantire la massima ampiezza di gioco e costringere la difesa del Leverkusen ad allargarsi fino ad evidenziare grandi problemi nel mantenere le giuste distanze.

 

L’enigma che si poneva, così, agli uomini di Schmidt era di difficile soluzione: Alonso cercava spesso la verticalizzazione verso Lewandowski e Müller e la difesa delle aspirine si compattava al centro, ma i due “attaccanti” (è difficile parlare di ruoli nel Bayern) scaricavano immediatamente sugli esterni. Per il Leverkusen era difficile compattarsi ed allargarsi in pochi secondi e Douglas Costa, mostruoso per velocità, tecnica e dribbling, si trovava spesso uno contro uno con il povero Hilbert, saltato sistematicamente anche a causa delle difficoltà del Leverkusen ad organizzare raddoppi sistematici sulle fasce.

 

La terza soluzione era collegata al ruolo di Xabi Alonso, incaricato anche di cambi di gioco dalla difesa, con i suoi lunghi lanci in diagonale (che meriterebbero una sala al MoMA), volti a scompaginare l’organizzazione di Schmidt e a colpire spesso sul lato debole, un problema inevitabile per il Leverkusen che cerca sempre di accorciare nella zona del pallone.

 

La prima azione della partita segue proprio questa dinamica: lancio dalla difesa in diagonale verso Costa, con Hilbert costretto ad un anticipo rischioso di testa. Il gol che rompe la partita è una fotocopia riuscita con successo: Alonso regala una pennellata in diagonale a cui Costa aggiunge la cornice di un controllo indirizzato verso l’interno a saltare l’avversario diretto (stop e dribbling con un solo tocco), per poi servire l’inserimento centrale di Müller che approfitta delle difficoltà della coppia centrale avversaria e ci mette la firma.

 

In questo sistema, Thiago Alcantara e Vidal sono stati quasi sistematicamente saltati: un evento storico per una squadra di Guardiola, con Thiago che è stato autore di appena 7 passaggi in più del portiere Neuer.

 


La partita in un’immagine: l’ampiezza di Douglas Costa e Robben costringe la difesa del Bayer ad allargarsi e perdere le distanze; il Bayern sistema due uomini (l’altro è Müller) sul lato debole; il Leverkusen accorcia sulla zona della palla; Guardiola lascia tre uomini (di cui due “falsi centrali”) più bassi del solito per non regalare profondità agli avversari.



 

La quarta idea di Guardiola riguardava la fase difensiva. La domanda era: una volta evitato il dispositivo di pressing iniziale, come evitare che il Bayer potesse comunque colpire con le sue transizioni offensive a velocità supersonica, per di più contro una difesa sempre molto alta sul campo e priva di centrali?

 

Il tecnico catalano ha deciso semplicemente di non lasciare profondità agli avversari: anche in fase di possesso nella trequarti avversaria, Lahm-Alaba-Bernat (o Alonso) rimanevano bloccati nella propria metà campo in zona centrale, a chiudere ogni velleità offensiva della squadra di Schmidt. Un’altra soluzione tattica poco comune per Guardiola, ma molto efficace ed in grado di evidenziare il paradosso della giornata: la squadra senza difensori centrali aveva un’organizzazione difensiva di gran lunga migliore di quella con la coppia “tradizionale” di difensori.

 

In questa lectio magistralis guardiolesca, sarebbe ingiusto non sottolineare che il Bayer di Schmidt è apparso davvero molto stanco: con 5 partite ufficiali giocate in 14 giorni, ad appena 72 ore dalla vittoria contro la Lazio e con una temperatura molto elevata (30 gradi), il gegenpressing di Schmidt si è sciolto dopo pochi minuti.

 
 


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Alla quarta giornata, la Premier League 2015/16 del West Ham è già per certi versi storica. Dopo il 2-0 all’esordio contro l’Arsenal all’Emirates, gli Hammers hanno vinto 3-0 ad Anfield contro il Liverpool. È la prima volta che accade nella storia recente della Premier League: l’ultima vittoria del West Ham ad Anfield risaliva al 1963.

