Tre punti cruciali per sostenere le ambizioni di un’intera stagione per l’Atlético, buona impressione ma insidie dietro l’angolo per la Juventus. I bianconeri hanno tenuto il campo con una certa personalità, e il possesso-palla proposto non è stato solo conseguenza scontata delle preferenze tattiche dell’Atlético (che il pallone spesso e volentieri lo lascia all’avversario), ma una dimostrazione del fatto questa squadra sa sempre cosa fare col pallone, anche contro undici giocatori che, di norma, a casa loro, per intensità e superiorità tattica irrisoria, tenderebbe a cancellarti dal campo.
D’altro canto però la Juve ha creato pochino, e qui l’Atlético conferma la sua forza: anche in una fase di totale ridefinizione dei propri meccanismi offensivi (tradotto in parole povere: in più di un momento questi non mettono due passaggi in fila), fisiologica dopo i pesanti cambi estivi, Simeone dopo un paio di sbandamenti contro Olympiacos e Celta torna ad affidarsi con convinzione al suo bunker difensivo. Noi intanto gol non lo prendiamo, che poi qualcosa là davanti succede, magari su calcio piazzato (in questo settore, l’Atlético ha superato da tempo il confine che separa la semplice “tattica” dalla “creazione artistica”, vedi l’inverosimile schema del 2-0 al Sevilla).
E la Juve deve anche stare attenta a fare possibilmente tutti e 6 i punti contro l’Olympiacos, perché l’ultima gara del girone, il ritorno con l’Atlético, potrebbe venire giocata su presupposti molto diversi e molto più pericolosi: supponendo il pieno dei colchoneros col Malmö, potrebbe essere un Atlético non costretto al lungo parto del gol-vittoria, ma con due risultati su tre a favore, la squadra forse più difficile da affrontare di tutto il calcio europeo in una situazione simile.
L’Atlético dopo il mercato estivo ha un problema: è passato da un attaccante autosufficiente, Diego Costa, a un attaccante tremendamente lento che ha bisogno del supporto di tutta la squadra, Mandžukić. Gli devi avvicinare i compagni piantando le tende nella metacampo avversaria, e le soluzioni possibili sono due: o una manovra più elaborata e corale, oppure un pressing alto.
Nelle due partite precedenti, a partire dal secondo tempo di Almería e nella vittoria contro il Sevilla, Simeone è passato al 4-5-1 (a momenti 4-4-1-1…comunque, più gente lì a passarsela, la sostanza è questa) forse proprio per cercare questa manovra più elaborata: qui ripropone il modulo ma forse l’intenzione è più difensiva, per pareggiare i tre centrocampisti centrali della Juventus, e comunque la strategia scelta è chiaramente il pressing alto: gli esterni Arda Turan (sinistra) e Raúl García (destra) vanno infatti a turno a pressare il terzo difensore centrale (Cáceres o Chiellini) a seconda del lato dove la Juve fa circolare il pallone; a loro volta, contando sul fatto che la Juve gioca con un solo esterno di ruolo e quindi non temono nessuno alle loro spalle, Juanfran (terzino destro) e Ansaldi (terzino sinistro) scalano in maniera molto aggressiva rispettivamente su Evra e Lichtsteiner, mentre le mezzali Koke e Saúl Ňiguez seguono i movimenti di Pogba e Vidal, “imbastardendo” un po’ la zona pura di Simeone.
Questo pressing però non funziona, un po’ perché non sempre la coordinazione fra esterno e terzino rojiblanco è perfetta, e molto perché la Juve dimostra una qualità da squadra competitiva anche a livello europeo, superando spesso il pressing con una circolazione laterale al tempo stesso priva di rischi ed efficace nell’installarla nella metacampo avversaria. Uno dei centrocampisti dell’Atlético esce su Marchisio, ma alla Juve non interessa, perché in assenza di Pirlo la palla non serve che passi dal centro nelle prime fasi della manovra: Marchisio interviene solo successivamente come appoggio o copertura, ma la responsabilità dell’uscita del pallone dalla metacampo difensiva ricade sugli esterni. Lichtsteiner ma soprattutto Evra, abituato a certi palcoscenici e con la sicurezza per affidare palloni puliti al centrocampo.
Va bene che in realtà qui la palla poi Evra la perderà, ma la situazione di vantaggio della Juventus nella circolazione laterale è chiara: Evra avrebbe il tempo per ricevere e servire Pogba (il terzino dell’Atlético è pure fuori quadro!). Questo disinnesca il pressing alto dell’Atlético (Arda e Raúl García su Cáceres e Chiellini).
Una volta assestata la partita nella propria metacampo, per l’Atlético emerge il solito problema: il campo è troppo lungo, ancora di più con il 4-5-1 che appiattisce dietro i colchoneros, togliendo gli appoggi oltre la linea della palla necessari a ripartire. L’Atlético di Filipe Luis e Diego Costa aveva come punto forte la fascia sinistra, dove con la partecipazione frequente di Arda o Koke creava superiorità o semplicemente “addensava” il fraseggio palla a terra per far guadagnare metri alla squadra.
Nel primo tempo di ieri si contano solo due (letteralmente due) momenti in cui l’Atlético ha portato palla sulla fascia sinistra con Arda, Koke e Ansaldi a creare una potenziale superiorità, ma le caratteristiche del terzino sinistro non sono più quelle di un Filipe Luis, e nemmeno Mandžukić, attaccante che agisce quasi esclusivamente sull’asse verticale senza mai svariare lateralmente, aiuta a dare consistenza a questi possessi troppo sporadici per evidenziare il potenziale squilibrio del 5-3-2 juventino (se il terzino che avanza abbassa la posizione di Lichtsteiner o Evra, allora Vidal o Pogba dovranno defilarsi molto per coprire, lasciando inevitabilmente spazio al centro).
