
Lazio – Saint-Étienne
di Francesco Lisanti (@effelisanti)
È più bella la vittoria della Lazio o la sconfitta del Saint-Étienne? Oggi la risposta è semplice: la Lazio è prima nel girone, il Saint-Étienne ultimo. La Lazio prosegue nell’impressionante striscia di cinque vittorie su cinque partite giocate in casa, il Saint-Étienne perde ancora dopo i quattro gol subiti domenica dal Nizza. Se il tabellino regala solo sorrisi, la prestazione decisamente meno: sul medio termine, dai biancocelesti ci si aspetta un altro tipo di risposta.
Christophe Galtier, allenatore dei Verts (i verdi), aveva preparato con attenzione la partita, venendo premiato dopo pochi minuti dal fortunoso gol di Sall, malamente perso da Mauricio su un calcio d’angolo. Il tecnico francese ha presentato un 4-2-3-1 con il diligentissimo Corgnet avanzato dietro l’unica punta Beric, e il suo piano ruotava intorno a due idee che hanno effettivamente messo in crisi lo sviluppo dell’azione laziale: Corgnet spostato nella zona di Biglia a impedirgli di offrire passaggi puliti, e il costante sacrificio delle ali Hamouma e Roux, di modo che la Lazio non si trovasse mai in superiorità sulle fasce, territorio di Keita e Felipe Anderson.

Le difficoltà della Lazio nel controllare il possesso. La linea di passaggio a Biglia è schermata da Corgnet, Onazi non si muove, Sergej chiede un pallone impossibile. Basta lancerà lungo nel nulla.
Così il Saint-Étienne in fase di non possesso si è schierato in un 4-4-2 di grande ampiezza, potendo contare sulle difficoltà strutturali della Lazio nel passare dal centro del campo, che si trovava sostanzialmente svuotato. I preoccupanti limiti tecnici nel muovere la palla mostrati dai padroni di casa hanno provato l’efficacia della strategia di Galtier.
I biancocelesti sono stati pazienti e poi abili a sfruttare la prima vera occasione in cui Felipe Anderson si è trovato 1 contro 1 in campo aperto sul diretto avversario. Sul cross di Felipe, respinto male dalla difesa francese, Onazi, inseritosi con i tempi giusti, ha trovato il gol del pareggio.
Già prima del pareggio, la contromossa di Pioli era stata abbassare Biglia stabilmente in mezzo ai centrali, così da costringere Corgnet a scegliere se seguirlo così alto o rimanere in posizione, e di conseguenza abbassare Milinkovic-Savic a centrocampo. La Lazio ha immediatamente conquistato metri di campo, senza però riuscire a essere pericolosa, principalmente per i problemi di Mauri ad agire da unica punta. Con grande facilità la linea difensiva francese riusciva a metterlo in fuorigioco, o comunque ad anticiparlo sempre sulle palle alte. L’ingresso di Matri ha solo parzialmente migliorato la fase offensiva: a Pioli serve immediatamente una prima punta in forma.