 

La partita ha riflettuto il dominio di un piano di gara sull’altro. In questo senso è stata più una vittoria del West Ham che una sconfitta del Liverpool: la squadra di Slaven Bilić sapeva cosa fare e l’ha fatto benissimo, quella di Brendan Rodgers non ha saputo eseguire quanto preparato, mostrando limiti individuali e di organizzazione.

 

Bilić ha vinto la partita scegliendo di controllare lo spazio e occupandolo in maniera praticamente perfetta, con un blocco centrale di sette giocatori (i quattro difensori più i tre centrocampisti) in due linee molto strette e i due esterni offensivi (Lanzini e Payet) a coprire l’ampiezza del campo. A eccezione di Sakho, il riferimento su cui appoggiarsi e ripartire una volta recuperata la palla, tutti partecipavano attivamente alla fase difensiva.

 


Due linee strette e vicine nel mezzo, Lanzini che esce su Joe Gomez. Per il Liverpool è praticamente impossibile riuscire a entrare in area.



 

Al Liverpool toccava quindi far girare il pallone da un lato all’altro del campo nel tentativo di “rompere” le linee, cioè far muovere i giocatori del West Ham e trovare spazi da attaccare. Far girare la palla velocemente per non dare tempo agli avversari di riposizionarsi, fornire linee di passaggio non esclusivamente orizzontali, per far spostare i difensori avversari, puntare lo spazio alle loro spalle.

 

Ma è mancata sia la velocità nella circolazione della palla che i movimenti in profondità. E anche gli uno contro uno, determinanti in situazioni bloccate per squilibrare il sistema difensivo avversario, non sono stati cercati con continuità. Basta dire che Payet da solo, con

, ha fatto meglio di tutto il Liverpool messo insieme.

 

Per larghi tratti della partita il possesso palla dei Reds è stato un lungo torello, con i giocatori a muoversi solo in appoggio per farsi dare il pallone senza mai minacciare veramente la difesa del West Ham. Il Liverpool ha tirato in porta una sola volta in 90 minuti, una conclusione da 35 metri di Lovren.

 

Un problema sia di creatività che di organizzazione: Rodgers ha schierato un 4-3-3 che prevedeva a centrocampo Lucas Leiva, Emre Can e Milner, nessuno dei tre con la qualità necessaria ad andare oltre il semplice appoggio laterale. Coutinho e Firmino, le due ali, hanno giocato in realtà in mezzo al campo, accentrandosi e talvolta abbassandosi molto per farsi dare il pallone e aiutare nella circolazione. E l’intasamento centrale consentiva al West Ham di difendere in scioltezza e senza dispendio di energie.

 

Rodgers non ha pensato di “aprire” gli Hammers, né tenendo larghi Coutinho e Firmino, né insistendo sulle catene laterali Gomez-Milner e Clyne-Can. Anzi, la scelta di Gomez come terzino sinistro ha ingolfato ancora di più la manovra: oltre a non arrivare mai sul fondo, il giovane difensore ('97) da destro naturale era portato a entrare dentro il campo e a giocare il pallone in orizzontale. Quando poi Rodgers ha fatto entrare Moreno, togliendo Can e passando al 3-4-3, l’espulsione di Coutinho ha vanificato i suoi sforzi per cambiare la situazione.

 

Il punteggia era già sul 2-0, perché il Liverpool aveva mostrato quei limiti difensivi che Rodgers sembrava aver corretto in questo inizio di stagione. Prima dell’incredibile

di Lovren in occasione del 2-0, il primo vantaggio degli Hammers è arrivato in una situazione di gioco davvero ricca di errori tattici individuali dei giocatori del Liverpool.

 


Leiva esce in pressione su Obiang, Can resta in una terra di nessuno: non accompagna il pressing del compagno né lo copre, lasciando a Noble tutto il tempo e lo spazio per servire Payet tra le linee. Il taglio del francese non viene letto da nessuno: Lovren, pur essendo lì vicino, non accorcia, lasciando giocare in tranquillità l’ex Marsiglia. Dal suo cross nascerà l’1-0 (e sarà decisivo un mancato intervento di Gomez).



