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Fanta-Inter amala
04 nov 2016
Chi sarà il nuovo allenatore dell’Inter?
(articolo)
24 min
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Frank de Boer è stato esonerato da tre giorni e l’Inter ha già perso un’altra partita. In panchina è andato Stefano Vecchi, che Ausilio ha indicato come “una soluzione che la società sta valutando”, cercando di far credere che il posto sulla panchina nerazzurra non sia per forza vacante. Ma Ausilio smentì l’esonero di de Boer appena poche ore prima di esonerarlo effettivamente, e quindi non abbiamo ragioni di credergli.

Abbiamo immaginato tutte le possibili soluzioni, più o meno realistiche, per il nuovo allenatore dell’Inter, cercando di immaginare come giocherebbe la squadra.

Il pragmatismo di Marcelino

di Emiliano Battazzi

Marcelino García Toral è asturiano di Gijón, proprio come Luis Enrique, con cui condivide la gratitudine e la passione per la squadra della loro gioventù, lo Sporting Gijón, e la testa dura.

Bisogna subito chiarire che Marcelino è un maniaco del controllo: deve essere sua l’ultima parola su tutto ciò che riguarda la squadra, non solo per l’area tecnica ma persino per quella medica. I suoi giocatori sono sottoposti a dieta ferrea, con controllo giornaliero del peso. Potrebbe essere la soluzione giusta per l’Inter: un allenatore che occupi il vuoto di potere creato dalle varie fazioni societarie.

Non è il profilo di allenatore spagnolo a cui siamo abituati: è un pragmatico della scuola sacchiana. Il 4-4-2 è il suo modulo preferito, che si trasforma spesso in un 4-2-4. Marcelino è sacchiano perché le linee si devono muovere all’unisono e la squadra deve sembrare collaudata e organizzata come un’orchestra sinfonica. Per Marcelino conta quello che si fa in allenamento: ripetizione continua e sfinita di esercitazioni tattiche, perché non si può chiedere a un giocatore in partita ciò che non si è provato durante gli allenamenti. L’Inter ha evidentemente bisogno di un pragmatico, e Marcelino ha già preso delle squadre in corsa, con buoni risultati: salvezza con il Racing Santander nel 2010-11 e promozione con il sottomarino giallo nel 2012-13.

Marcelino è pragmatico perché i principi non si impongono ma si adattano alle caratteristiche dei giocatori. In un’intervista a El Mundo, prima di una partita contro il Real Madrid, da allenatore del Racing Santander, disse “Se l’avversario ha un cannone e noi un fucile, bisogna prima pensare a come rompere il cannone”. E forse nell’Inter sarebbe la sua prima volta al comando dell’artiglieria pesante.

Si gioca come ci si allena: spazi ridottissimi.

Per Marcelino giocare bene non significa appagare un senso estetico, bensì impedire all’avversario di creare occasioni, cioè aumentare le proprie possibilità di vittoria. In tre anni e mezzo ha riportato il Villarreal dalla Segunda alla Champions League, seguendo questo percorso: due linee vicinissime, copertura estrema della zona centrale (nessuna squadra in Europa spingeva gli avversari sulle fasce più del Villarreal), squadra corta nella zona del pallone, aumento vertiginoso del ritmo solo dalla metà campo in poi, per cercare i movimenti opposti delle due punte. Poi è stato esonerato ad agosto, per una presunta lite con il capitano Musacchio; ma il presidente del Villarreal ha insinuato che ci fosse un problema di onestà. In sostanza: avendo già raggiunto il quarto posto, Marcelino disse che avrebbe avuto piacere nel vedere lo Sporting Gijón salvo, suo club storico e rivale proprio nell’ultima giornata della passata Liga. Lo Sporting vinse e si salvò, la moglie di Marcelino twittò l’equivalente di “missione compiuta”.

Il Sergente: costringe Bailly a giocare 14 minuti con una lussazione alla spalla, e quando esce dolorante non lo degna di uno sguardo. In bocca al lupo ai giocatori dell’Inter, qualora fosse.