La soluzione Mauri-punta poteva essere studiata meglio. Qui con due rapide verticalizzazioni la Lazio sorprende il Saint-Étienne, ma Mauri si è mosso “da centrocampista” e Radu sarà costretto a tornare indietro, nonostante lo spazio a disposizione.
Questa è stata la partita fino all’entrata in scena dell’arbitro Özkahya, che al 33esimo espelle Beric per una gomitata, probabilmente involontaria, a Mauricio, costretto a uscire a metà primo tempo.
Galtier ha rimediato muovendo l’ala destra Roux al centro, l’ala sinistra Hamouma a destra e il trequartista Corgnet a sinistra (poi ha reinvertito le fasce nel secondo tempo). L’equilibrio che i Verts hanno saputo trovare è stato notevole: 4-4-1 in fase di non possesso, rinunciando soltanto al pressing su Biglia, da questo momento in poi assoluto dominatore della gara, e una specie di 3-5-1 una volta recuperata la palla, sfruttando le grandi capacità motorie del terzino sinistro Polomat, e l’intelligenza di Corgnet, sempre pronto a inserirsi in zona centrale e offrire un supporto alla punta isolata Roux.
In qualche modo la Lazio ha vinto una gara delicata, capitalizzando l’espulsione di Beric, l’errore di Ruffier (un’uscita scomposta capitalizzata dal sinistro di Hoedt) e poi un’idiozia di Sall, ingannato dalla rapidità di Felipe Anderson e meritatamente espulso. Rimane l’impressione che la squadra viaggi al ritmo di Biglia e Felipe Anderson, e che avrà sempre problemi contro le squadre che si sistemano in modo da limitarne il talento. Onazi e Milinkovic-Savic migliorano partita dopo partita, ma sono ancora troppo incompleti per prendersi quel tipo di responsabilità. Pioli avrà tempo per rifletterci, con la tranquillità dei 4 punti e del primo posto in un girone equilibratissimo.
Legia Varsavia – Napoli
di Flavio Fusi (@FlaFu_tbol)
Nelle sue prime sette partite da allenatore del Napoli, Sarri non era ancora ricorso al turnover, nemmeno in Europa League, competizione in cui Rafa Benítez aveva abituato i tifosi partenopei a vedere in campo vere e proprie formazioni B. Del resto il tecnico toscano era arrivato sotto il Vesuvio con la fama di un allenatore poco propenso alla rotazione dei propri titolari, fatto non sorprendente, visto che l’Empoli non aveva gli impegni del Napoli né una rosa lunga come quella del club di De Laurentiis.
Per ora, l’affidarsi a un nucleo ristretto di titolari è stato utile a cementare perlomeno le basi del suo stile di gioco e nel cercare determinati punti fermi, considerando che non tutti gli elementi della rosa posseggono caratteristiche funzionali al suo sistema. In questo senso la partita con il Legia può essere considerata un buon test, visto che Sarri, per la prima volta in stagione ha rinunciato in un colpo solo a Reina, Albiol, Hysaj, Hamsik e Higuaín, i cinque elementi sempre titolari finora, oltre a Insigne (a cui sono stati risparmiati solo i primi 75 minuti della partita con il Brugge), in funzione della sfida di domenica con il Milan.
Oltre all’esordio di Gabriel tra i pali si sono rivisti Maggio e Chiriches in difesa. Valdifiori in regia si è ripreso il ruolo da cui sembra averlo scalzato Jorginho, con ai fianchi Allan e David López. Il tridente offensivo ha visto Callejón e Mertens rispettivamente a destra e sinistra, con Gabbiadini al centro.
L’approccio degli azzurri è stato quello di una squadra consapevole del divario tecnico con l’avversario e desiderosa di controllare la partita. Ma il buon ritmo di gioco delle prime battute è via via calato, anche a causa della fisicità dei padroni di casa, decisi a giocarsela sul piano della corsa e dell’intensità. I polacchi si sono dimostrati bravi nelle marcature (anche a uomo), situazione in cui potevano far valere la superiore stazza e forza fisica, soprattutto contro i due esterni Mertens e Callejón. L’allenatore Berg ha schierato i suoi a specchio, con la sostanziale differenza del particolare ruolo di Pazdan. Il numero 2 del Legia agiva da centrocampista davanti alla difesa in fase di possesso palla, ma quando il possesso era del Napoli si abbassava in difesa, spesso anche alle spalle della linea a 4, agendo di fatto da libero.

