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Francesco Zani
Cosa succede a un tifoso quando la sua squadra fallisce
23 lug 2018
23 lug 2018
Le storie del fallimento di Bari, Reggiana e Cesena.
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Francesco Zani
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Cosa succede a una squadra del cuore quando smette di esistere? Dove vanno a finire tutti i ricordi, le sofferenze, le scaramanzie? Per esempio, i calzettoni abbassati di Phil Masinga esistono ancora anche adesso che il Bari è fallito e tornerà, sì che tornerà, come qualcosa di diverso? E Claudio Taffarel che difese la porta della Reggiana nella sua prima stagione in Serie A e poi andò a vincere i Mondiali? Questo ricordo che fine farà? E, ancora, Dario Hubner e tutti i suoi pallonetti resisteranno sempre nell’immaginario dei tifosi del Cesena?

 

Questi e altri calciatori, questi e altri ricordi indelebili che ognuno nel suo particolare si porta inevitabilmente dietro. Perché il tifoso si sente anche sempre e inevitabilmente onnipotente: è lui che decide quali sono stare le partite più emozionanti, gli allenatori migliori, i giocatori più forti e il suo giudizio è insindacabile e incontestabile. Da qualche giorno i tifosi di Bari, Cesena e Reggiana sono in attesa: le loro squadre sono fallite, e tutti attendono di ripartire. Come? Quando? Da Dove? E sarà sempre il Bari, il loro stesso Bari del trenino dopo il gol? Sarà la stessa Reggiana che compra Oliseh e poi retrocede? Sarà lo stesso Cesena che fischia Mutu ogni volta che scende in campo e idolatra per due anni Erjon Bogdani?

 

Ripartiranno tutte e tre, con fatica, dalla Serie D o addirittura dall’Eccellenza, ma gli ultimi mesi sono stati una tragedia, diversa e uguale in Puglia, in Romagna e in Emilia. Perché anche se il San Nicola, Il Manuzzi e il Giglio (pardon, adesso il Mapei Stadium) saranno sempre l’unico posto in cui essere ogni prossima domenica, così è tutto più difficile. Perché il rischio è un nuovo tipo di nostalgia, il dolore per il ritorno di qualcosa che c’è, ma non è più come prima e non tornerà mai uguale a se stesso.

 



 



Sono le 18.30 del 26 maggio e lo stadio San Nicola di Bari è completamente deserto: si sente il vuoto degli spalti che si sarebbero colorati di biancorosso già dalle prime ore del pomeriggio, non sono arrivati i mastodontici camion dei service di Sky e Fabio Grosso non ha passato la notte in bianco per scegliere chi schierare in attacco tra Kozak, Galano, Floro Flores, Nene, Brienza e Improta. Non ci sarà nessuna partita del Bari oggi e in un certo senso, metafisico e crudele, non ce ne saranno mai più. Esattamente in questo luogo ed esattamente in questo momento sarebbe dovuta iniziare Bari-Cittadella, il primo turno dei play-off di Serie B.

 

Da quando nella stagione 2013/14 gli spareggi per la promozione sono stati estesi fino all’ottava classificata della stagione regolare nessuna delle squadre che è partita dal primo turno preliminare è riuscita ad ottenere la Serie A. Ma il Bari oggi doveva giocare in casa, poteva anche appoggiarsi al pareggio faticando fino al 120’, poi al resto avrebbe pensato dopo, al Frosinone e alla sua corazzata fortissima ma ancora stordita dalla beffa finale patita contro il Foggia. Doveva esserci la partita più importante della stagione per i pugliesi, in quel momento dell’anno in cui ogni partita successiva diventa più importante di quella prima.

 

La Lega di B però ha congelato tutto, mettendo in sala d’attesa anche Venezia-Perugia, dopo la richiesta della Procura Federale di penalizzare il Bari con un -2 in classifica nella stagione corrente per il mancato pagamento dei contributi legati alle mensilità degli stipendi di gennaio e febbraio. La sentenza del Tribunale Federale Nazione ha ridisegnato la classifica, Bari colpevole e penalizzato, Cittadella che lo sorpassa in classifica e play-off rimandati con la gara dei Pugliesi che si dovrà giocare al Tombolato in un inversione di campo che fa male per il morale, e che permette ai veneti di poter giocare per il pareggio.

