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Flavio Cobolli ai quarti di Wimbledon, che ci crediate o meno
08 lug 2025
Un exploit quasi del tutto inatteso.
(articolo)
7 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Flavio Cobolli ha Brontolo tatuato sulla pelle. Glielo ha regalato sua madre, dice che ha sempre il broncio. È così: Cobolli si aggira per il campo con aria scazzata, si trascina un po’, la racchetta sembra pesargli in mano. Sembra stanco. Ha l’aria del romano reso cinico dalle disfunzioni della città, e logorato dal traffico. Uno che non sembra aspettarsi che niente di buono gli potrà mai capitare.

Quest’aria cupa, direi cinica, gli si addiceva molto quando il 2025 era appena iniziato e non riusciva a vincere una partita. Nemmeno una. Dal primo gennaio al 13 marzo Cobolli non ha vinto partita. Quattro mesi dopo è ai quarti di finale di Wimbledon; la sua prima volta nel torneo più prestigioso, sulla superficie meno preferita. Mentre regolava il veterano Marin Cilic in quattro set, venendo a capo di difficoltà tecniche notevoli, Cobolli sorrideva poco. «So di non essere simpatico in campo». Poi, dopo il matchpoint, si è sciolto in un sorriso e in un abbraccio al suo nutrito angolo sugli spalti. Durante il percorso si è preso scalpi più o meno di prestigio, Mensik e Cilic in particolare. Niente di che, direte voi, ma sono due giocatori che partivano chiaramente favoriti contro Cobolli. Due giocatori più alti, più grossi, col servizio che arroventa i campi; insomma, due che dovrebbero avere vita facile su erba contro di lui.

Cobolli ha gestito la loro potenza con maestria: l’ha assorbita, addomesticata; gli ha girato intorno con scaltrezza, ma anche con tecnica. Senza grandi colpi vincenti nelle mani, Cobolli è sempre costretto a usare la testa - e le gambe, tra le migliori del circuito. L’erba dovrebbe teoricamente premiare i giocatori di potenza, ma finisce per nascondere anche i difetti di quelli che hanno scarsa potenza, ma compensano con acume tattico e precisione dei colpi.

Il suo percorso ci sorprende, ma fino a un certo punto, visto che dietro le sembianze del tennista regolarista, che vende cara la pelle, si nasconde in realtà un pazzo. Un tennista dal rendimento profondamente incostante. Uno che poche settimane fa perdeva da Tirante, e ora giocherà contro Djokovic ai quarti di Wimbledon.

C’è un mistero dentro il tennis di Cobolli, un buco nero che non mi so spiegare del tutto.

Ritorniamo all’inizio del 2025. Cobolli aveva giocato in Australia il suo primo Slam da testa di serie, e a quel punto ha iniziato una discesa che sembrava poter non finire mai. A marzo è dovuto scendere nei Challenger per vincere un match - contro Eliot Spizzirri. La settimana dopo, a Miami, ha perso in tre set da Tirante. Diceva di non essere nella migliore forma, che non aveva fatto la preparazione e questo gli ha pesato. Si era infortunato alla spalla a fine anno, e col calendario congestionato del tennis un piccolo infortunio può causare una fitta serie di sconfitte. Si lamentava, con piglio molto italiano, dei sorteggi: «Credo di essere stato un po’ sfortunato, con il massimo rispetto per tutti gli avversari».

Poi, a Bucarest, di punto in bianco, ha vinto il torneo: il suo primo torneo in carriera, arrivato nel momento più difficile del suo percorso. Non ha ottenuto vittorie particolarmente prestigiose, ma ha sconfitto giocatori solidi sul rosso: Dzumhur, Baez. Non ha perso nemmeno un set.

La stagione sul rosso, però, è stata deludente, specie a Roma, dove ha perso da Luca Nardi. Guardate quella partita: fra i due sembra esserci un grande divario di talento. Nardi colpisce sciolto, il suo corpo è liquido. Si muove con leggerezza da destra a sinistra. Cobolli sembra fare tutto con una percentuale di fatica e scarsa naturalezza in più. Non c’è niente che Nardi non sappia fare meglio di Cobolli: il dritto, il rovescio, il servizio, il gioco di volo. Cobolli gioca bene, ma non come uno che è nato per fare quella cosa.

Eppure Nardi danza sull’orlo della centesima posizione mondiale mentre Cobolli è ancora nel tabellone di Wimbledon. Questo mi pare dica qualcosa di profondo su come funziona il tennis.

Cobolli non sembra mai il miglior giocatore in campo. Se a qualcuno esperto di tennis togliessimo tutto il contesto, e gli facessimo vedere i colpi scomposti di Mensik e Cobolli; oppure di Cilic e Cobolli, beh, questa persona non sceglierebbe mai l’italiano come il giocatore migliore. Guardando Mensik possiamo essere affascinati dalla perfezione ingegneristica e brutale del suo servizio: una pressa ad alta precisione. Guardando Cilic potremmo rimanere in estasi di fronte a quello strano rovescio, a quella preparazione rapida e tardiva, capace di generare angoli intricati. Guardando Cobolli, cos’è che dovrebbe colpirci? Ha qualità più discrete: la rapidità dei suoi piedi, per esempio. Niente che rubi l’occhio particolarmente. Un’eredità, forse, del suo passato da calciatore (un buon terzino, «uno che menava» secondo le sue parole).