E questi possessi sporadici peraltro si limitano a dare tempo a Raúl García per tagliare al centro e aggiungersi in area di Mandžukic per lottare sulle immancabili, e generalmente infruttuose, palle alte. Nemmeno Saúl Ňiguez, determinante nelle ultime due gare, in questo contesto può esibire il suo potenziale di giocatore “totale”, a tutto campo, limitandosi al lavoro sporco.
Non si capisce ancora l’insistenza di Simeone su questo attacco pesante che limita le soluzioni effettivamente percorribili: con Griezmann al posto di uno dei due carri armati, hai maggior varietà sia che tu decida di elaborare di più a difesa avversaria schierata (per il continuo movimento, gli appoggi e la precisione nel primo tocco del francese) sia nel caso in cui tu accetti che la Juve superando il tuo pressing alto ti costringa ad aspettare e giocare in contropiede (magari ripiegando coi 4 centrocampisti che, a differenza di ieri, non escono dalla linea e lasciando due punte davanti per avere più appoggi), cosa fisicamente impossibile con Mandžukić e Raúl García.
Solidarietà al povero Arda Turan. Non ha nessuno a cui passarla per ripartire in contropiede, e la palla viene facilmente recuperata dalla Juventus. Il punto interrogativo è lo spazio che l’anno scorso in queste situazioni occupava quel bufalo di Diego Costa e che quest’anno, con diverse caratteristiche, potrebbe occupare Griezmann.
Comunque, la Juve ha la superiorità ma non il dominio, perché il controllo del centrocampo non solo non si traduce in occasioni nell’area avversaria, ma nemmeno in cose che gli assomiglino tipo passaggi pericolosi che filtrano nella trequarti avversaria. Qui l’Atlético ha una tenuta nervosa fantastica, perché anche nella frustrazione del non poter ripartire mai i suoi soldatini ripiegano compatti (la partecipazione difensiva di Mandžukić e Raúl García è encomiabile, questo sì), e soprattutto Miranda con l’aiuto di Tiago davanti alla difesa limita la possibilità dell’appoggio su Llorente che metta fronte alla porta avversaria Pogba, Vidal e Tévez. Soprattutto l’argentino delude, incapace di trovare sia la posizione che il ritmo per entrare davvero in partita.
Nella ripresa la partita sembra cambiare, perché all’Atlético vengono i “cinque minuti” immancabili al Vicente Calderón, in cui fiuta il sangue, accumula calci d’angolo, calci di punizione e ogni respinta è sua, per un semplice fatto di volontà. Volontà ma anche tecnica, perché l’inevitabile ingresso di Griezmann (per Saúl) qualcosa in più la dà: prima il francese e Arda Turan si piazzano rispettivamente a sinistra e destra (partono larghi per dare il riferimento iniziale ma poi possono svariare), poi intorno al 70’ Arda a sinistra e Griezmann seconda punta, fatto sta che i cambi qualche secondo in più col pallone all’Atlético (necessario per organizzarsi anche alle squadre che non puntano alla superiorità nel possesso-palla) lo danno, e anche un po’ di stress in più al centrocampo della Juve nel coprire in ampiezza.
Sembra il preludio a un dominio colchonero che duri fino al fischio finale, ma la Juve dimostra notevole maturità nel riattivare il proprio possesso-palla: ora Tévez, incapace di incidere a ridosso di Llorente, si abbassa molto e perlomeno aiuta la Juve ad allontanare la pressione dei padroni di casa. Preso atto della scarsa pericolosità in area dell’Atlético (una colpa relativa però, visto che l’Atlético tende a non far creare occasioni neanche per sbaglio un po’ a chiunque), questa maturità nel tornare a controllare il ritmo della partita è un buon segnale da parte juventina.
E che la partita si stava riequilibrando parecchio lo dimostra la dinamica del gol dell’Atlético, episodio decisamente isolato e insolito perché propiziato da una progressione palla al piede di Tiago (cosa che il portoghese avrà fatto un paio di volte negli ultimi 3-4 anni) che porta via anche Evra e libera lo spazio per il cross di Juanfran, sul quale Arda sorprende Lichtsteiner.
Il gol fornisce all’Atlético la motivazione per giocare i peggiori minuti della propria serata: non il solito bunker, ma una ritirata approssimativa a ridosso di Moyá. Tre quarti di campo regalati alla Juve (che prima passa al 4-4-2 con Pereyra, ficcante nei pochi minuti a disposizione, per Cáceres, e poi mette semplicemente dentro tutti gli attaccanti o quasi che ha, Morata e Giovinco) e una paura fottuta nel gestire qualsiasi pallone, che spinge persino Simeone, non certo un cultore del disimpegno elegante, a dare una lavata di campo a Ansaldi quando questi spazza un pallone a casaccio.
Ma chissà, magari anche questo fa brodo: la resistenza nei minuti finali, il pallone recuperato in maniera eroica, un po’ di retorica sparsa strategicamente qua e là possono contribuire a perpetuare la saldezza mentale di questa squadra, l’arma per competere alla pari con squadre molto più dotate. L’obiettivo della Juve è invece acquisire questa convinzione incrollabile anche a livello europeo.