 



 

Il 3 giugno il Bari pareggia in una partita che sembra il Far West (espulsi Sabelli, Gyomber e Busellato), ma non può immaginare che quel -2 e i tre mesi di deferimento al presidente Cosmo Giancaspro non siano il problema, bensì il sintomo di un problema. Complesso, enorme, così grande da fagocitare tutto.

 



Il Bari della gestione Giancaspro (subentrato all’ex arbitro Paparesta, poi defilatosi e chiamato a gran voce, senza risposta, per l’ultima disperata ricapitalizzazione) ha accumulato 18 milioni di euro di debiti: una buona dose di operazioni di mercato sopra le proprie possibilità, un monte ingaggi importante, vertenze di pagamento, problemi con i fornitori. Il mancato pagamento dei contributi che costò la sesta posizione in classifica nell’ultimo campionato era stata una spia importante, ma nessuno immaginava che i problemi fossero così seri e articolati.

 

Il Presidente Giancaspro aveva allestito la squadra per la prossima stagione insieme al direttore sportivo Sean Sogliano e al nuovo allenatore Mauro Zironelli (adesso sembra vicinissimo alla panchina della Juventus B) la squadra era partita per il ritiro. Tutto normale, un’ostentazione della routine esasperata fino al limite, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi, niente da sistemare, nulla di cui temere.

 

Il 29 giugno è arrivata anche la richiesta formale di iscrizione alla Serie B entro i termini previsti dal regolamento, ma con una documentazione fortemente incompleta. È toccato quindi alla Covisoc fare da amplificatore di tutti i problemi di Giancaspro che però continuava a giurare di avere tutta la situazione sotto controllo: il primo respingimento era atteso, e presentare la richiesta di ammissione al campionato, anche se incompleta, era un segnale positivo, il modo per prendere tempo, ma far vedere che nessuno aveva intenzione di mollare anche se c’era qualcosa da sistemare. Ecco, quel qualcosa era una ricapitalizzazione quotata in 4.6 milioni di euro e la fideiussione da 800mila euro da garantire alla Lega di B.

 

Così è cominciato il conto alla rovescia, con le certezze ostentate da Giancaspro che si sono sgretolate ogni giorno di più, e la ricerca di una cordata che potesse fare il miracolo: quando mancano pochi giorni al termine per il ricorso al respingimento della domanda di iscrizione della Covisoc si cerca ancora un salvatore della patria, che arriva introdotto da Nicola Legrottaglie.

 

Andrea Radrizzani è il CEO di Aser, un fondo di investimenti inglese che lavora molto nel mondo dello sport, specialmente per quanto riguarda i diritti di trasmissione del calcio in televisione. Eleven Sport di cui è fondatore è proprietaria di SportTube, il portale che permette a tantissimi tifosi italiani di vedere le partite di Lega Pro in streaming. Nel 2016 proprio Radrizzani ha comprato il Leeds portandolo via dalle mani di Massimo Cellino per una cifra vicina ai 60 milioni di euro, ed è diventato il beniamino dei tifosi ricomprando lo stadio, Elland Road, in cui il Leeds giocava in affitto dal 2004 quando si trovò costretto a venderlo in piena crisi finanziaria.

 

Radrizzani ha svolto anche un’importante attività di consulenza nel passaggio dell’Inter da Tohir a Suning. La sede di Aser a Londra è nel cuore di Grosvenor Hill, a fianco all’ambasciata italiana. Radrizzani per il salvataggio del Bari si è avvalso da subito dell’aiuto di Ferdinando Napoli imprenditore barese presidente di Edilportale. I due hanno mostrato intenzioni serie, iniziando una rigorosa due diligence del club nonostante i tempi strettissimi. Ma le zone d’ombra della gestione Giancaspro sono subito parse più di quelle dichiarate. Il presidente non avrebbe soddisfatto le richieste del fondo inglese rappresentato da Radrizzani e Napoli che, spazientiti e stanchi, non avevano più speranze di chiudere una trattativa così complessa nelle dodici ore rimanenti prima della dead line di lunedì 12 luglio alle 19.

 



Il Bari è stato così estromesso dalla Serie B con l’ultimo Cda che liquida la società. Nel 2014 Paparesta era riuscito a salvare tutto all’ultimo respiro iscrivendosi di nuovo in B, ma questa volta il Bari deve abbandonare il mondo dei professionisti.

