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Fondamentali Champions: terza giornata
22 ott 2015
Alcuni spunti tattici da Manchester City - Siviglia, Arsenal - Bayern Monaco e PSG - Real Madrid.
(articolo)
15 min
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Manchester City – Siviglia

di Lorenzo De Alexandris

La sfida tra City e Siviglia, oltre a delineare la seconda forza nel girone della Juventus, era anche un test per valutare l’evoluzione europea del Manchester City. La squadra di Pellegrini alla fine ha vinto, ma ha dimostrato di avere ancora molte difficoltà. Il Siviglia, grazie all'intensità e alle sue idee chiare, ha dimostrato di essere molto più organizzato degli avversari.

Il City senza Clichy, Delph, Agüero e Silva, e con Kolarov e Kompany in panchina, si sistema in campo con una sorta di 4-4-2, in continuo mutamento verso un 4-2-4. La coppia centrale è composta da Otamendi e Mangala, mentre insolitamente Sagna gioca sulla sinistra. Fernandinho e Yaya Touré fungono da cerniera a centrocampo, mentre De Bruyne a sinistra e l'ex Navas accompagnano i due attaccanti Sterling e Bony. Qui c'è il primo nodo tattico della partita, che ha praticamente impedito al City di arrivare pericolosamente al tiro per circa 80 minuti. L'inglese e l'ivoriano non sono riusciti a dialogare tra loro e non hanno dato profondità agli attacchi dei Citizens. I due attaccanti sono diventati facili prede della coppia difensiva Rami – Kolodziejczak.

Le difficoltà dei Citizens a causa della posizione piatta di Sterling e Bony: nessuno detta il passaggio e il giro palla degli uomini di Pellegrini è stagnante.

Il Siviglia di Emery ha risposto invece con una squadra schierata con il solito 4-2-3-1 e organizzata secondo un’identità tattica molto precisa. Nel doble pivote di centrocampo è fondamentale il ruolo di Krychowiak, vero equilibratore degli andalusi. È il primo a toccare il pallone che esce dalla difesa, imposta senza forzare la giocata (94% di precisione, 47 passaggi completati su 50) e cerca di non perdere mai la posizione limitando (quasi allo zero) le sortite offensive. In molte situazioni di possesso si abbassa nella fase iniziale dell'azione tra i due centrali, permettendo a Coke e a Trémoulinas, i due terzini, di alzarsi e permettere un inizio azione fluido.

Iborra, l’altro centrale di centrocampo, si pone quasi sempre dieci metri più avanti del polacco, con il compito di aumentare l'intensità offensiva della squadra, sopperendo ai limiti evidenti di inserimento da parte di Banega, che al contrario tendeva ad abbassarsi. L’argentino, una delle tre mezzepunte dietro Gameiro, insieme a Vitolo (a destra) e Konoplyanka (a sinistra), ha avuto molte difficoltà nel generare superiorità tramite i suoi movimenti. Si è limitato a giocate per lo più semplici, che non hanno inciso in maniera determinante sulla fase offensiva andalusa.

La posizione schiacciata di Krychowiak e quella bassa di Banega (addirittura Iborra è fuori inquadratura).

Il gol del vantaggio andaluso, siglato da un ottimo Konoplyanka, nasce da una situazione fortuita, ma che ha rappresentato il leitmotiv di tutto la prima frazione. Il Siviglia ha giocato prevalentemente sulla destra, per sfruttare le difficoltà di Sagna da terzino sinistro. La densità che si è generata su quella fascia è stata facilitata poi dai movimenti di Gameiro, capace di attirare l'attenzione dei due centrali Citizens e liberare spazi per il gioco dei trequartisti.