Si può immaginare l’Inter di Marcelino? Il recupero del pallone dipende anche dalle caratteristiche dei giocatori: la rosa dell’Inter sembra adatta a un blocco centrale basso, piuttosto che all’aggressione continua nella metà campo avversaria. Marcelino non disdegna il 4-2-3-1, l’ha usato 19 volte in 176 occasioni al Villarreal: a cambiare sarebbero i due esterni, con Perisic titolare per la sua capacità in transizione e nei tagli e Candreva in pericolo per far posto a Eder. Marcelino però è un amante del 4-4-2 e nell’Inter questo modulo creerebbe perplessità per la posizione di Banega: potrebbe giocare da centrale di centrocampo insieme a Medel (fedelissimo di Marcelino ai tempi del Siviglia), magari con Joao Mario sulla fascia con l’obbligo di entrare in campo e farsi trovare sempre tra le linee, con Perisic sull’altra fascia a garantire maggior ampiezza, e la coppia Icardi-Eder a dettare i classici movimenti opposti delle due punte.

Marcelino di sicuro ripartirebbe dalle grandi certezze dell’Inter in zona centrale, quella che da allenatore vorrebbe sempre controllare, per poi costruire un sofisticato edificio tattico automatizzato. Forse in un ambiente così fuori controllo serve proprio un testardo, maniacale e studioso allenatore asturiano.

Marcello Lippi, re dei compromessi

di Alfredo Giacobbe

Marcello Lippi sarebbe una sintesi perfetta tra le esigenze della fronda italiana dell’organigramma societario interista e quelle della nuova proprietà cinese. Pioli non ha una reputazione spendibile sui mercati internazionali e uno come Hiddink è a digiuno di esperienze in Serie A. Il nuovo CT della Nazionale cinese possiede invece entrambe le cose. Lippi ha vinto tutto con la Juventus negli anni ’90 e si è consacrato sugli altari alzando la Coppa del Mondo nel 2006, mentre dal 2012 al 2014 ha collezionato successi dall’altra parte del pianeta col Guangzhou Evergrande. Chissà, magari gli permetterebbero di allenare sia la Cina che l'Inter, contemporaneamente.

Lippi condivide con Mancini la predilezione per gli undici fisici e nella rosa attuale avrebbe materiale umano a disposizione per i suoi scopi. L’Inter bis di Lippi, schierata con il 4-4-2, avrebbe una linea di difesa con Miranda a coprire le spalle di Murillo, oltre a D’Ambrosio e Ansaldi utilizzati come terzini bloccati. A centrocampo Lippi sacrificherebbe Banega in un ruolo non suo per farne il nuovo Paulo Sousa, con Kondogbia fido scudiero dell’argentino a interdire il gioco degli avversari. Ai loro lati due frecce come Perisic e Biabiany fungerebbero da portatori d’acqua per l’attacco pesante, formato da Icardi e Gabigol.

Lippi, che dalla panchina della Juventus batté il calciatore Frank de Boer e il suo Ajax nella finale romana di Champions League, restaurerebbe all’Inter la tradizione del coaching all’italiana. All’insegna del “Primo: non prenderle”, l’Inter diventerebbe attenta a coprirsi e a disinnescare i punti di forza dell’avversario prima di badare ad offendere, in barba ad ogni velleità progettuale all’olandese. “Brutti e vincenti” potrebbe essere uno slogan adeguato al nuovo, vecchio corso.

A 68 anni suonati, Lippi tornerebbe sulla panchina di una squadra di club europea dopo 12 anni, un’era geologica calcisticamente parlando: nel 2004 Mourinho vinceva la Champions League col Porto, Guardiola ancora giocava, in Serie A avevamo 18 squadre. Lippi siederebbe di nuovo sulla panchina della “Beneamata" dopo l’esonero alla prima giornata del campionato 2000-01. Senza più Massimo Moratti a difendere i giocatori, chi potrà impedire a Lippi di “inchiodarli al muro degli spogliatoi e prenderli a calci”?

