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Fanta-Ancelotti
04 ott 2017
04 ott 2017
5 panchine su cui vediamo Carlo Ancelotti nel prossimo futuro.
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L’esonero di Carlo Ancelotti è arrivato nel pieno della crisi di gioco e di risultati che sta attraversando il Milan e, come era facile prevedere, ha alimentato le speculazioni sul possibile esonero di Vincenzo Montella. Il nome di Ancelotti si fa anche per via del suo legame col Milan e il precedente del 2001: quando Fatih Terim, dopo un inizio di stagione deludente seguito a un mercato estivo in cui Silvio Berlusconi aveva investito pesantemente (acquistando tra gli altri Filippo Inzaghi, Andrea Pirlo e Manuel Rui Costa), venne esonerato e sostituito proprio dal tecnico di Reggiolo.

 

La prima era milanista di Ancelotti è cominciata subentrando in corsa a un allenatore esonerato, la seconda potrebbe cominciare in circostanze simili. Ancora una volta il Milan ha speso tanto per rinforzare la rosa e né il gioco né i risultati sono in linea con le aspettative, e ad Ancelotti toccherebbe il compito di centrare l’obiettivo minimo: è curioso che nel 2001 Ancelotti riuscì a portare il Milan al quarto posto, esattamente il risultato che gli verrebbe chiesto anche oggi per partecipare alla prossima Champions League.

 



 

Senza voler mettere realmente in discussione Montella (anzi, diciamo che secondo il mio parere merita di portare avanti il suo lavoro, e non solo perché ha avuto poco tempo con questo gruppo a disposizione) è comunque interessante immaginare cosa farebbe Ancelotti se tornasse a sedersi sulla panchina del Milan.

 

Anzitutto, credo di poter dire con certezza che rinuncerebbe al 3-5-2 in favore di un sistema che preveda la linea difensiva a 4. E in questo caso possiamo immaginare che avrebbe dei problemi a trovare dei terzini con cui attaccare in ampiezza (almeno non con la costanza e la qualità dei vari Cafu, Serginho, Pancaro e Jankulovski); anche se potrebbe far ruotare al centro della difesa Bonucci, Musacchio e Romagnoli senza perdere qualità nell’impostazione dal basso: un aspetto fondamentale per il suo modo di intendere il calcio. Probabilmente, per i terzini, si limiterebbe a scegliere i più affidabili, Abate e Rodríguez, chiedendo in particolare a quest’ultimo di arrivare sul fondo più di frequente rispetto a quanto fatto finora.


 

Il ciclo di Ancelotti al Milan si è retto sull’intuizione di arretrare in pianta stabile Pirlo e Seedorf a centrocampo, liberando tre posti in avanti per tre giocatori offensivi senza perdere equilibrio. Nella nuova versione, il ruolo di Pirlo davanti alla difesa sembra spettare naturalmente a Biglia, mentre quello di Seedorf sarebbe conteso tra Bonaventura e Calhanoglu. Dando per scontata la titolarità di Kessié - l’equilibratore alla Gattuso, pur con caratteristiche molto diverse - il triangolo di centrocampo non cambierebbe. La novità più importante sarebbe forse un possesso più lento e votato al controllo anche conservativo, il che penalizzerebbe Calhanoglu, più verticale di Bonaventura, che a quel punto sarebbe il favorito per il ruolo di mezzala sinistra.

 

Dalla trequarti in su Ancelotti avrebbe un ventaglio di scelte più ampio. C’è innanzitutto la possibilità di giocare con l’amata soluzione che prevede due trequartisti alle spalle di una punta: Suso e quello tra Calhanoglu e Bonaventura che non fa da mezzala potrebbero trovarsi bene alle spalle di un centravanti a scelta tra Kalinic, André Silva e Cutrone. C’è poi l’opzione del trequartista con due punte: per Ancelotti il trequartista ideale deve sapersi muovere negli spazi, attaccare la profondità e creare combinazioni con i due attaccanti: una descrizione in cui si ritrovano Calhanoglu e Bonaventura più di Suso. Nel caso invece in cui Ancelotti preferisca un trequartista di controllo (come Thiago Alcantara al Bayern Monaco), costantemente attratto dalla palla per facilitare la costruzione della manovra, Suso sarebbe il giocatore più indicato.