Così al trentesimo la palla ha viaggiato da Banega a Vitolo, che ha servito in area Konoplyanka, libero sul dischetto. Una catena perfetta che ha però sofferto la giornata non illuminante dell'argentino. Nel secondo tempo ciò che il Siviglia aveva costruito sul suo lato destro si è spostato a sinistra. Konoplyanka ha sostanzialmente attirato tutti i palloni andalusi e assieme a essi ha fatto orbitare attorno a lui sia Vitolo che il subentrato Krohn-Dehli, il cui ingresso è stato necessario per dare movimento, rapidità e dribbling anche nella zona centrale del campo.

Il City ha sofferto terribilmente l’organizzazione tattica del Siviglia. Si è presentato con una linea difensiva bassa e incapace di aggredire nei primi 45 minuti. Il gol del pareggio è frutto di una giocata di Touré, che sovrasta fisicamente il mal capitato Kolodziejczak, non di certo il più piccolo in campo, ottenendo il fondo e l'assist per Sterling. Poi i rimpalli tra Rico, Bony e Rami hanno fatto il resto.

La svolta tattica della partita, come ha riconosciuto lo stesso Pellegrini, è stata la sostituzione al 75' di Fernando per Bony. Via una punta, dentro un centrocampista di contenimento. La scelta di per sé conservativa ha portato a tre conseguenze positive: ha permesso a Touré di giocare da mezzapunta, a Sterling di allargarsi sulla fascia sinistra e ha posto De Bruyne nell'insolita posizione di attaccante centrale. La superiore intelligenza tattica del belga ha fatto il resto: la verticalità, prima assente, è aumentata grazie alla sua mobilità sul fronte offensivo, che ha messo in difficoltà non solo la coppia centrale, ma in particolare Krychowiak, capace fino a quel momento di anticipare tutti i passaggi verso le due punte.

La situazione del raddoppio nasce proprio da una lettura sbagliata del polacco (la prima del match), che ha permesso una ripartenza di 40 metri di Touré, il quale ha premiato l'ennesimo splendido movimento verso l'esterno di De Bruyne. Il belga, come al solito, sceglie una soluzione tecnicamente perfetta (rasoterra e forte sul secondo palo) per infilare il portiere avversario.

L'unico errore del polacco fuori posizione e l'intuizione di Pellegrini con lo spostamento di Touré.

Il risultato dell’Etihad è ingiusto per quanto visto in campo e anche per la differente organizzazione tattica dimostrata dalle squadre, ma il City ha risorse individuali talmente grandi e diversificate da poter vincere le partite senza averle interpretate in modo corretto. Con le individualità però si possono vincere alcune partite, non un torneo così competitivo come la Champions League: l’evoluzione europea dei Citizens sembra ancora lontana.

Arsenal – Bayern Monaco

di Daniele V. Morrone (@DanVMor)

La bellezza del calcio sta nel fatto che non esiste una sola ricetta giusta per vincere. L’unico dogma è di segnare un gol in più dell’avversario prima del fischio finale: l’ennesima dimostrazione è arrivata in quella che è stata forse la più bella partita dal punto di vista tattico di questi gironi di Champions. Anche un esteta del calcio come Wenger (ormai convinto da anni che il calcio di possesso sia il modo giusto per vincere) si è dovuto arrendere all’evidenza che non esiste un modo giusto e che il suo presuntuoso piano gara, che prevedeva di contendere il pallone al Bayern (l’unica squadra in Europa a cui è impossibile farlo), sia naufragato immediatamente.

Il 4-2-3-1 dell’Arsenal con Özil, Alexis e Ramsey dietro Walcott faticava a mantenere a lungo il possesso e a creare pericoli offensivi, soffrendo soprattutto il sistema di recupero palla dei bavaresi. L’unica occasione è stata malamente sciupata da Özil con un tiro fiacco controllato bene da Neuer. L’atteggiamento contemplativo—e l’assenza di un meccanismo di pressing credibile—con cui l’Arsenal affrontava il Bayern in possesso regalava ampio spazio a Xabi Alonso e rendeva i bavaresi sicuri della propria supremazia.