Guus Hiddink, il normalizzatore

di Daniele V. Morrone

Da quando Guus Hiddink ha portato il PSV a vincere due campionati consecutivi e la prima e unica Champions League della sua storia sono passate diverse vite calcistiche. Nel mezzo ha fondato e esaltato interi movimenti calcistici. Forse il calcio lo ha superato nelle idee, ma lo scorso anno un Hiddink ormai alla soglia dei settant’anni, e ormai in piena fase “santone”, ha portato fuori il Chelsea dalla zona retrocessione in cui era sprofondato dopo un inizio choc con Mourinho, finendo a metà classifica nonostante un gruppo spaccato e mentalmente distrutto.

Hiddink con l’età ha perso il tocco, ma è diventato molto pragmatico: inutile aspettarsi miracoli, ma la sua capacità di adattarsi immediatamente ai contesti e capire dove intervenire potrebbe dare all’Inter una base solida per costruire nella stagione successiva. A costruire magari sarà anche un altro, magari quel Simeone che si libera nel 2018 da Madrid. Ma per ora Hiddink rimane una buona opzione per sussurrare le parole giuste alle tante fazioni in spogliatoio e ricreare una visione comune che sembra persa.

Sul campo Hiddink creerebbe un contesto tattico in grado almeno di fare da rete di sicurezza per giocatori che hanno perso la bussola. Riportare quindi tutto alle cose semplici, senza esagerare: difesa a quattro, due centrocampisti fisici davanti alla difesa di cui uno bloccato in Medel o Kondogbia e uno con più libertà di movimento in Joao Mario o Brozovic, un giocatore avanzato con visione di gioco per fare da raccordo tra i reparti e l’ultimo passaggio in Banega, due giocatori veloci sugli esterni come Perisic e Candreva e una punta unica da servire in Icardi. Tante occasioni a partita in corso per chi come Gabigol ha bisogno di minuti per dimostrare di valere l’investimento estivo. Riportare tutto alle basi. Non arriverà mai l’Inter che ha battuto la Juve, ma sicuramente neanche quella che ha perso contro l’Atalanta. Non ci sarà spettacolo se non nella giocata del singolo, non ci sarà la sensazione di assistere ad una squadra con un progetto tattico, ma se sono i risultati minimi per rialzarsi in classifica e provare a riacciuffare l’Europa League che la dirigenza vuole, allora almeno quelli con Hiddink potrebbero arrivare.

Un’altra occasione per portare Marcelo Bielsa in Italia

di Fabio Barcellona

Perché non il matrimonio tra la pazza Inter e “El Loco” Bielsa? Sembra che già nell’estate 2011 il tecnico argentino sia stato vicino alla panchina nerazzurra, ma la proposta di Moratti fu rifiutata per mantenere la parola data ai baschi dell'Athletic Bilbao. Anche quest'estate, dopo che Bielsa aveva sedotto e abbandonato Claudio Lotito, all'apparire dei primi scricchiolii tra Mancini e la dirigenza nerazzurra, sui giornali aveva fatto capolino il nome del tecnico rosarino.

Mettendo da parte le conseguenze extra-campo dell'arrivo del meteorite Bielsa sul pianeta Inter, la problematica gestione di un personaggio senza troppi peli sulla lingua da parte di una società che non si è dimostrata particolarmente brillante nella propria azione mediatica, le inevitabili richieste di acquisti a gennaio puntualmente disattese, si può provare a immaginare l'impatto tecnico-tattico dell’allenatore argentino sulla rosa nerazzurra.

Bielsa, dall'alto delle sue 50000 partite ossessivamente visionate ha concluso che esistono 28 moduli di gioco e, probabilmente, tra questi, ne troverebbe uno o due in cui incastrare i giocatori della rosa interista. I principi del gioco bielsista non sono però negoziabili e il primo quesito da porsi è se i giocatori nerazzurri sono i più adatti al calcio di Bielsa, dinamico, veloce e il cui successo dipende molto dallo spirito di abnegazione e all’attenzione dei suoi interpreti.