 

Bilić ha vinto nettamente il duello con Rodgers, preparando una partita difensivamente impeccabile e affidandosi alle qualità di Payet (bravissimo a gestire i tempi delle ripartenze, oltre a mostrare giocate di una classe superiore), Lanzini e Sakho negli spazi. Certo, il gol segnato dopo due minuti è stato determinante per indirizzare la partita nei binari preferiti, ma il divario in termini di organizzazione e concentrazione è stato tale da giustificare il risultato.

 
 


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Si dice che la fortuna aiuta gli audaci e l’Atletico Madrid è stato tanto audace quanto, alla fine, fortunato. In una partita dai ritmi alti fin dall’inizio, l’Atletico ha giocato da subito in modo deciso su quello che Simeone aveva individuato come il punto debole della Siviglia padrone di casa: l’uscita del pallone dalla difesa.

 

L'Atletico è stato intenso come poche volte nella scorsa stagione, andando a pressare altissimo il Siviglia di Emery, che, privo del centrale d’impostazione Pareja, è stato costretto ad arretrare in fase di possesso il mediano Krychowiak per iniziare l’azione. L’allontanamento del polacco da Banega e l’incapacità da parte dell’altro centrocampista, Iborra, di rendersi utile in fase di possesso hanno concesso alla squadra di Simeone un netto vantaggio nel centro del campo in fase di recupero del pallone: con Banega schermato in ricezione e costretto a giocare spesso in orizzontale, al Siviglia non restava che giocare sugli esterni o lanciare sull’isolato Llorente, sempre spalle alla porta.

 

La presenza del nuovo acquisto dal primo minuto, con pochi giorni di allenamento in squadra, nasce dall’assenza di spazio alle spalle della difesa dell’Atletico, cosa che avrebbe reso inutile le opzioni Gameiro e Immobile. La punta appena arrivata dalla Juve si è impegnata e ha tenuto bene il duello con i centrali dell’Atletico, ma l’assenza di un giocatore vicino con cui dialogare ha reso il gioco facile ai suoi avversari.

 


Grande attenzione dell’Atletico sul regista avversario: viene ostacolato in fase di ricezione e in fase di possesso viene privato di tutte le opzioni di passaggio in verticale. In questo caso Gabi andrà a prendere la palla prima che arrivi su Reyes. Da notare come Simeone vorrebbe entrare in campo a prendere quel pallone.



 

Una volta recuperato il pallone l’Atletico lo affidava ad uno tra Óliver e Koke (le due mezzali) o Griezmann, tutti giocatori che hanno dimostrato di saper dirigere la manovra di gioco. Óliver in particolare è riuscito a conservare il pallone evitando l’immediata pressione degli avversari e garantendo anche quella pausa necessaria ai compagni per trovare la posizione giusta in cui, poi, ricevere palla.

 

Anche Koke dalla parte opposta si è occupato di organizzare l’attacco, mentre Griezmann ha fornito ulteriore velocità all’azione tentando sempre la giocata che creasse superiorità o pericolo (riuscendoci spesso). Proprio da uno spunto del francese è arrivato il primo gol: dopo un rimpallo fortunoso Griezmann è stato il più rapido di tutti (e questa non è una novità) e ha servito, da terra, Koke libero di calciare in porta. l’Atletico ha gestito i ritmi del primo tempo e tenuto a bada gli attacchi del Siviglia, mostrando persino autorità.

 

Non che il Siviglia sia rimasto a guardare. La scelta di Emery di utilizzare Vitolo a destra ha permesso alla squadra di avere un fronte ampio con i due terzini Tremoulinas e Coke a coprire la totalità dell’estensione del campo. Gli andalusi hanno provato a rendersi pericolosi, ma la sensazione di controllo della propria area da parte dell’Atletico è stata disarmante.