Si può dire che la qualità migliore di Cobolli sia di non avere particolari punti deboli. Non ha zone di palese vulnerabilità nel suo gioco, ed è un aspetto troppo importante e forse anche poco raccontato nel tennis. Un vantaggio tecnico, certo, ma soprattutto tattico e mentale. Non avere fragilità evidenti non concede all’avversario appigli tattici da sfruttare, e questo concede grande serenità mentale. È una completezza di repertorio che Cobolli ha costruito nel tempo, raffinando soprattutto il rovescio, inaffidabile a inizio carriera, e un servizio sempre più corposo.

Il gioco di Cobolli va immaginato come un edificio modesto, non particolarmente complesso o sfarzoso, ma solido.

Quando questa solidità cede, però, lo fa di schianto. Nelle sue giornate peggiori Cobolli sembra ridiscendere verso gli inferi del tennis di categoria; non gli riesce più niente. I suoi difetti sono smascherati: un dritto farraginoso, una scarsa potenza generale, una seconda palla attaccabilissima. È difficile capirci qualcosa, con Cobolli.

La velocità dell’erba, invece di esporre i suoi difetti, li maschera. Regala velocità là dove non c’è, esalta la sua rapidità, la precisione dei suoi colpi e soprattutto la risposta. Contro due servitori micidiali come Mensik e Cilic, Cobolli non si è mai fatto sovrastare e ha sempre minacciato il servizio avversario. Intuisce prima le traiettorie, offre colpi bassi, radenti, insidiosi. Sa dove colpire. Quando serve, compensa la scarsa potenza con scelte sempre esatte. Riesce sempre a vedere con la coda dell’occhio come si muove il suo avversario, e a sorprenderlo. Fino agli ottavi con Cilic non era mai stato breakkato. Nella partita di ieri ha comunque tirato 45 vincenti: tantissimi per uno col suo tennis.

Come ha sottolineato anche Emanuele Ricciardi, l’erba è una superficie che viene raccontata con molti stereotipi. È vero: premia i grandi servitori e i giocatori di potenza e di volo; ma il tennis è sempre più complesso di così, e a volte contraddittorio. Da sempre l’erba ha esaltato giocatori formidabili nei movimenti, come Lleyton Hewitt o Rafael Nadal, per fare i due esempi principali; oppure due pesi piuma come De Minaur e Gilles Simon. Persino il gracile computerino Simon a Wimbledon riuscì a fare quarti di finale. Un giocatore senza grandi colpi, dallo stile minimale ma rapido ed estremamente intelligente. Un giocatore a cui Cobolli dovrebbe senz’altro guardare.

In linea generale, fra le superfici l’erba è quella che esalta meno la forza fisica pura. Premia i colpi precisi, i tagli più delicati, gli spostamenti più leggeri. Insomma, non è del tutto assurdo che un giocatore sulla carta terraiolo giochi meglio su erba, in realtà.

Dietro le sembianze del giocatore passivo e scazzato, Cobolli nasconde un cervello tennistico di prima categoria. Non sbaglia una scelta: quando rallentare e quando accelerare, quando scendere a rete e quando rimanere più prudenti. E più il punto diventa importante, più le sue scelte diventano precise. Contro Cilic è riuscito a chiudere la partita al quarto set nonostante il croato lo avesse trascinato sull’orlo del quinto. Ha trovato l’energia mentale per ottenere il controbreak, a essere presente e intenso. Ha riservato i suoi colpi più angolati e profondi ai momenti più importanti del match. Nel punto con cui ha equilibrato i servizi nel quarto set, ha giocato un rovescio incrociato prepotente che non era immaginabile fino a poche settimane fa.

Anche il servizio, che via via si stava smarrendo, gli ha regalato dei punti diretti nel momento di necessità.

Un’altra vittoria significativa è stata ad Amburgo contro Fonseca. Un giocatore rispetto a cui Cobolli pare poco più che uno sparring da circolo. Anche in quel caso aveva ammansito l'esuberanza fisica e tecnica con grande destrezza - guardando al grande piano generale di una partita.

Per tutto quello che abbiamo detto, non è semplice fantasticare troppo sul futuro di Flavio Cobolli - un giocatore così peculiare. La scarsa continuità potrebbe essere letta come parte del suo processo di crescita, oppure come la conseguenza della fatica che gli costa fare il suo gioco. Quanto è sostenibile un tennis così poco basato sul talento puro? Così poco sostenuto dalla potenza dei colpi, dagli schemi rapidi, da tutto ciò che rende l’inferno del tennis un poco più sopportabile?

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