L’impressione generale è che l'Inter non sia una squadra costruita con grande coerenza. La struttura del centrocampo sembra maggiormente adatta a una difesa attiva e dinamica, in posizione avanzata di campo, mentre la linea difensiva pare maggiormente a proprio agio difendendo bassa. Questa incoerenza potrebbe essere fonte di problemi per Bielsa e la sua idea di difesa iperattiva ed aggressiva. Per questo non sarebbe improbabile che Gary Medel, uno dei suoi pupilli, venisse arretrato in difesa.

Immaginando che Bielsa possa alternare la difesa a 3 e quella a 4, per garantirsi sempre superiorità numerica in zona arretrata, una linea a 3 giocatori potrebbe essere costituita proprio da Medel come battitore libero e Murillo e Ansaldi come marcatori. Il colombiano ha aggressività e velocità sufficienti a interpretare il ruolo come desidera il tecnico rosarino, mentre Ansaldi è già stato impiegato nella difesa a 3 da Giampiero Gasperini, il più bielsista degli allenatori italiani.

Continuando a costruire un ipotetico 3-3-1-3, il modulo iconico di Bielsa, davanti alla difesa potrebbe essere lanciato definitivamente Gnoukouri, il più adatto della rosa a coprire il ruolo. Joao Mario, con la sua mobilità e la capacità, se necessario, di dare ampiezza alla squadra, potrebbe essere la mezzala destra, mentre a sinistra la difesa aggressiva di Bielsa potrebbe dare chance di rilancio a Kondogbia.

Nel gioco d’attacco immaginato da Bielsa grande importanza la hanno le zone esterne del campo, dove l’Inter ha parecchie soluzioni. Nei 3 davanti potrebbero trovare la loro naturale collocazione Candreva e Perisic e potrebbe avere spazio la velocità di Biabiany. In mezzo invece, si può immaginare un Banega alla Valdivia/Payet con Icardi terminale d’attacco.

In un alternativo schieramento a 4 dietro, il ruolo di terzino, che pretende nell’interpretazione bielsista grande dinamicità, potrebbe essere occupato da D’Ambrosio e Nagatomo e in mezzo potrebbe trovare spazio Miranda. A centrocampo è ipotizzabile un reparto a 3 uomini che ruoti tra un sistema con vertice basso e uno col vertice alto. I tre candidati sarebbero Medel, vertice basso, Joao Mario mezzala e Banega vertice alto. In avanti, Eder potrebbe prendere il posto di Candreva in un sistema che richiede un giocatore più vicino per caratteristiche a una punta che a un esterno puro, che completerebbe il reparto con Perisic e Icardi.

A conti fatti, la rosa dell’Inter, specie per la caratteristiche dei propri difensori, non pare particolarmente adatta al calcio di Bielsa. Del resto nemmeno la società e il momento storico appaiono ideali per permettere un lavoro sereno al tecnico argentino. Tuttavia aspettiamo con ansia che un giorno Marcelo Bielsa arrivi in Italia per godere da vicino del sul calcio originale, studiarlo a fondo e, al di là dei giudizi, apprezzarne la coerenza e il coraggio.

José Mourinho, il ritorno

di Daniele Manusia

Ok, pensiamoci un secondo. Sarebbe così assurdo se Mourinho, in difficoltà calcisticamente parlando, in difficoltà nella vita in generale, decidesse di rescindere con lo United e, immaginando anche che la reazione da parte della società non dovesse essere troppo negativa considerati i risultati e le possibili ritorsioni di Mourinho se costretto a restare, con un gesto romantico ma perfettamente in linea con il suo personaggio, scegliesse di tornare all’Inter? Non sarebbe perfetto considerato lo stato emotivo di entrambi se Mourinho e l’Inter tornassero insieme, come una coppia di ex giovani amanti che si incontra un paio di divorzi dopo, entrambi abbastanza disperati da pensare: perché no, proviamoci ancora?

D’altra parte, se Mourinho con il Real Madrid qualche soddisfazione se l’è tolta, non sono pochi i tifosi interisti a pensare che nessun allenatore dopo il portoghese si è neanche lontanamente avvicinato al livello della sua Inter, che dopo Mourinho c'è il vuoto, o quasi. Ma con i sentimenti non si scherza, e chi sarebbe in grado di garantire al tifoso interista che il Mourinho del 2016 è ancora quel Mourinho? Ma soprattutto: come farebbe Mourinho a convincere se stesso di essere ancora quello di un tempo, dopo il bruciante fallimento del ritorno al Chelsea e questi primi mesi disastrosi a Manchester?