 

Il sindaco Antonio Decaro prende in mano la situazione: la città non può e non vuole rimanere senza calcio, e le vie da percorrere sono diverse. C’è la strada proposta da Nicola Canonico, presidente del Bisceglie in Lega Pro, che ha proposto una fusione stile Renzo Rosso con Vicenza e Virtus Bassano, ma è stato subissato di critiche, striscioni indignati dei tifosi sia di Bari che di Bisceglie e ha deciso così di ritirarsi subito dopo aver cambiato i colori sociali della società in bianco e rosso e provato anche un repentino cambio di denominazione. C’è poi la strada di Radrizzani, forse interessato anche a ripartire dalla Serie D con un progetto serio e ambizioso, e c’è l’amministrazione comunale che sta chiedendo alla Figc una deroga per poter giocare in Lega Pro, visto il blasone della società e il bacino d’utenza.

 

In termini di regolamento non esistono gli estremi per un “lodo” di questo tipo visto che il Bari sarà ammesso in Eccellenza con una nuova società affiliata e poi potrà chiedere l’upgrade in Serie D. Ma i tempi, anche se strettissimi, si allungano e pochi giorni diventano un’eternità per tutti i tifosi che aspettano, e forse non sanno nemmeno più che cosa sperare.

 



 



Il 24 luglio Mike Piazza tiene un discorso di 25 minuti dopo essere entrato nella Hall of Fame della Mlb con 427 Home Run in carriera. I New York Mets, in cui ha giocato come ricevitore dal 1998 al 2005, qualche giorno dopo ritireranno la sua maglia numero 31. Intanto in Italia, come ogni estate, il calciomercato entra nel vivo e tutti a Reggio Emilia si chiedono cosa c’entri la Lega Pro con la Mlb, cosa voglia Mike Piazza dalla loro squadra del cuore.

 

«Voglio riportare la Reggiana in B nell’arco di 5 anni», dichiara l’ex giocatore di baseball il 1 luglio 2016 poco dopo aver annunciato l’acquisto del club e la sua ascesa alla carica di presidente. A fianco a lui sua moglie Alicia Rickter che occuperà la carica di vice-presidente e diventerà ben presto la vera anima di ogni decisione. Alicia, che ha posato sulla copertina di Playboy, ha fatto anche parte del cast di Baywatch prima di dedicarsi totalmente alla Reggiana e affiancare Mike in un’avventura che aveva voluto fortemente dopo il fallimento delle operazioni per comprare il Palermo (di cui si è sempre dichiarato tifoso, suo padre era di Sciacca) e il Parma in piena esplosione del caso Ghirardi.

 



 

Se c’è una cosa a cui Mike Piazza deve essere abituato sono i play-off, e da presidente della Reggiana ne gioca, e ne perde, due che bruciano tantissimo nella storia recente del club. Nella stagione 2016/17. la prima della nuova proprietà, la Regia esce sconfitta dalla semifinale secca giocata alla final four di Firenze contro l’Alessandria, mentre è il 3 giugno scorso che succede una vera e propria tragedia sportiva. All’andata al Mapei Stadium ci sono 8500 spettatori gelati dal vantaggio senese messo a segno da Rondanini che sfrutta un’incertezza in uscita di Facchin, ma poi tutti riprendono coraggio col tiro da lontano di Manfrin. Il resto è tutto una battaglia di nervi, una partita sporca e difficile risolta dalla zampata di Altinier dentro l’area e messa in ghiaccio da un doppio intervento ravvicinato di Facchin su Guberti.

 

Al ritorno, appunto il 3 giugno al Franchi con 1326 tifosi ospiti al seguito e due risultati su tre a disposizione, la Reggiana va sotto poco prima della fine del primo tempo e insegue tutto il match un gol che vorrebbe dire passaggio del turno. E quel gol arriva, al ‘95 con Altinier, più o meno sempre lui in quella stagione, che sfrutta un’uscita sballata di Pane che invece di bloccare si fa sbattere la palla praticamente di petto: il numero 11 della Reggiana appena dentro l’area in una mischia disordinata allora colpisce con lo stinco sinistro e insacca un lob che si infila, incomprensibilmente, sotto la traversa. È apoteosi, corsa sotto i tifosi ed emozioni. Al 98’ però, nell’ultimo briciolo di recupero un campanile altissimo arriva sotto forma di preghiera e dopo uno stacco di testa in cui il centrocampista senegalese Bobb subisce fallo e ricade sul pallone toccandolo di mano, l’arbitro assegna al Siena un rigore francamente inesistente che Santini trasforma al 100’.