 

Ognuna di queste soluzioni presenta ovviamente degli svantaggi: sia col 4-3-2-1 che col 4-3-1-2 Ancelotti dovrebbe trovare la combinazione più adeguata per passare al 4-4-2 in fase di non possesso, il sistema migliore secondo Ancelotti per difendersi. Il che significa far abbassare sulla fascia, in linea con i centrocampisti, uno tra Suso, Calhanoglu e Bonaventura, facendo scivolare Kessié o la mezzala sinistra di fianco a Biglia. Nel 4-3-1-2, poi, Ancelotti dovrebbe trovare la coppia d’attaccanti più funzionale a garantire allo stesso tempo profondità e ampiezza, e nella rosa del Milan non esiste una combinazione ideale da questo punto di vista.

 

Nel caso invece di un 4-2-3-1 simile a quello del Bayern il problema sarebbe combinare le esigenze di controllo con le posizioni di Suso, Calhanoglu e Bonaventura. Insomma, è probabile che il tempo speso per cercare l’equilibrio con una rosa che non corrisponde in maniera ideale al suo modo di intendere il calcio farebbe perdere punti al Milan anche con Ancelotti. Per convincerlo a tornare, Fassone e Mirabelli dovrebbero spingere forse più sull’aspetto sentimentale che su quello tecnico, magari prospettandogli la possibilità di superare Nereo Rocco come allenatore con più panchine e titoli nella storia del Milan. Ma l’obiettivo del quarto posto in campionato, forse, è un’esigenza più impellente...

 



 

il 17 giugno 1979 a Vicenza c’è lo spareggio tra Parma e Triestina per salire in Serie B: in apparenza, una partita senza grande rilievo per il calcio che conta. In tribuna ci sono però Dino Viola e Nils Liedholm, presidente e allenatore della Roma, che guardano con curiosità il Parma allenato da Cesare Maldini: in quella squadra c’era un numero 10 interessante, Carlo Ancelotti.
Lo spareggio si trascina fino ai supplementari, dove il ragazzino di 20 anni segna due gol e regala la Serie B alla sua squadra, regalandosi allo stesso tempo l’ingaggio della Roma: come non acquistarlo dopo una prestazione del genere?

 



 

In giallorosso, Ancelotti scrive il suo romanzo di formazione: un po’ come Stoner (il protagonista dell’omonimo

) passa da ragazzo di campagna a professore del centrocampo, conosce il dolore fisico - due infortuni alle ginocchia - quello della finale di Coppa Campioni persa, senza poterla neppure giocare; ma conosce anche la gioia immensa dello scudetto, della Nazionale, del riconoscimento dei compagni (Pruzzo dirà “Carlo è il migliore di tutti noi). Ancelotti diventa un’icona del romanismo, con il suo abbraccio a Di Bartolomei dopo il gol contro l’Avellino, che è anche un passaggio di consegne: dopo l’addio di Agostino, è proprio il ragazzo di campagna a diventare capitano. L’affetto per la città e la squadra li dimostrerà continuamente nel corso della sua carriera, con dichiarazioni

: «Io a Roma mi sono trovato benissimo, è una città meravigliosa, si fa amicizia facilmente, c'è più calore non solo nell'aria. Milano è più chiusa di Roma e Torino è più chiusa di Milano, fuori dal campo a Torino non ho un amico. A Roma ne ho molti, quello che sento più spesso è Bruno Conti».

 

L’8 dicembre 2017 a Roma si festeggia l’Immacolata Concezione, e i romani approfittano della giornata libera per ritrovarsi in migliaia all'aeroporto di Fiumicino: con un volo da Vancouver con scalo a Londra, Carlo Ancelotti torna a Roma da allenatore della Roma. Torna con tanti trofei, il riconoscimento internazionale, campionati vinti in ogni paese, una moglie canadese: torna che è un’altra persona.