L’unico modo, sarebbe tentare una replica esatta dell’Inter 2010. Anzi, neanche di tutta l’Inter del 2010, ma di quella più iconica, quella che negli anni è diventata una specie di luogo mentale, di Arcadia, in cui la mente di qualsiasi tifoso, non solo interista, si può rifugiare quando ha bisogno di dire a se stesso che nessuna squadra parte battuta, che non c’è limite a quanto un singolo giocatore può accrescere il proprio valore se guidato e motivato dal giusto allenatore. E cioè: l’Inter che ha battuto 3-1 il Barcellona nella semifinale di andata. Ma la rosa attuale sarebbe adatta? Difficile a dirsi, ma proverò a ragionare ruolo per ruolo.

Sorvolerò sul confronto tra Handanovic e Julio Cesar, entrambi grandi portieri nei loro rispettivi giorni migliori; ma basta guardare alla linea difensiva per rendersi conto che Mourinho dovrebbe inventarsi qualcosa per trasformare D’Ambrosio, Santon, Ansaldi e Nagatomo in qualcosa di simile a una coppia come Maicon e Zanetti. Ce lo vedete D'Ambrosio proiettarsi nell'area di rigore del Barça, controllare e tirare nello spazio di un paio di passi andando alla massima velocità come Maicon sul suo gol?

Con Miranda e Murillo, invece, si può senz’altro lavorare bene. Miranda specialmente, con Mourinho potrebbe vivere una nuova giovinezza e dimenticare la leadership di Simone, ma va detto che Lucio e Samuel formavano una delle coppie di centrali difensivi più perversamente impenetrabili che si siano viste negli ultimi decenni.

Anche al centro del campo è impossibile replicare una coppia di pivot mobili capaci di fare da schermo e far ripartire l’azione velocemente come Cambiasso e Thiago Motta. Magari Mourinho potrebbe provare con Medel a muoversi in orizzontale e con un giocatore più tecnico come Joao Mario (come fatto nel Chelsea con Fabregas) per dare solidità al palleggio una volta recuperata palla. In caso anche Brozovic potrebbe tornare utile, per la sua capacità di leggere il gioco in verticale, ma forse per il gusto di Mourinho per i giocatori fisici potrebbe tornare utile anche Kondogbia, magari con qualche lezione privata su come e quando uscire dalla posizione per andare in pressione, o addirittura Felipe Melo per la copertura (sento i brividi che salgono lungo la schiena di chi legge). In ogni caso mancherebbe la completezza e l'intercambiabilità di Cambiasso e Motta, e Mourinho sta dimostrando grandi difficoltà nel gestire giocatori moderni come Pogba o, prima, Matic, senza esporne i limiti.

Probabilmente, poi, se Mourinho optasse per una coppia di centrocampo esclusivamente di rottura, allora perderebbe il posto un giocatore squisito come Banega, perché l'Inter avrebbe bisogno della mobilità e della capacità di effettuare strappi palla al piede di Joao Mario. Ma il vero problema nascerebbe lì dove l’Inter di oggi si sente più forte: sulle fasce. È più difficile convincere Eto’o e Pandev a fare il terzino aggiunto o spiegare a Perisic e Candreva come si difende? In fase offensiva non andrebbe meglio: quelle combinazioni verticali frutto di una grande capacità decisionale (che Mourinho allena in modo specifico), e quella libertà con cui si incrociavano i movimenti in transizione, sarebbero possibili con giocatori così rigidi, così specializzati nel dribbling+cross, così abituati a ricevere la palla sui piedi? Icardi non finirebbe di nuovo isolato, troppo distante da tutti anche solo per fare da sponda, cosa che Milito faceva con classe e affidibalità?