 

Proteste, espulsioni e invasione di campo dei tifosi: il 2-1 per il Siena, risultato invertito rispetto all’andata, premia i toscani meglio piazzati in campionato. La Reggiana di Piazza è fuori.

 



«Non ero disponibile la scorsa notte a dare un commento perché dovevo tornare a casa con i miei figli, mi dispiace per loro che hanno dovuto assistere a tale corruzione e incompetenza. Sono profondamente disgustato e arrabbiato. Sono veramente dispiaciuto per i nostri tifosi, loro non meritano questo. È davvero un giorno triste per l'Italia e il calcio italiano. Non capirò mai come alcuni individui sporchi e corrotti riescano a fare una cosa tanto grande, ripugnante e brutta. Mi fa addirittura male la pancia».

 

Mike Piazza commenta così l’uscita della sua Reggiana e poi sparisce, torna a New York con Alicia che invece si rifugia sotto il sole di Milano Marittima. Nessuno sa nulla, nessuno parla di iscrizione al prossimo campionato o eventuale cessione del club, silenzio assoluto. Fino al 12 giugno, due settimane dal termine per presentare la fideiussione necessaria all’iscrizione in Lega Pro, giorno in cui i coniugi Piazza si affidano ad una nota ufficiale:«Dopo i recenti avvenimenti e dopo averci pensato molto e fatto molte considerazioni, Alicia e io abbiamo deciso di mettere la Reggiana in vendita, totalmente o in parte. Invitiamo potenziali partner o proprietari a farsi avanti immediatamente».

 

Piazza prima di acquistare le quote della Reggiana aveva messo in atto una due diligence di tre mesi abbondanti, adesso cerca un nuovo acquirente che rilevi la società in due settimane portandola all’iscrizione in tempi strettissimi e producendo una fideiussione di 350mila euro. In più ci sono 175 creditori locali che aspettano di essere pagati per una cifra intorno ai 2 milioni di euro, gli stipendi di maggio e giugno e i contributi di marzo per un totale di 1.3 milioni, i 650mila euro di debito con Giorgio Squinzi per l’affitto del Mapei Stadium e diverse cause pendenti che i Piazza non vogliono pagare, ma che dipendono dalla giustizia sportiva.

 

Una gestione contraddistinta dai continui litigi con Squinzi per lo stadio, i ricatti, l’annuncio di Alicia di voler pagare gli stipendi, ma non i contributi, le sparizioni e i silenzi. Eppure il 29 giugno Piazza, dopo aver sbandierato ai quattro venti che non si sarebbe iscritto, ha firmato un assegno circolare di 30mila euro per garantirsi l’iscrizione al prossimo campionato e il segretario generale Nicola Simonelli l’ha consigliato a Firenze negli uffici della Lega Pro. Ma è stato l’ultimo atto della gestione Piazza, un prolungamento di un’agonia brevissima, scoppiata come un incendio e finita nel silenzio generale. Il vecchio presidente ha annunciato trattative con diverse cordate e poi smentirle, invocare investimenti, richiedere indietro i 300mila euro spesi due anni fa per comprare il marchio e sparire di nuovo con la città imbrattate di slogan contro i due coniugi statunitensi. La Covisoc, la commissione di vigilanza, ha bocciato la gestione del club, escludendola dalla Serie C. Piazza avrebbe pagato solo in parte gli stipendi, ma ci sono stati problemi anche on l’Inps, l’Irpef e l’Iva.