 

Dopo aver già allenato Parma e Milan, le sue altre due squadre da calciatore, Carletto decide di chiudere il cerchio della sua vita calcistica. Tre giorni prima, la Roma aveva subito un’imbarcata pazzesca contro il Qarabag all’Olimpico (0-3), riuscendo comunque ad arrivare terza nel girone. Nelle interviste subito dopo la partita, Eusebio Di Francesco aveva detto “adesso dimostrerò a tutti quanto sono romanista, perché penso di aver capito la soluzione migliore”: il giorno dopo aveva annunciato le dimissioni irrevocabili per contrasti con i giocatori.

 

Nella conferenza di presentazione a Trigoria, Ancelotti annuncia che Bruno Conti avrà un ruolo nello staff e sarà sempre in panchina con lui, e mette in chiaro le sue idee tattiche: «A me sembra chiaro che questa squadra ha rigettato l’esperienza del 4-3-3. Sapete che anch’io preferisco la linea difensiva a 4, ma alcune posizioni devono essere riviste, e deve soprattutto cambiare l’approccio, un po’ troppo passivo della squadra. Non faccio miracoli, avrò bisogno dei giocatori, ma farò di tutto per farli sentire a proprio agio».

 

Proprio l’8 dicembre Ancelotti annuncia quindi di ripartire con un 4-3-2-1, il suo famoso albero di Natale: nelle prime partite prova Perotti e Gerson trequartisti, ma non convincono. A gennaio contro l’Inter trova finalmente l’assetto giusto: Gonalons regista basso, Florenzi mezzala destra con il compito di equilibrare la squadra (coprire le devastanti sovrapposizioni di Karsdorp, inserirsi in area avversaria e attaccare le seconde palle), Strootman mezzala sinistra a centrocampo. Sulla trequarti, per dare soluzioni tra le linee e intensità anche in fase di riconquista, Ancelotti riporta Nainggolan trequartista, con Schick dall’altro lato a basculare tra seconda punta e trequartista destro, con Dzeko centravanti.

 



 

In questo modo, Schick può riproporre senza problemi i movimenti già visti con la Samp, e inizia a segnare ripetutamente, approfittando anche degli spazi liberati dai movimenti di Dzeko; Nainggolan ritorna la variabile impazzita della trequarti, con l’attacco continuo allo spazio e il suo dinamismo irresistibile. In fase di riconquista palla, i giallorossi cominciano a dimostrare un’organizzazione degna di questo nome, con Nainggolan e Schick a chiudere le linee di passaggio nei mezzi spazi, Dzeko a schermare il regista avversario, e Strootman e Florenzi alti pronti a ringhiare sull’eventuale ricezione delle mezzali avversarie. La Roma continua a sistemare la linea difensiva molto alta, come imparato con Di Francesco, e concentra il suo gioco sulla corsia destra. Il sistema di Ancelotti si dimostra molto fluido, trasformandosi spesso in un rombo con Nainggolan trequartista dietro le due punte, e riuscendo ad attaccare bene sia ampiezza che profondità.

 

I risultati arrivano e i giallorossi risalgono fino al terzo posto, ma è in Europa League che finalmente sembrano dimostrare di non avere più complessi: dopo la vittoria in semifinale contro il “suo” Milan, Ancelotti trova in finale il mostro definitivo, il drago della leggenda romanista: il Liverpool (retrocesso dalla Champions). In una conferenza stampa molto emotiva a Lione, sede della finale, Ancelotti riprende un suo tema caro, quello del destino: «Devo a Roma e alla sua gente più di quanto sia riuscito a darle. Il destino mi aveva già concesso una rivincita contro il Liverpool, ma questa cosa è più grande di tutto, è la finale più importante della mia vita. Questa finale è il destino della Roma».