Il Bayern era posizionato in fase di possesso con Douglas Costa e Müller larghi fino a toccare la linea di fondo, Lewandoski al centro, aiutato dall’avanzata di Vidal e da Thiago che gli agiva alle spalle. La gestione offensiva prevedeva la palla giocata presto da Xabi Alonso verso Douglas Costa per l’uno contro uno sull’avversario diretto Bellerín. Il brasiliano vive un momento di forma che gli consente di saltare il diretto avversario con sicurezza matematica (saranno 6 su 7 i dribbling riusciti su Bellerín) e poi mettere la palla al centro per uno tra Lewandoski, e Müller (che taglia senza palla dalla fascia opposta), e con Vidal in attesa dell’eventuale seconda palla.

Il fronte a 4 (più Thiago) con il solo Xabi Alonso davanti alla difesa. Douglas Costa a sinistra è l’arma tattica del Bayern: anche in questo caso Lewandoski si girerà per consegnare il pallone al brasiliano per l’uno contro uno con Bellerín.

Quando in estate Wenger ha speso 14 milioni di euro per prendere Cech è stato proprio per serate come questa, dove l’avversario è forte e la difesa costantemente sotto minaccia: il ceco ha dominato l’area, dando sicurezza alla difesa e tenendo in piedi il reparto nelle varie azioni stritolanti del Bayern. Nella prima fase dell’incontro la squadra di Pep aveva il dominio del pallone e il gol sembrava solo questione di tempo.

Dopo venti minuti Wenger ammette la propria presunzione e decide di cambiare la strategia della squadra, e di fatto anche le sorti dell’incontro. Sistema la formazione con un 4-4-2 con Alexis avanzato accanto a Walcott e Özil posizionato sulla fascia sinistra.

L’alsaziano chiede alla squadra di abbandonare ogni pretesa di possesso e di giocare una partita di transizioni. Lo ripetiamo ormai da tempo: i giocatori a disposizione di Wenger (a eccezione di Özil e Cazorla), per quanto l’allenatore non voglia crederci, sono fatti su misura per un gioco di questo tipo, e infatti l’Arsenal, pur non modificando di una virgola la propria statistica del possesso, dalla mezz’ora inizia a dominare il campo.

Il baricentro basso permette di valorizzare la pericolosità negli spazi di Alexis e Walcott; Özil, abbandonate le velleità di possesso e un gioco eccessivamente orizzontale, si può esprimere in quel che gli riesce meglio: il passaggio chiave. L’unico deputato a controllare il pallone prima della transizione è Cazorla, il resto della squadra gioca a un tocco e in velocità.

La risposta del Bayern alle crescenti occasioni dell’Arsenal (tra cui una con Walcott, che solo davanti a Neuer si vede negato il gol da una parata inumana) è quella di abbassare il ritmo, sperando così di invitare ancora l’Arsenal a giocare con le loro stesse armi. Pur mantenendo il possesso del pallone, ma con Vidal e Müller poco ispirati in fase di definizione e Thiago in quella di creazione, il Bayern non riesce più a creare reali pericoli a Cech. Al contempo il fronte offensivo a quattro più Thiago fa perdere equilibrio, soprattutto nel momento in cui bisogna tamponare le ripartenze dei Gunners. Davanti alla difesa rimane solo Xabi Alonso, non esattamente un intenditore, e le sole letture tattiche di Lahm non possono bastare per mantenere in piedi il reparto.

Nel secondo tempo Pep mette mano alla lavagna, abbassando l’irriconoscibile Thiago al centro: l’obiettivo è sia provare a metterlo più al centro del gioco in fase di possesso sia proteggere Xabi Alonso in quella di non possesso. Il deludente Vidal viene messo più alto a destra, a Müller e Douglas Costa viene chiesto di scambiarsi di fascia spesso e di accentrarsi a piacimento.