Insomma, a me anche solo sulla carta sembra chiaro che il tentativo di Mourinho di abbigliare l’Inter alla moda del 2010 sarebbe destinato a fallire in partenza. Più facile che i tifosi nerazzurri si ritrovino con una squadra simile all’odierno Manchester United, una squadra lenta e prevedibile, prudente fino a sembrare senza idee, e in definitiva niente affatto meglio dell’Inter di de Boer. Peccato, perché per una società incapace di guardare avanti al punto da esonerare un allenatore (arrivato a mercato concluso, per giunta) dopo solo ottanta giorni, tornare indietro sembra davvero l'unica opzione seriamente praticabile.

Stefano Pioli per alzare i giri dell’Inter

di Francesco Lisanti

Non sarebbe facile per Pioli subentrare a stagione iniziata. Al di là della presunta inefficacia della preparazione estiva, tema ricorrente in questo inizio di stagione, l’Inter soffre i suoi limiti strutturali quando deve aumentare il ritmo del gioco, soprattutto a centrocampo. Banega è veloce nell’esecuzione ma fatica a farsi trovare tra le linee e a ricevere in posizione pericolosa, Brozovic è spesso impreciso tecnicamente e affrettato nelle scelte, João Mário ha ancora evidenti pecche in interdizione e quindi l’Inter fatica a recuperare la palla nelle zone avanzate del campo.

Il calcio di Pioli, invece, è tutto «pressing, ritmo, cambi di gioco, togliere i tempi della giocata agli avversari». Pioli adora il basket, e ci gioca in ritiro con il suo staff, perché è «un gioco molto spettacolare con ritmo, intensità e tanta tattica», e ammira «quanta applicazione e concentrazione i giocatori mettano in ogni azione», nell’eseguire gli schemi, nel portare i blocchi, nel muoversi alla ricerca di spazi. Per questi motivi sarebbe interessante vedere se e come Pioli cambierebbe l’Inter di de Boer, che ad eccezione dell’incomprensibile partita contro la Juventus, non ha certamente brillato né per l’intensità, né per l’applicazione, né tantomeno per la concentrazione.

Una base su cui lavorare c’è, a iniziare dal modulo. Il 4-3-3 è il modulo che meglio si sposa con le caratteristiche dei giocatori, e le migliori partite (Juventus, Bologna, Torino) sono state anche quelle in cui meglio hanno funzionato le connessioni tra il trio di centrocampo e le ali. Nelle squadre di Pioli è sempre stato determinante lo sviluppo del gioco attraverso le catene laterali (come noto, è stato anche l’argomento centrale della tesi consegnata a Coverciano nel 2003). Sotto la sua guida, il gioco individualista di Candreva ha acquistato un senso, o meglio, Pioli ha costruito il contesto tattico ideale (due incursori a centrocampo, una punta mobile) per aumentare l’efficienza dell’incredibile mole di gioco che Candreva riesce a produrre.

L’altro giocatore-chiave della Lazio che ha centrato il terzo posto è stato il Principito Biglia. Come scriveva due anni fa Federico Aquè, «Biglia è l’equilibratore e il giocatore più importante nell’organizzazione di squadra. È lui a tenerla alta, a guidare il pressing per recuperare immediatamente la palla, a coprire i buchi e a raddoppiare allargandosi. In fase di possesso, più del suo contributo nella costruzione dal basso è rilevante come sia costantemente a supporto della manovra, fornendo non solo uno scarico facile ai compagni, ma risultando decisivo con le sue verticalizzazioni». È un’idea di gioco che si avvicina molto a quella di Joao Mario, un giocatore iper-dinamico, che è poco portato ad abbassarsi tra i due centrali, e che preferisce coprire tutto il campo e trovarsi sempre vicino alla palla. Non ha ancora la lucidità nelle scelte di Biglia, ma potenzialmente è un giocatore molto più completo.

Come già con la Lazio e con il Bologna, Pioli avrebbe difficoltà a trovare un equilibrio in difesa. Come spesso succede alle squadre intense e verticali, tutti i vantaggi offensivi del gioco di transizione vengono poi pagati nell’altra metà del campo, e all’Inter (come già con la Lazio e con il Bologna) Pioli non troverebbe il personale adatto. Il suo predecessore si era presentato più o meno con le stesse intenzioni e si è presto trovato al centro di equivoci abbastanza goffi, che neanche i colloqui privati hanno risolto. L’Inter potrebbe anche alzare il suo baricentro e restringere il campo, a tratti l’ha fatto bene, ma prima Pioli dovrà convincere i suoi giocatori di poterci riuscire.