 



 

A sorpresa, negli undici titolari della Roma c’è De Rossi, con una fascia da capitano speciale con la faccia di Di Bartolomei e la scritta AGO CAPITANO. La partita è troppo tesa e quindi poco godibile, dopo il vantaggio dei Reds con Salah la Roma pareggia con una punizione di Kolarov, ma tra molti errori si arriva al 90esimo in parità. Nell’ultima azione della partita, una triangolazione Karsdorp-Schick-Florenzi permette alla mezzala romana di entrare in area, e viene steso da un rientro scomposto di Coutinho: rigore. Perotti è in panchina e allora De Rossi si presenta sul dischetto: ma prima bacia la fascia.

 

Il giorno dopo, avvolto nei colori di un traboccante Circo Massimo, Ancelotti annuncia alla folla il suo ritorno in Canada: «Adesso posso andare: la mia carriera nel calcio finisce qui. So che voi, solo voi, potete capire: abbiamo sconfitto il destino».

 


 

Per chi ha abbastanza soldi, Londra è un posto meraviglioso. Innanzitutto, è una città aperta a ogni tipo di influenza gastronomica e c’è almeno un ristorante di altissimo livello per ogni cucina del mondo. Carlo Ancelotti ha un ottimo conto in banca, è un amante della buona cucina e conosce gli indirizzi di ogni ottimo ristorante di Londra. Ancelotti sa bene che per chi è ricco la qualità della vita nella capitale inglese ha pochi pari. Quando venne licenziato dal Chelsea nel 2011 ci ha comunque tenuto a ribadire che a Londra si vive benissimo e, nonostante abiti a Vancouver, quando può ci torna volentieri.

 

A Londra ci sarebbe anche una squadra che ha un disperato bisogno di un allenatore capace di darle la mentalità vincente che manca ormai in modo cronico. Per Ancelotti sarebbe l’ultima grande esperienza come allenatore di club prima di passare alla Nazionale Italiana.

 

Appena è arrivata l’ufficialità del divorzio con il Bayern i tabloid inglesi hanno fiutato la preda e

sul corpo ancora in vita (più o meno) di Wenger: che un allenatore con il curriculum di Ancelotti venga esonerato da campione in carica fa venire il sangue agli occhi a chi deve scrivere da anni le stesse cose, ogni giorno, sull’Arsenal. Per questo l’arrivo di Ancelotti sarebbe quanto meno un punto di rottura nella narrazione della squadra londinese.

 

Possiamo immaginare, quindi, che l’approccio con la stampa sarebbe da subito idilliaco. Se c’è una cosa che piace al pubblico e ai media inglesi è la capacità di migliorare senza rivoluzionare, e Ancelotti all’Arsenal non andrebbe certo per fare la rivoluzione. Quello che Ancelotti ha fatto meglio in carriera è stato far fruttare alberi già maturi piantati da altri, arrivare al momento giusto nel posto giusto e gestire con sapienza il processo più delicato per una squadra, quello che porta al definitivo salto di qualità. L’Arsenal da anni fatica a generare frutti, nonostante Wenger abbia cresciuto bene il suo albero.

 

L’idea di Ancelotti potrebbe anche stuzzicare Wenger, che non darebbe (avendo comunque grande potere all’interno della società) la sua creatura a un tecnico che la stravolgerebbe. Wenger e Ancelotti hanno avuto un ottimo rapporto quando l’italiano allenava il Chelsea, è un allenatore tranquillo, che prova a giocare un calcio basato sulla tecnica come piace a Wenger e che magari sarebbe persino disposto ad ascoltare quotidianamente i consigli che Wenger stesso sarebbe lieto di elargire da dietro le quinte.

 

L’idea del tecnico emiliano, una volta seduto in panchina, potrebbe essere quella di mantenere Alexis e Özil nella fascia centrale del campo, con Lacazette davanti a loro. Il modulo “ad albero di Natale” potrebbe essere implementato fin da subito e garantirebbe che le due stelle possano muoversi liberamente nella fascia centrale, assicurandosi l’ampiezza lungo tutta la fascia con Bellerín e Kolasinac. Ci sarebbe poi un ritorno alla difesa a 4, con Koscielny-Mustafi come coppia centrale.