 



 



La Reggiana alla fine non si è iscritta, una cordata di imprenditori reggiani vuole farla ripartire dalla Serie D (o dall’Eccellenza) in sinergia con l’amministrazione comunale. Delle cordate prospettate da Piazza nemmeno l’ombra, il finanziere Dana è evaporato e anche la possibile cordata veneta. In questi giorni la città sta lavorando per ripartire, i dipendenti sono senza lavoro e pieni di rabbia, il sindaco Luca Vecchia ha parlato di poco rispetto per la città. È il solito copione, le solite parole, una trama che continua per inerzia e finisce, quasi sempre, malissimo. Già i tifosi emiliani avevano visto la loro squadra ripartire dalla C2 dopo il fallimento al termine della stagione 2004/2005 e adesso, purtroppo, la storia si ripete ancora.

 



 



Il 18 maggio 2018 allo stadio Manuzzi di Cesena ci sono 16.234 spettatori e uno stadio vestito a festa come mai in questa stagione così difficile per la Romagna bianconera: tutti indossano una maglia, hanno al collo uno sciarpa, cantano Romagna Mia e si salutano con sorrisi distesi e pacche sulle spalle.

 

La Cremonese, ospite senza voglia di far male, è già matematicamente salva e al Cesena basta il pareggio (la squadra di Castori può anche permettersi di perdere con alcune combinazioni di risultati sugli altri campi). È una festa, un saluto pieno di gioia, uno stadio riempito da un sospiro di sollievo per una salvezza che a un certo punto della stagione era diventata molto difficile. Le difficoltà economiche del Cesena sono note, vanno avanti dalla gestione di Igor Campedelli (quella della retrocessione con Giampaolo in panchina e Candreva, Parolo, Eder e Mutu in campo), ma il presidente Lugaresi tornato in sella nel 2012 aveva sempre rassicurato tutti: «Salviamoci sul campo, e così non ci sarà nessun problema».

 

Dopo l’inizio con Camplone, disastroso, il presidente Lugaresi aveva richiamato sulla panchina Fabrizio Castori, una leggenda in Romagna. Oltre ad aver portato in Serie A il Carpi (e averlo quasi salvato), l’allenatore marchigiano è una leggenda grazie a un incredibile finale play-off per tornare in B vinta contro il Lumezzane nel 2004, e per la rissa finale per cui Castori si prese giustamente anche un anno di squalifica. Castori è un idolo però soprattutto per la sua grande umanità.

 

Castori la missione l’aveva compiuta tra mille difficoltà, qualche mugugno della piazza, e un ruolino di marcia finale incredibile contro un calendario difficilissimo. L’apoteosi, e la salvezza morale in tasca, era andata in scena esattamente all’86 minuto in casa contro il Parma il 6 maggio.

 

I ducali erano arrivati a Cesena concentrati, scortati da moltissimo pubblico, e avevano impostato subito una partita fisica e tutta di nervi. Il piano partita di D’Aversa aveva funzionato con tanta battaglia a centrocampo, nessuno spazio agli avversari in contropiede e l’attesa che la maggior qualità dei suoi undici a un certo punto facesse qualcosa: al 56’ Ceravolo insacca di testa su angolo sbucando tra due difensori del Cesena e anticipandoli con forza e rapidità. Poi dopo un clamoroso palo in contropiede di Roberto Insigne, Moncini prima gira di sinistro in rete di mezzo volo strozzato e poi anticipa tutti con lo stinco in mezza girata e consegna al Cesena una vittoria incredibile e insperata.

 

Nessuno si sarebbe immaginato che quello sarebbe stato l’ultimo momento di pura felicità di 78 anni di storia bianconera. Il pareggio a reti inviolate a Palermo e la vittoria con la Cremonese hanno completato l’opera, con il rinnovo biennale di Fabrizio Castori in panchina e l’addio di Rino Foschi come ds a imprimere, con due stilettate diverse, le basi per la nuova stagione.

 



 



Il Cesena si è salvato sul campo e adesso deve provare a ristrutturare il suo debito sia verso i creditori privati sia verso il fisco. Tenendo conto dei crediti che la società romagnola vanta in Lega (circa 20 milioni) il debito totale si aggira sui 50 milioni, una cifra monstre che nessuno si aspettava essere così ampia.