«Mi fa arrabbiare veramente la mancanza di impegno nelle persone, il fatto di non provare a superare gli ostacoli, la mancanza di volontà, l'atteggiamento di chi si arrende facilmente», diceva nel 2011. Per riuscire dove non è riuscito nessuno, da José Mourinho in poi, Pioli dovrà superare un ostacolo non indifferente: riportare i concetti del gioco verticale, un senso di disciplina e il buon umore in uno spogliatoio che, di fronte agli stessi concetti, si è appena arreso facilmente.

Laurent Blanc

di Dario Saltari

Un tecnico straniero, che ha vinto molto in un campionato che i media italiani considerano poco, rigido tatticamente, ossessionato dal possesso palla, con un rapporto difficile con lo spogliatoio e non particolarmente in grado di gestire la comunicazione: la scelta di Blanc sarebbe in continuità con quella di de Boer. Anzi, per molti versi la esaspererebbe.

Tatticamente la squadra non sarebbe stravolta. Blanc avrebbe gli uomini giusti per impostare un triangolo a centrocampo molto mobile, con l’influenza di Joao Mario e Banega sull’avvio dell’azione che aumenterebbe ulteriormente, e Brozovic che potrebbe ritrovare il posto da titolare in mezzo al campo. In difesa, per pulire l’uscita del pallone e cercare di perdere il possesso il meno possibile, Blanc potrebbe sacrificare la velocità di Murillo per fare posto a Medel accanto a Miranda. Nel tridente offensivo potrebbe essere invece Eder o addirittura Gabriel Barbosa a sopravanzare Candreva nelle preferenze dell’allenatore francese, in modo da avere almeno una delle due ali in grado di affiancarsi a Icardi per fare spazio alla salita del terzino in fase offensiva.

Non si ripartirebbe totalmente da zero come successo ad agosto, perché le idee di de Boer e Blanc hanno diversi punti di contatto, ma molte cose cambierebbero di nuovo. L’Inter probabilmente diventerebbe ancora meno diretta di quanto lo è adesso, esasperando ulteriormente la circolazione bassa del pallone e il consolidamento del possesso nella metà campo avversaria, e non manderebbe più in isolamento le ali con i terzini avversari sugli esterni lasciandole più libere di entrare dentro al campo.

Ma il gioco era solo una parte (anche piccola, se vogliamo) dei problemi di de Boer. E se il tecnico olandese si era mosso come un goffo elefante nei problemi extracampo di quel negozio di cristalli che oggi è l’Inter, Blanc in quel negozio di cristalli ci entrerebbe come un grizzly ubriaco.

Situazioni di mercato come quella di Gabriel Barbosa, secondo Ronald de Boer arrivato alla totale insaputa dell’ex allenatore dell’Inter, probabilmente verrebbero criticate pubblicamente da Blanc, uno che concepisce il proprio ruolo da allenatore come un manager all’inglese. Forse nascerebbero nuove grane nello spogliatoio, dato che Blanc è solito lasciare l’allenamento sul campo ai suoi collaboratori, che l’allenatore proverebbe a spegnere con risposte ambigue, e in conferenza stampa calerebbe il gelo in caso di battute del genere sui grandi media italiani. Una bomba ad orologeria come la biografia di Icardi potrebbe perfino diventare più esplosiva nelle mani dell’allenatore francese.

Blanc, così come de Boer, avrebbe solo i risultati dalla sua parte come strumento di difesa. E se quelli non dovessero arrivare immediatamente, ci ritroveremmo in breve tempo ad osservare un altro allenatore solo a San Siro, a guardare indignato i propri giocatori mentre mastica il suo iconico lecca-lecca.