Il nuovo assetto garantisce un maggior numero di conclusioni, ma non cambia il tema dell’incontro. Neanche quando al minuto 55 l’infortunio a Ramsey costringe Wenger a far entrare Oxlade-Chamberlin e ad aggiustare quindi la formazione automaticamente sbilanciata dal nuovo entrato: Özil viene bloccato sul centro sinistra per permettere a Chamberlain di aggiungersi ai due attaccanti in fase di contropiede.

Qui si possono vedere sia Thiago spostato accanto a Xabi Alonso, che il 4-4-2 asimmetrico dell’Arsenal con Oxlade-Chamberlain più offensivo rispetto a Özil.

Dieci minuti per capire che anche così l’Arsenal è in grado di controllare la partita e Pep prova l’ultima carta per cambiare le sorti dell’incontro: un 4-3-3 con il giovane Kimmich al posto di Xabi Alonso davanti alla difesa e con Lahm mezzala di possesso per non perdere criterio nella circolazione di palla. Come terzino destro viene schierato Rafinha, che entra al posto di Vidal.

Il gioco diretto dell’Arsenal, che sfrutta i lanci di Cech direttamente nella zona di Özil e Alexis, funziona però benissimo e i Gunners finiscono per essere premiati dal regalo di Neuer, che esce a vuoto e consegna a Giroud (entrato al posto di Walcott) il gol che sblocca la gara. Il 2-0 arriva allo scadere, con Bellerín che si vendica dei primi minuti di sofferenza andando a recuperare un pallone altissimo con uno scatto impressionante in anticipo su Alaba e mettendo poi l’assist per Özil.

Prima della partita Pep aveva dichiarato che chi avrebbe dominato il possesso avrebbe vinto, perché non si può ancora giocare con due palloni. La dichiarazione era chiaramente un invito a giocarsela alla pari con Wenger, sapendo in quel caso di poter vincere il duello. Wenger ci è cascato, ma ha saputo capire in tempo l’errore e costruire in corsa un Arsenal pragmatico che ha meritatamente dominato la partita per un’ora, rinunciando al controllo del pallone e non lasciandosi intimorire dai tentativo di cambio di ritmo dei bavaresi.

Paris Saint-Germain – Real Madrid

di Federico Aquè (@FedAque)

Nelle ultime tre stagioni il Paris Saint-Germain è sempre stato eliminato ai quarti di finale di Champions League. Una volta (l’ultima) è stato battuto nettamente dal Barcellona, nelle altre due si è prima dovuto arrendere alla regola dei gol in trasferta (sempre contro il Barça: 2-2 al Parco dei Principi e 1-1 al Camp Nou), poi non è stato capace di difendere contro il Chelsea il 3-1 del Parco dei Principi, venendo eliminato da un gol di Demba Ba allo scadere.

La stagione appena iniziata rappresenta così l’ennesimo tentativo dei parigini di imporsi nel gotha del calcio europeo e l’obiettivo è arrivare finalmente in semifinale. La squadra, portiere escluso (Trapp ha infatti preso il posto di Sirigu), è praticamente la stessa dell’anno scorso, con un’unica, grande eccezione: Ángel Di María. Decisivo nella Champions League del 2014 vinta con il Real Madrid, l’argentino è potenzialmente un giocatore in grado di spostare gli equilibri e quindi capace di dare al PSG ciò che è mancato per il salto di qualità a livello europeo.

La sfida contro il Real Madrid (probabilmente la più affascinante della fase a gironi, di certo la più ricca) era la prima occasione per misurare le ambizioni europee del PSG, che in Francia sta già dominando e può quindi concentrare i propri sforzi sulla Champions League.

In realtà la partita non è stata un metro di paragone attendibile. Oltre a essere una gara della fase a gruppi, con entrambe le squadre in ottima posizione per il passaggio del turno (due vittorie nette su due per entrambe contro Malmö e Shakhtar Donetsk, peraltro senza subire gol), il Real Madrid era arrivato a Parigi con diverse assenze importanti (Bale, Benzema e James Rodríguez, per dirne solo tre).