 

Il Cesena, che ha trovato l’accordo con i creditori, deve trattare con l’Agenzia delle Entrate per un piano di rientro ventennale cercando di evitare la richiesta di fallimento del Tribunale di Forlì: il 7 giugno il presidente Lugaresi si presenta all’udienza con il giudice fallimentare e tre funzionari dell’Agenzia delle entrate assicurano che il piano avanzato del Cesena è ancora al vaglio. Un pareggio fuori casa, che la città accoglie con moderato ottimismo. Dopo dieci giorni di attesa infinita e stressante, quando ogni momento sembrava buono per uno sviluppo positivo, la Pec dell’Agenzia delle Entrate arriva nella sede di Corso Sozzi: il piano per il pagamento ventennale di 20 milioni di euro, uno all’anno, è stato rigettato.

 

La città, incredule a disperata, assiste anche al dramma personale del presidente Giorgio Lugaresi che in una lettera fiume inviata ai quotidiani accusa il sindaco Lucchi e le aziende del territorio che non l’hanno aiutato, minacciando il suicidio. La società la mattina seguente ferma la campagna abbonamenti che era già arrivata a quota 1300. Poi i dirigenti si mettono al lavoro giorno e notte e ripresentano un piano di rientro all’Agenzia, che però rifiuta ancora.

 

Cominciano così tre giorni di Via Crucis in cui ogni tifoso che ha già sottoscritto la tessera stagionale può tornare a chiedere il rimborso. Contestualmente Cesena e Chievo vengono deferite per le plusvalenze fittizie dalla Procura Federale. È il momento di massima difficoltà, di stress estremo per una città che non aveva mai fatto i conti con il fallimento delle sue istituzioni: da qualche mese è fallita la Cassa di Risparmio, adesso sta per fallire anche il Cesena.

 

Il 29 giugno è stata presentata l’iscrizione alla Serie B, profondamente incompleta, ed è iniziata la corsa contro il tempo per il ricorso del 16 luglio. Intanto 1000 tifosi sfilano in città capeggiati dal sindaco e il Comune inizia la sua guerra fredda sfrattando la società dallo stadio e da Villa Silvia, centro sportivo di allenamento. È uno scambio di accuse, di vecchie ruggini e di problemi anche pratici da risolvere in fretta. Il Dino Manuzzi sarà uno degli stati che ospiterà l’Europeo U-21 della prossima estate e per questo erano in programma da mesi dei lavori di miglioria molto importanti: l’estensione del campo di gioco, le panchine nuove e soprattutto la sostituzione dell’erba sintetica con un nuovo fondo composto da una parte naturale e da una parte sintetica, lo stesso installato al Bernabeu tre anni fa.

 

Il Cesena aveva rassicurato tutti, Figc e Comune, che non ci sarebbero stati problemi mentre ora è tutto fermo e lo stadio un enorme cantiere a cielo aperto. Chi pagherà? Quando saranno fatti i nuovi lavori? Tutto doveva essere completato entro l’estate per permettere al Cesena di iniziare il campionato nella sua vera casa. Ma la domanda attuale è: esisterà ancora il Cesena ad agosto?

 

Un fantomatico fondo inglese intanto sembra interessarsi a rilevare la società con tutti i suoi debiti, il 12 luglio la Guardia di Finanza si presenta a casa di Giorgio Lugaresi alle 7.30 di mattina e poi si sposta nella sede del Cesena fino alle 22. Non c’è la firma dell’agenzia delle entrate, non è stata prodotta la fideiussione di 800mila euro per l’iscrizione e per la prima volta nella sua storia il Cesena non ha pagato gli stipendi (marzo, aprile, maggio e relativi contributi), e così lunedì 16 luglio la società decide di aderire all’istanza di fallimento.

 



Bisogna ripartire dalla Serie D, il Comune ha già istituito un bando per la manifestazione di pubblico interesse: si è fatta avanti una cordata campana e il gruppo Publisole con diverse aziende del territorio pronte e sponsorizzare la squadra. Ma manca ancora chi ci metterà la faccia, c’è bisogno del capofila, c’è bisogno di qualcuno che sieda dietro la scrivania di quello che dovrebbe diventare il Cesena FC. La prima squadra di Cesena attualmente è il Romagna Centro, compagine della frazione di Martorano che lo scorso anno ha ottenuto un’ottima salvezza in Serie D. Qualcuno invoca la fusione, altri contestano, l’impressione è che il Romagna Centro cederà il titolo, tenendosi stretto il florido settore giovanile. Entro la prossima settimana si dovrebbe capire tutto, la città è divisa e aspetta di capire per chi tifare il prossimo anno.

 

 

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