Nella propria metà campo il Legia difende con un 5-4-1, con Pazdan che si abbassa in linea con gli altri difensori, se non addirittura in posizione di libero, tenendo sempre d’occhio Gabbiadini.
A Gabbiadini è stato riservato un trattamento particolare, con l’attaccante ex-Samp che veniva praticamente sempre marcato a uomo, da uno dei centrali oppure da Pazan stesso. Inoltre, nel tentativo di non compromettere la propria struttura difensiva, gli uomini di Berg preferivano buttare via il pallone calciando lungo, piuttosto che esporsi al pressing dei giocatori del Napoli. La fase offensiva gravava principalmente sulle spalle di Prijovic, volenteroso e mobile attaccante svizzero (ma di origine serba) di 190 centimetri, principale destinatario dei palloni lunghi, e sugli esterni Trickovski e Kucharczyk, non in possesso di grandi qualità tecniche, ma almeno della corsa e della personalità necessaria a proporsi in dribbling.
Un sistema difensivo come quello del Legia è vulnerabile contro giocatori veloci e in grado di combinare nello stretto come quelli del Napoli, ma tali situazioni sono state create poco frequentemente o comunque in qualche modo disinnescate dai polacchi.
Il secondo tempo sembrava preannunciarsi complicato per i partenopei, ma ad appena 7 minuti dal rientro in campo, il Napoli è riuscito a sbloccare la partita. Un gran lancio di Valdifiori ha pescato Callejón sulla fascia destra, abile a fintare il movimento a venire incontro per poi attaccare la profondità alle spalle del terzino sinistro Brzyski. Gabbiadini ha portato fuori dall’area il suo marcatore, il solito Pazdan, e Mertens ha coronato la grande azione con il taglio davanti a Rzezniczak che gli ha permesso, di testa, di segnare il gol del vantaggio.
Gol che ha stanato il Legia e Berg, costringendolo a proporre una difesa più alta e un atteggiamento spavaldo, di cui ha approfittato il subentrato Higuaín, bravo a combinare con l’altro neo-entrato El Kaddouri e chiudere la partita con il gran tiro del 2-0, dopo aver disorientato praticamente tutta la difesa del Legia danzando al limite dell’area di rigore.
Il gol di Mertens e la perla di Higuaín hanno regalato a Sarri la prima vittoria esterna della sua gestione: l’ideale antipasto prima del big match di San Siro contro il Milan.
Belenenses – Fiorentina
di Lorenzo De Alexandris
La diversa esperienza in campo internazionale delle due squadre (i portoghesi sono alla prima partecipazione alla fase a gironi di Europa League), e la differente forma con cui si avvicinavano al match, con la Fiorentina addirittura prima in classifica e il Belenenses pochi punti sopra la zona retrocessione, lasciavano immaginare una partita senza storia, come il campo ha poi confermato.
I due allenatori si conoscevano e anche i confronti precedenti erano stati vinti da Paulo Sousa. L'ex giocatore della Juventus, ai tempi del Videoton, aveva infatti sconfitto lo Sporting Lisbona di Sá Pinto, causandone l'esonero anticipato.
La Fiorentina che si presenta allo Estádio do Restelo di Lisbona è sfacciata e cosciente del momento che sta vivendo. Ha fatto scorrere i 90 minuti di questa seconda giornata con la leggerezza di un amichevole estiva, alternando fasi di pressione e ritmi intensi, come nei primi 30 minuti, a un'insolita consapevolezza di guidare l'incontro alla velocità di crociera preferita. Paulo Sousa ha mostrato ancora una volta una notevole duttilità tattica, che gli permette nuove interpretazioni di gioco ogni gara. In questo senso rappresenta la novità più interessante del nostro campionato.
A Basilea ha fatto bene in Champions con il 4-3-3, a Firenze ha riproposto questo modulo, ma anche il 4-2-3-1, e sta usando spesso anche il 3-4-2-1. Ieri sera ha optato per un atipico 3-5-2. La difesa per caratteristiche è già sbilanciata: i due centrali a far coppia con Astori sono stati due terzini, Marcos Alonso e Tomovic. Nel corso del match con l'ingresso di Badelj, Paulo Sousa ha abbassato nella linea dei tre Mario Suárez, autore di un’ottima prestazione (da centrale difensivo credo sia meglio rivederlo in un match più probante).
A centrocampo le novità e le migliori notizie. Sulle fasce Bernardeschi e Rebic, da mezzali Mati Fernández e Vecino. Quest'ultimo, almeno nel primo tempo, ha fatto impazzire il 4-4-2 bloccato dei portoghesi. Le linee strette del Belenenses che cercavano di ingabbiare Rossi in appoggio a Babacar, venivano sistematicamente rotte dagli inserimenti sul centrodestra dell'ex Empoli, che assieme a Pepito e Rebic creavano una superiorità che il solo Filipe Ferreira sulla sinistra non riusciva a gestire. Il primo gol lo segna Bernardeschi, ma è frutto proprio di questo lavoro sul lato opposto.

Inserimento di Vecino, il leitmotiv del primo tempo viola.
Il secondo gol mostra un altro aspetto caro a questa Fiorentina di inizio stagione: il pressing alto. Nei rari casi in cui la squadra viola, in particolare nel primo tempo, non ha gestito il pallone (percentuali bulgare con il 73% di possesso palla), ha preferito alzare le linee restringendo il campo per la giocata avversaria. Suárez ha di certo interpretato al meglio il ruolo, avendolo in parte già provato con Simeone a Madrid. È lui che intercetta il pallone che giunge poi sui piedi di Babacar, a cui il Belenenses in uscita concede spazio al limite.

Subito dopo la palla rubata, impossibile non fare male all'avversario.
Nel secondo tempo la Fiorentina ha mantenuto il controllo della partita. Dopo le prime difficoltà con gli inserimenti di Kuca sulla sinistra alle spalle di Rebic, Paulo Sousa ha allentato la pressione del 3-3-4 in fase di possesso, rendendolo un vero e proprio 3-5-2: ha alzato a sinistra Alonso inserendo Kuba. Equilibri ristabiliti, nessuna sofferenza e due gol nel finale.
Nella trasferta portoghese dei viola c’è una notizia persino più bella della vittoria. Il gol per ogni spettatore/tifoso è il simbolo, l'acme della gioia e immaginiamo che anche per i calciatori, in special modo per un attaccante, sia così. I 501 giorni dall'ultima rete di Rossi hanno subito portato l'attenzione su quell'ultimo minuto di gioco regolamentare: l'appoggio di nuca di Pepito al centro, palla di ritorno nello spazio di Badelj, solita freddezza sotto porta e gol dello 0-4.
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Lui invece ha ristabilito il focus della sua prestazione su un altro aspetto: «Ho pensato più ai 90 minuti che al gol, giocando il gol arriva sempre». Nella carriera di un giocatore di quel livello non può contare solamente una rete ininfluente contro i modesti portoghesi del Belenenses, ma la lungimiranza, la consapevolezza di aver aggiunto con questi 90 minuti un tassello in più per ricostruire ciò che quasi due anni fa la Fiorentina, la Nazionale italiana e Rossi stesso avevano perduto. «È una bellissima serata», ha detto ieri Pepito, come dargli torto.