 

Da grande tattico qual è, Emery ha aggiustato la squadra nel secondo tempo. Prima ha dato un senso alla partita di Iborra, avvicinandolo a Llorente, quasi da seconda punta, poi ha chiesto agli esterni di arrivare sul fondo e crossare sulle due torri, appunto Iborra e Llorente. La mossa ha sortito l’effetto sperato, con l’Atletico che ha abbassato il baricentro e si è limitato a creare pericoli tramite contropiedi veloci con le due punte (con Torres però fermato tranquillamente dagli avversari).

 

Emery, infine, ha deciso di rischiare tutto e passare con due esterni puri e due prime punte aiutate da due centrocampisti creativi al centro. Ovvero un 4-4-2 offensivo per attaccare frontalmente l’Atletico, con Konoplyanka sulla fascia sinistra, Gameiro al centro dell’attacco vicino a Llorente e Krohn-Deli a centrocampo per aiutare Banega in fase di riciclo del possesso.

 

Sono stati minuti in cui è uscita fuori la vera anima dell’Atletico di Simeone, capace di difendere in uno stadio caldissimo ed una squadra che schiera tutte le bocche di fuoco contemporaneamente.

 


Il Siviglia passa da Llorente isolato contro due centrali ad almeno quattro giocatori in grado di entrare in area in fase di attacco posizionale. Un Emery spiritato assiste all’azione.



 

Le azioni pericolose si sono susseguite con un ritmo altissimo, il Siviglia ha quadruplicato il numero di cross (passa da 7 tentativi del primo tempo a 28 del secondo) e l’Atletico si è trovato costretto ad affidarsi unicamente alla propria abilità in fase di difesa posizionale. Se nel primo tempo la fortuna ha aiutato l’audace Atletico, quello barricato in area nel secondo tempo è stato aiutato dal portiere del Siviglia, Beto, probabilmente non adatto a questi livelli. L’assenza totale di senso della posizione del portiere portoghese permette ad un tiro di Gabi da fuori area di trovare la rete e all’Atletico quindi di trovarsi con due gol di vantaggio nel momento in cui sembrava vicino il pareggio.

 

Un altro tiro da fuori basta per portare il punteggio sul 3-0 con cui l’Atletico ha sbancato Siviglia, dimostrando anche ai più scettici che quest’anno può giocarsela con le due grandi. Per la squadra di Emery è una dura sconfitta che potrebbe anche essere utile: sono emersi con chiarezza i problemi maggiori della formazione andalusa, e sapere dove intervenire è il primo passo per migliorare.

 
 


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La sfida tra Monaco e Paris Saint-Germain non è più una partita tra corazzate economiche dopo l’inversione di rotta nell’approccio al calciomercato del club monegasco, ma è tuttora uno dei big-match della Ligue 1, tra due squadre con identità diverse e definite.

 

Dopo la dolorosa eliminazione dalla Champions League, Leonardo Jardim ha dovuto salutare due colonne di quella che nella scorsa stagione era stata la miglior difesa nel campionato francese: il centrale Abdennour è andato al Valencia, ovvero alla squadra che ha negato al Monaco l’accesso ai gironi di Champions, mentre il terzino sinistro Kurzawa è passato proprio al PSG. L’allenatore portoghese ha quindi schierato una retroguardia composta da destra a sinistra da Fabinho, Raggi, Carvalho ed Echiéjilé. Accanto a Toulalan, Adama Traoré ha preso il posto di Moutinho, indisponibile ed al centro di voci di mercato, con il trio Bernardo Silva, Lemar e El Shaarawy a giostrare alle spalle di Martial.

 

Grazie al recupero dall’infortunio di Ibrahimović, Blanc ha schierato la formazione tipo della scorsa stagione, con l’eccezione di Trapp tra i pali, in attesa di integrare nei meccanismi i nuovi acquisti Kurzawa (infortunato) e Di Maria, inizialmente in panchina in favore di Lucas.