Francesco Guidolin, finalmente la panchina che merita

di Marco D’Ottavi

Francesco Guidolin all’Inter sarebbe un bello spot per chi crede che la speranza sia l’ultima cosa a morire. Oramai sessantunenne il tecnico veneto non ha mai avuto la grande occasione della vita che crediamo debba capitare prima o poi a tutti quelli bravi come lui. Nonostante un terzo, un quarto e due quinti posti in serie A, con rose inferiori a questa Inter, non ha mai guidato una squadra costruita per stare ai piani alti, ma ci è sempre dovuto arrivare usando la scala della sua bravura. Pensare che questa occasione possa arrivargli ora – nell’Inter più disastrata degli ultimi anni - ha un sapore un po’ dolceamaro, come se la croce che si porta Guidolin sulle spalle non fosse già abbastanza grossa.

Guidolin non ha quel profilo internazionale che la sponda cinese dell’Inter cerca, quando arrivò allo Swansea i suoi giocatori dovettero cercarlo su Google, ma sicuramente ha una conoscenza del calcio italiano così profonda che in società potrebbe ricoprire praticamente qualunque ruolo senza sfigurare. Guidolin poi sarebbe guidato da motivi personali molto forti: per ben due volte ha mancato la qualificazione alla Champions League per un soffio - cedendo nei preliminari - un dolore tanto grande da avergli fatto dire: «Evidentemente non sono in grado di guidare una squadra in Champions League». Chi più di lui sarebbe motivato nel portare la squadra il più in alto possibile?

Sul piano del gioco Guidolin non ha mai avuto dogmi tattici e dopo essere stato un precursore del 3-5-1-1 all’Udinese, nell’ultima esperienza allo Swansea, dove è stato mandato via troppo in fretta, ha usato principalmente il 4-2-3-1 o il 4-3-3 ed almeno in questo sarebbe in continuità con De Boer. Ma più che ai moduli, Guidolin guarda all’intensità dei propri giocatori. Corri? Giochi. Non corri? Non giochi. Ogni partita dell’Inter diventerebbe una lezione tattica, con una squadra capace di adattarsi agli avversari e giocare sulle loro difficoltà. A centrocampo non potrebbe fare a meno di Medel, trasformandolo nel Pinzi dei tempi migliori, e risusciterebbe Eder, un giocatore perfetto per lui. Avrebbe problemi nel collocare tatticamente Joao Mario e Banega, due che il pallone lo vogliono tra i piedi e non nello spazio, ma quante volte nella vita Guidolin avrà sperato di avere questo tipo di problemi mentre faceva entrare Maicosuel?

Ai suoi giocatori, più che di progetti, parlerebbe di rispetto dell’avversario, di cultura del lavoro silenzioso e delle cose fatte bene dal lunedì al sabato. Dopo aver ringraziato la Madonnina per Icardi, gli affiancherebbe come allenatori personali Totò Di Natale e Luca Toni, due attaccanti che con Guidolin hanno fatto le fiamme. Coi terzini poi, se non riesce a farli giocare bene lui vuol dire che non c’è speranza.

Ma il posto in cui Guidolin risulterebbe come una vera rivoluzione™ sarebbe la Pinetina. Basta rumore dei nemici, basta guerre contro tutto e tutti. Il tecnico veneto porterebbe quel carattere schivo che si dice in passato gli abbia precluso l’approdo in squadre proprio come l’Inter, ma che dopo tutta la sovraesposizione mediatica avuta tra il caso Icardi e il tiro al piccione verso de Boer non farebbe che bene a dirigenza e tifosi, stufi di essere sempre nell’occhio del ciclone. Con Guidolin al timone, Caressa non avrebbe più nessuno da criticare, il tecnico è una persona colta che parla un ottimo italiano e non avrebbe problemi a sostenere battaglie dialettiche con le televisioni, mentre le sue conferenze stampa diventerebbero come telecronache del Giro d’Italia – noiose - con Guidolin che invece che lamentarsi dei i problemi della società, si concentrerebbe sull’Inter come metafora di uno scalatore che perde di vista il gruppo sulla prima salita, ma non molla consapevole che altre salite più dure devono ancora arrivare.

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