
Una finale europea è la partita più importante dell’anno per quasi ogni squadra, ma per Tottenham e Manchester United la situazione era ancora più delicata. Le due finaliste arrivavano alla partita di Bilbao rispettivamente da diciassettesima e sedicesima in classifica in Premier, a un turno dalla fine del campionato. Una vittoria, dunque, era per entrambe l’unica speranza di poter competere nuovamente in Europa la prossima stagione, mitigando non solo l’onta del piazzamento di bassa classifica, ma anche una grossa perdita di entrate.
Tottenham e Manchester United negli ultimi anni sono state, per ragioni diverse, due squadre-meme: i londinesi rappresentano la tipica squadra grande-ma-non-abbastanza, che neanche all’apice del suo ciclo migliore degli ultimi decenni, potendo contare su uno dei giocatori inglesi più determinanti di sempre e su alcuni allenatori di culto, era riuscita a portare a casa un trofeo dopo la minore coppa di Lega del 2008. Il Manchester United, invece, qualche trofeo più recente lo ha pure conquistato (Community Shield nel 2016, Europa League nel 2017, Coppa di Lega nel 2016 e 2023) ma di certo non delle vittorie proporzionate alle risorse spese sul mercato e, soprattutto, della quantità di talenti in rampa di lancio o campioni a fine carriera arrivati a Manchester per spegnersi.
In un calcio sempre alla ricerca di narrazioni, questo confronto era il drama perfetto: su un filo tra eroi o clown, aveva malignamente fatto notare un giornalista nella conferenza stampa della vigilia ad Ange Postecoglou. L’allenatore australiano aveva comprensibilmente risposto piccato, perché in fin dei conti era irrispettoso suggerire che un professionista di tale calibro, arrivato ai vertici del calcio inglese dopo una lunga carriera in giro per il mondo, potesse essere un pagliaccio, nel caso in cui non avesse vinto una singola partita. Postecoglou, a inizio stagione, sicuramente ancora ignaro delle difficoltà che avrebbe incontrato nei mesi successivi, dichiarava sicuro «vinco sempre nei secondi anni». Una dichiarazione che aveva tutte le carte in regola per diventare un marchio, in negativo o in positivo.
Alla fine, Postecoglou ha avuto ragione, anche se il trionfo del Tottenham è stato tutt’altro che una passeggiata. Non capita raramente che le finali europee si rivelino più deludenti delle aspettative. Con l’aumento della posta in palio la tensione complica le cose a chiunque, la stanchezza psicofisica accumulata durante tutta la stagione si fa sentire. In questo caso non si può dire che in Inghilterra si aspettassero una partita più entusiasmante di quel che è stato. Piuttosto, la finale è stata una piccola sintesi della triste stagione di entrambe le squadre, tra carenza di qualità, svarioni improbabili e fasi poco appassionanti.
Il Manchester United di Amorim, presentatosi in campo con il suo fedele 3-4-2-1, ha cercato di fare la parte della squadra dominante, mantenendo il possesso in maniera paziente per cercare la verticalizzazione vincente. L’ex allenatore dello Sporting, oltre a Onana in porta, Shaw Maguire Yoro in difesa e Dorgu-Mazraoui sugli esterni, aveva scelto di puntare su Mason Mount e Amad Diallo alle spalle di Hojlund (con Zirkzee in panchina, rientrante dall’infortunio), rinunciando quindi a Garnacho, e schierando Bruno Fernandes in mediana insieme a Casemiro. Dall’altra parte, Postecoglou si è ritrovato, volente o nolente, a giocare una partita quasi costantemente di rottura e non possesso a partire da un 4-3-3/4-2-3-1, scegliendo di puntare su Porro, Romero, Van de Veen, Udogie; Bentancur, Bissouma; Johnson, Sarr, Richarlison e Solanke.
Diciamo subito una cosa chiara. Tra le due squadre, la più convincente nell’arco della partita in termini di applicazione ed efficacia delle intenzioni è sembrata il Tottenham. Già dal primo tempo il pressing alto organizzato da Postecoglou è stato sufficiente a limitare gli sviluppi offensivi del Manchester United, generando anche qualche occasione di ripartenza. Anche senza un atteggiamento strutturale speculare, e quindi accoppiamenti uomo contro uomo veri e propri, il tempo di uscita in pressione dei giocatori avanzati del Tottenham ha spesso tolto sicurezza nelle linee di passaggio interne allo United, che ha fatto fatica a far ricevere i suoi trequartisti in situazioni vantaggiose, ma anche perso palloni significativi davanti alla propria difesa.
L’anello debole del Manchester United in questi frangenti è stata soprattutto la fascia sinistra. Shaw, ritrovandosi spesso pressato dall’interno, non è quasi mai riuscito a trovare uno spunto che non fosse una ricezione orientata alla sua destra e il successivo retropassaggio; così come Dorgu, che però dalla sua ha avuto quantomeno il merito di provare a proporsi senza palla in verticale, spesso ritrovandosi protagonista di tentativi disperati di arpionare al volo lunghi lanci dai suoi stessi compagni difensori.