 



 

Il centrocampo a 3 formato da Xhaka, Elneny (in attesa di Cazorla) e Ramsey rappresenterebbe una solida base col pallone fra i piedi. Certo, servirebbe un innesto a gennaio visto che l’egiziano non è il massimo come mezzala titolare, e né Wilshere e né Cazorla, i veri candidati per il posto, sembrano affidabili dal punto di vista fisico. Ma come ha dimostrato l’acquisto di Tolisso, non è certo abitudine di Ancelotti tenere il portafoglio chiuso se si accorgesse di una lacuna nel sistema. Quindi il mercato di gennaio potrebbe riservare un tentativo per portare finalmente all’Arsenal Ross Barkley, in scadenza con l’Everton.

 

Con grandissima probabilità, all’Arsenal di Ancelotti non basterebbe questa stagione per colmare il gap con le due squadre di Manchester, finirebbe fuori dai primi quattro posti, ma potrebbe ambire seriamente a vincere subito l’Europa League. Al primo anno Ancelotti rischierebbe di portare il primo trofeo europeo dell’Arsenal: qualcosa che neanche Wenger è mai riuscito a portare in bacheca. La qualificazione diretta alla Champions League, unita alle rinnovate ambizioni, assicurerebbe la firma sul rinnovo per Alexis e Özil, oltre ai fondi necessari a rinforzare sia la difesa che il centrocampo nel mercato estivo. Non fra molto tempo, cioè già dal prossimo anno, l’Arsenal avrebbe le basi per poter provare a vincere la Premier League.

 




 

Ok, questa suona come un’ipotesi davvero inverosimile, ma provate a seguirmi per un attimo. Ho almeno 5 indizi che lasciano margine per far sognare i tifosi della Reggiana.

 



Carletto è nato e cresciuto al Parma sia come calciatore che come allenatore, ai “crociati” deve molto, eppure non è mai sembrato amare particolarmente Parma. Una questione

anche da Gianni Mura anni fa in un’intervista: «Hai avuto due partenze da Parma: come giocatore verso la Roma, come tecnico verso la Juve. Ma non ti ho mai sentito parlar bene di Parma e del Parma». Una domanda a cui Ancelotti ha risposto senza diplomazia: «A Parma, che tanti vedono come un'isola felice, non c'è mai stato feeling né con la società né con la città. Non mi hanno mai apprezzato».

 

A Parma in molti pensano che i grandi risultati dei suoi anni siano merito esclusivo dell’alto livello della squadra a disposizione. Non aiuta neanche il fatto che qualcuno continui a rimproverargli di

in maglia crociata. Molto probabilmente, come spesso succede in questi casi, c’entrano le modalità dell’addio: Ancelotti fu lasciato andar via all’alba della stagione 1998/99 perché, secondo i Tanzi, non riusciva a conciliare risultati e “bel gioco”; nella sua autobiografia Carletto ha scritto: «Perdemmo una partita contro la Fiorentina di Malesani e allora Tanzi pensò bene di prendere Malesani. Anche se quando arrivò non aveva la stessa squadra di Firenze».

 

Una narrazione impressionante, se la confrontiamo invece all’amore che Ancelotti ha disseminato in praticamente tutte le squadre in cui è passato, da giocatore e da allenatore: Milan, Roma, Real Madrid hanno tutti un ricordo di Ancelotti che sfiora la pura venerazione.

 



 



Mettendo insieme i puntini della sua carriera e delle sue dichiarazioni, Ancelotti - che è un allenatore che ama mettere i sentimenti davanti al resto - sente di non aver dato abbastanza alla Reggiana.