Nell’undici di Benítez hanno trovato spazio dal 1’ “riserve” come Jesé Rodríguez e Lucas Vázquez, il cui compito principale era accompagnare Ronaldo nelle ripartenze. Il portoghese era l’ovvio riferimento una volta recuperato il pallone, mentre a gestire i tempi dei contrattacchi era Isco, cui spettava il compito di tenere il pallone per permettere ai compagni di scattare come proiettili davanti a lui.

Il Real ha forzato questa strategia soprattutto nella ripresa, chiusa dal PSG, con il 63% di possesso palla. La squadra madrilena non ha mai davvero contestato il controllo della partita al PSG e per questo non si può dire per i parigini sia stato un match sufficientemente indicativo per valutare le loro possibilità di arrivare fino in fondo. Da questo punto di vista la trasferta al Bernabéu potrà dare maggiori indicazioni.

Il PSG si è trovato a fare una partita simile a quelle che gioca in Ligue 1. Controllo del pallone per gran parte del tempo (in tal senso è difficile trovare una coppia migliore di quella formata da Thiago Motta e Verratti: messe insieme, le combinazioni tra i due hanno sfiorato gli 80 passaggi), circolazione della palla sicura in attesa di trovare il momento giusto per affondare.

Forse è proprio questo il dato più significativo della serata: il PSG ha faticato a trasformare il proprio dominio nel possesso palla in occasioni da gol e il Real, per le chance avute, avrebbe meritato di vincere più dei parigini. È importante notare come la squadra di Benítez, pur impostando una gara basata sulle ripartenze, abbia tentato più passaggi nella trequarti avversaria rispetto al PSG (145 a 122).

È un punto su cui Blanc dovrà concentrarsi in maniera particolare perché la sua squadra diventi una reale pretendente alla Champions. Il PSG fa un’ottima circolazione bassa e ha le armi per evitare il pressing offensivo degli avversari (oltre a Thiago Motta e Verratti, ci sono due difensori tecnici come Thiago Silva e David Luiz, assente contro il Real e sostituito da Marquinhos), ma deve migliorare in fase di rifinitura.

Viene quindi da porsi delle domande sulle scelte di Blanc. Di María, anche contro il Real, ha giocato da ala destra nel tridente completato da Ibrahimovic e Cavani. In questo modo lo sviluppo del gioco si è orientato ancora di più da quella parte: il passaggio in diagonale del “Fideo” verso Cavani o Matuidi è stata una soluzione che si è vista più volte, specie nel primo tempo.

Palla a Di María, Matuidi ha preso il posto di Ibra, Cavani taglia da sinistra. L’argentino prova a servire Matuidi, ma il passaggio è leggermente lungo.

Il punto è che Di María è un accentratore, così come Ibra, e giocando vicini finiscono spesso per togliersi palloni a vicenda. Molte volte contro il Real hanno finito per fare lo stesso movimento e chiedere gli stessi palloni, in una sorta di sfida a chi debba influenzare di più il gioco del PSG.

Blanc, oltretutto, deve fare i conti con il fatto, inevitabile, che Ibra sta invecchiando e la sua mobilità sta diminuendo. È capitato così che la squadra non abbia sfruttato occasioni di questo tipo:

Il PSG esce bene dal pressing del Real e Maxwell ha tempo e spazio per preparare la giocata. Di María taglia da destra attaccando la profondità, Cavani si propone in appoggio, Ibra resta fermo quando avrebbe potuto ricevere agevolmente alle spalle di Casemiro e puntare la difesa del Real. Maxwell alla fine lancerà lungo per Di María, ma la palla verrà recuperata dai Blancos.

Il vantaggio del PSG è che Blanc può sfruttare le partite in Ligue 1 come test alla ricerca dell’equilibrio e dell’intesa tra Ibra e Di María, da cui è facile pronosticare che dipenderanno le sorti della squadra in Champions League. Se riusciranno a dividersi palloni e spazi allora il PSG potrà migliorare la pericolosità in fase offensiva e dire davvero dire la sua fino in fondo.

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