 

Fin dalle prime battute, i parigini hanno dominato il possesso palla, e come già visto nella scorsa stagione il 4-2-3-1 di Jardim diventava un 4-4-2 in fase di non possesso: il trequartista, in questo caso Lemar, si unisce a Martial in avanti, attuando una sorta di presidio del centro, più che un vero pressing, costringendo i difensori centrali a giocare lungo o a passarsi il pallone tra loro. A loro volta, i due esterni si stringevano, posizionandosi sul centro-destra e centro-sinistra, dove potevano marcare i terzini avversari o fornire supporto alla coppia di centrocampisti centrali.

 


In fase difensiva il Monaco si dispone con un 4-4-2, con Lemar che si pone accanto a Martial, mentre le due ali Bernardo Silva e El Shaarawy si stringono. In risposta Motta si abbassa in mezzo ai centrali e ristabilisce la superiorità numerica nella propria metà-campo, ed Ibrahimović abbassatosi a sua volta ricostituisce nuovamente un terzetto a centrocampo.



 

Ma il PSG ha preso presto le dovute contromisure, con Thiago Motta e Verratti che, a turno, attuavano una vera e propria salida lavolpiana: in fase di costruzione dalla difesa, Thiago Silva e David Luiz si allargavano e uno dei due centrocampisti italiani si abbassava tra di loro, mentre l’altro rimaneva a supporto, fornendo un ulteriore collegamento nel gioco, mentre i terzini Aurier e Maxwell si alzavano sulla linea dei centrocampisti.

 

Superata la metà-campo, la squadra di Blanc manteneva la superiorità numerica grazie a Ibrahimović che si posizionava da trequartista con Lucas e Cavani più centrali, oppure grazie a Lucas che agiva spesso sul centro-destra, sia per contribuire alla manovra che per concedere all’intraprendente Aurier maggiore libertà e spazio sulla corsia.

 


Stavolta è Verratti ad essersi abbassato in mezzo ai centrali. Ibra mantiene la sua posizione di centravanti ed è Lucas a posizionarsi da interno destro di centrocampo, con i terzini liberi di sganciarsi ed approfittare dello spazio a disposizione sulle fasce.



 

Quando il PSG attaccava, il Monaco cercava di spingerlo verso le fasce compattandosi al centro, in attesa di poter sfruttare un passaggio sbagliato per lanciare in contropiede i suoi velocisti. Ma l’errore di distribuzione non è praticamente mai arrivato e il possesso palla degli uomini di Blanc non ha lasciato spazio alle ripartenze dei calciatori del Principato.

 

Il Monaco si è difeso bene nel primo tempo, senza però mai riuscire ad impensierire Trapp, che in tutta la partita ha subito solo due tiri, entrambi di El Shaarawy.

 

In apertura di ripresa, quando sembrava che i padroni di casa avessero finalmente preso coraggio, Cavani di testa ha trasformato in rete il cross dalla sinistra di Matuidi. La partita si è definitivamente messa in discesa e Cavani ha firmato la doppietta quando, sul filtrante di Ibrahimović, Raggi ha lasciato la posizione in malo modo e Fabinho non ha nemmeno abbozzato la diagonale. I nuovi entrati Di Maria e Lavezzi hanno confezionato il 3-0, con il sublime passaggio in profondità del “Fideo” che ha messo l’ex Napoli a tu per tu con Subasic.

 


Non male come biglietto da visita.



 

Il risultato e l’andamento del match hanno perfettamente evidenziato il divario che c’è ad oggi, tra il PSG e una delle sue più accreditate rivali. I campioni di Francia hanno letteralmente dominato il match in ogni settore di gioco senza lasciare nulla agli avversari. Al Monaco manca ancora qualcosa e se Coentrao è già arrivato per sostituire Kurzawa, la coppia formata da Raggi e dal 37enne Carvalho non è sembrata all’altezza.

 

Jardim ama attaccare lungo le corsie, ma in una partita come questa avrebbe fatto comodo un riferimento centrale, magari proprio Guido Carrillo, attaccante argentino arrivato quest'estate dall'Estudiantes, entrato nella ripresa. La difficoltà a creare occasioni è stata ancora una volta lampante: la cessione di Martial non è un buon segnale per l’allenatore portoghese.

 

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