 

Da giocatore Ancelotti ha iniziato la propria formazione nel Reggiolo, dove era considerato un prodigio e soprannominato “Peppino”, ma è passato presto al Parma, dove poi è esploso. Da allenatore è andata in modo simile, se non peggiore. Dopo due anni trascorsi in Nazionale da vice di Arrigo Sacchi, Carletto si è seduto sulla panchina granata in Serie B. Dopo un inizio stentato, in cui il tecnico è andato

, la squadra ha iniziato a

, ottenendo la promozione in Serie A. Una volta promosso, però, Ancelotti ha subito abbandonato la squadra per sedere sulla panchina ben più ambiziosa del Parma.

 

In questi anni, però, Ancelotti ci

il suo amore per la Reggiana ed è ancora legato al punto da invitare ancora a casa i

. Nei momenti difficili, come la contestazioni a Madrid, i tifosi della Reggiana hanno fatto partire le

di difesa su Internet: «Comprati la Reggiana, riportaci in Serie A».

 



La Reggiana è una società sfigata. Ha una storia fatta per lo più di delusioni e fallimenti, sportivi ed economici. Una storia su tutte: la Reggiana è stato il primo club di Serie A a possedere uno stadio di proprietà, ma dopo il fallimento quello stadio è stato comprato da Squinzi che lo ha rinominato da “Giglio” a “Mapei” e ci fa giocare il Sassuolo.

 

Ancelotti sente bene quest’orgoglio ferito, anche contro i nemici di Parma, ed è capace di rinvangare faide antichissime: «[con il Parma nda] mi sentivo a disagio. Perché si va sulla luna ma i parmigiani continuano a sfottere i reggiani dicendo che hanno la testa quadra. Perché loro si ritengono i più furbi, e a volte lo sono pure. Guarda il Parmigiano-Reggiano, famoso nel mondo. Il formaggio è nato in provincia di Reggio e, a essere pignoli, dovrebbe chiamarsi Reggiano-Parmigiano. Ma loro, furbi, ci hanno messo sopra il cappello».

 



Nel 2016 la società è

dall’ex mito del baseball statunitense Mike Piazza. Il presidente ha già buttato giù due progetti: uno stadio di proprietà da 5 milioni di euro e un ritorno in Serie B da consumare in due anni. Il primo non è andato benissimo, e questo secondo è partito con un esonero.

 



Esatto. Sabato, due giorni dopo l’esonero di Carletto dal Bayern e dopo la sconfitta contro la Sambenedettese, Leonardo Menichini è stato esonerato. I giornali dicono che a prendere il suo posto potrebbe essere Traianos Dellas - si parla di annuncio ufficiale già giovedì - ma bisogna essere davvero ingenui per non afferrare che si tratta di un depistaggio, a meno che Traianos non sarà semplicemente il secondo di Ancelotti. La situazione è apparecchiata per il grande ritorno di Carletto a Reggio.

 



E se Ancelotti finisse ad allenare la Nazionale? In un certo senso non sarebbe neanche così innaturale per quello che al momento è considerato l’allenatore italiano più famoso. Ha vinto così tanto da non avere nient’altro da chiedere alla propria carriera se non un trofeo con una Nazionale. È stato lui stesso, d’altra parte, a strizzare

.

 

Il suo stile e i suoi metodi di lavoro, che sembrano sempre più lontani dal calcio iper-studiato e iper-meccanizzato dell’era contemporanea, si adatterebbero alla perfezione ai ritmi delle Nazionali, in cui invece ha ancora un grosso peso l’arte di saper creare l’ambiente più favorevole possibile per un gruppo di talenti eterogenei, a cui, per questioni di tempo, non si possono insegnare troppe cose. Un’arte, manco a dirlo, che Ancelotti maneggia con la maestria del

.

 

Certo, ci sarebbe quel piccolo problema che la Nazionale ha già un allenatore, e che sarebbe poco rispettoso esonerarlo dopo un’eventuale conquista della qualificazioni ai Mondiali, o subito prima di giocare lo spareggio. Anche per Ancelotti, un uomo così Prima Repubblica, con pochi nemici e poco da dover ancora dimostrare, sarebbe forse una caduta di stile.