Questo linguaggio del corpo “negativo” di Shaw e compagni rappresenta le incertezze nella circolazione palla dello United. Non si tratta solo di una scarsa predisposizione individuale alla giocata progressiva, ma è sembrato proprio che non ci fossero dinamiche organiche funzionali alla progressione interna dei possessi: è vero che Shaw riceveva spesso girandosi all’indietro, anche in situazioni di scarsa pressione (prima immagine qui sopra) ma le distanze con i suoi compagni sulla carta più vicini, cioè mediano, esterno e trequarti dalla stessa parte, o con la punta, erano spesso troppo lunghe. Non c’è da sorprendersi quindi se la maggior parte dei tentativi di uscita del Manchester, specialmente nella prima ora di gioco, siano stati orientati sulla ricerca della palla lunga, verso il centro o sulla fascia, senza però creare quasi mai i presupposti per un’azione pericolosa. Al Tottenham è bastato esercitare una pressione medio-alta con buona compattezza e comportarsi bene nei duelli individuali, soprattutto con i difensori centrali, per annichilire la manovra avversaria.
Certo, qualche occasione promettente lo United ce l’ha avuta, in particolare su incertezze difensive del Tottenham sugli sviluppi di angoli e piazzati e su un paio di iniziative di Amad Diallo defilato a destra contro Udogie. Non è stato abbastanza per trovare il vantaggio, che invece è arrivato per il Tottenham praticamente nell’unica occasione in cui è riuscito a consolidare una dinamica scomoda per la difesa posizionale della squadra di Amorim, cioè una rotazione larga con sovrapposizione interna tra esterno e “braccetto”.
Su una palla persa da Bruno Fernandes all’altezza del centrocampo, Sarr ha potuto condurre fino alla trequarti avversaria. Si è defilato verso sinistra e si è avvicinato a Richarlison; gliel'ha passata e si è sovrapposto in avanti, attirando a sé Yoro. Il vuoto alle spalle del difensore non viene coperto da nessuno ed è Bentancur ad approfittarne, inserendosi con un taglio davanti a Bruno Fernandes. Una volta ricevuto il pallone, gli si sono avvicinati Mazraoui, Yoro e Casemiro, oltre a Bruno, e ha scelto così di giocare all’indietro ancora su Sarr. A questo punto, il numero 29 di Postecoglou ha avuto tempo e spazio per mettere un cross insidioso, mentre al centro dell’area la confusione nella presa di marcatura su Solanke e Johnson manda in tilt Shaw e Dorgu. La sensazione è che Shaw abbia chiesto a Dorgu di controllare Johnson, mentre Maguire si avvicinava a Solanke, ma l’ex Lecce non è stato in grado di assorbire il movimento sul complicato cross di Sarr.
Non è comunque sembrata il massimo come scelta, dato che Shaw avrebbe potuto mantenere il contatto con Johnson portandosi alle sue spalle e lasciare Dorgu sul lato debole, data la presenza di soli due giocatori del Tottenham in area. Lo strano rimpallo sul petto di Shaw dopo il mancato aggancio di Johnson è stata poi la ciliegina sulla torta di questo confuso momento di difesa della porta.
Nel corso del secondo tempo, il baricentro del pressing del Tottenham si è abbassato progressivamente, fino a esaurirsi in una strenua difesa posizionale bassa negli ultimi minuti della partita, senza che gli ingressi di Son, Danso, Gray e Spence per Richarlison, Johnson, Sarr e Udogie riuscissero a dare particolare respiro, né difensivamente né offensivamente. Il cambio più efficace è stato forse quello di Kevin Danso, che ha vinto molti duelli aerei in area di rigore. Il Tottenham ha chiuso la partita con meno del 30% di possesso palla e con appena il 61% di passaggi riusciti. È stato impressionante da vedere, per una squadra che spesso è stata integralista nell'applicazione di certi principi, come quando ha difeso a centrocampo anche in 9 contro 11.
La grossa occasione sprecata al 62’ da Solanke in contropiede, con un aggancio mancato su assist di Udogie che lo avrebbe messo solo davanti a Onana, poteva chiudere la partita ben prima dell’assedio finale del Manchester, che per tutto il secondo tempo ha provato a forzare il blocco basso avversario, senza troppe soluzioni associative. Almeno fino a quando, a venti minuti dalla fine, Zirkzee ha fatto il suo ingresso in campo, ricordando tutto il suo repertorio di gioco incontro, sponde e pulizia dei palloni che lo rende determinante per una squadra che ha bisogno di attaccare sfruttando anche il centro. Attraverso la forza bruta dell’occupazione dell’ultimo terzo di campo, lo United è anche riuscito a creare qualche momento favorevole e impegnare Vicario, ma si è trovato davanti un Tottenham più che mai disposto a difendere con le unghie, il cui simbolo è stato il salvataggio volante sulla linea di Van de Ven su un colpo di testa di Hojlund dopo un’uscita incerta di Vicario su una punizione da lontano.
Alla fine, nonostante l’ampia percentuale di possesso a favore del Manchester (73% a 27%) la quantità di expected goals prodotti si è sostanzialmente equivalsa (1.01 vs 0.97 a favore del Tottenham). Gli “Spurs” hanno così vinto l’Europa League 2025, la terza della loro storia. Forse non basterà neanche questo storico trionfo a correggere la traiettoria del percorso di Postecoglou sulla panchina, che sembra essere ai titoli di coda, data la parabola discendente del progetto a livello di prestazioni. Dalle parti di Manchester, però, se la passano decisamente peggio.