 

Per la federazione la scelta potrebbe avere senso soprattutto dal punto di vista mediatico, e per una volta considerato il “nome” in questione uno strappo verrebbe probabilmente giustificato. La federazione potrebbe coglierebbe al balzo il suo esonero per sostituire un allenatore a picco nel gradimento generale, con uno decisamente più apprezzato dalla stampa e temuto dagli avversari. Ancelotti, dal canto suo, prenderebbe l’ultimo treno disponibile di quella storia per cui la Nazionale italiana dal 1970 arriva ogni 12 anni in finale (e l’ultima finale giocata dall’Italia è del 2006…).

 

Ma la scelta avrebbe senso anche dal punto di vista calcistico. Ci sarebbe per Carlo Ancelotti un’occasione migliore di questa per rilanciare in grande stile il 4-3-2-1 - il modulo che l’ha portato al successo e che l’ha reso famoso? L’albero di Natale – nome vintage per un’intuizione molto attuale, nella volontà di far giocare due centrocampisti offensivi nei mezzi spazi, alle spalle di un’unica punta – risolverebbe molti degli attuali problemi di rosa.

 



 

Un centrocampo a tre, innanzitutto, darebbe una collocazione adatta a due dei centrocampisti italiani tecnicamente più raffinati e peculiari, Jorginho e Verratti, poco adatti invece al gioco di Ventura. Intorno ad un centrocampo con così tanta qualità nel gestire il palleggio, e una difesa che è già zeppa di centrali con piedi da centrocampisti, si potrebbe ridefinire l’identità della Nazionale intorno all’idea di squadra di possesso. Pensate a quante opzioni di qualità avremmo per occupare l’ultima casella di centrocampo: da Marchisio a Bonaventura a Florenzi, fino alle nuove luccicanti leve Pellegrini e Barella.

 

Ci sarebbero grossi benefici anche sulla trequarti. Il nostro talento migliore, Lorenzo Insigne, potrebbe giocare dentro al campo, in un sistema di gioco che ne esalta finalmente le qualità associative. Pensate che coppia di trequartisti straordinaria potrebbe formare con Simone Verdi, o con altri che magari da qui a giugno faranno prestazioni convincenti (Bernardeschi? Berardi?). Per il ruolo di trequartista potrebbero tornare di moda anche i nomi di Franco Vazquez e Saponara, o magari addirittura quello di Giovinco. Ancelotti potrebbe puntare ad avere una squadra con talmente tanta qualità nell’ultimo passaggio, nel palleggio e nel primo controllo nei cinque di centrocampo, da provare a contendere il possesso anche a squadre come la Spagna (sì, insomma, magari con la Spagna sarebbe difficile comunque).

 

Con due uomini stabilmente ad occupare la trequarti, Immobile e Belotti (anche in coppia se Ancelotti scegliesse un solo trequartista) potrebbero concentrare tutte le loro forze su quello che sanno fare meglio: tagliare alle spalle della difesa avversaria e segnare. Certo, sarebbe un cambiamento radicale che comporterebbe anche dei sacrifici da far sopportare – a De Rossi, Candreva – ma una delle qualità migliori di Ancelotti, che non può essere svanita solo dopo quest’ultima esperienza al Bayern, è proprio quella di far remare tutti dalla stessa parte.

 

Ancelotti ha iniziato la sua carriera da allenatore sedendosi sulla panchina della Nazionale, come secondo di Sacchi al Mondiale degli Stati Uniti nel 1994. Allora erano passati 12 anni dall’ultima vittoria di una Coppa del Mondo, e l’Italia perse in finale col Brasile. La sua carriera avrebbe una circolarità perfetta chiudendosi di nuovo sulla stessa panchina, a 12 anni dall’ultima vittoria di un Mondiale, questa volta con una finale vinta. La storia è fatta per essere cambiata, lo sa bene uno che dopo la prima esperienza alla Reggiana

di fare l’allenatore.

 

 

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