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Marco D'Ottavi
Bentornato Radamel Falcao
24 set 2021
24 set 2021
L'inaspettato approdo del "Tigre" al Rayo Vallecano è iniziato nel migliore dei modi.
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Marco D'Ottavi
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DAX Images/NurPhoto
(foto) DAX Images/NurPhoto
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Radamel Falcao al Rayo Vallecano, ve lo sareste mai aspettato? Il colombiano è arrivato nella terza squadra di Madrid come un fulmine a ciel sereno, lo stesso che taglia la maglia bianca del Rayo. Si è presentato ai tifosi con un breve video come se fosse tutto normale: il taglio fresco come sempre, i lineamenti duri da duro, i denti bianchissimi. Addosso una felpa immacolata di Dolce&Gabbana con la scritta Only Good Vibes. https://youtu.be/TkWrwtYRPsw Solo vibrazioni positive, quelle che Falcao ha sempre trasmesso quando il pallone arrivava dalle sue parti in area di rigore. Tutto passa rapidamente nel calcio di oggi, ma del Tigre è difficile scordarsi. C’è stato qualcosa nel modo in cui Falcao ha interpretato il ruolo di centravanti - negli anni migliori, ma anche adesso - che lo rende speciale. Se, a conti fatti, altri giocatori negli anni si sono avvicinati molto più di lui al duopolio Messi-Ronaldo, Falcao ha dato un espressione di potenza di certo meno continua ma al suo apice altrettanto intensa.Questa sensazione ha sempre avuto un costo, economico ma anche e soprattutto di “status”. Se infatti l’idea del vecchio campione che va in una squadra di basso livello non è nuova (solo qualche giorno prima Franck Ribery aveva firmato un contratto con la Salernitana), è piuttosto strano immaginarsi Radamel Falcao nelle vesti di eroe del quarto stato. Non che ci sia nulla di male, ma era difficile aspettarsi questa svolta. Dopo River Plate, Porto, Atletico Madrid, Monaco, Manchester United, Chelsea, di nuovo Monaco, Galatasaray, cosa ci azzecca il Rayo? Falcao ha sempre avuto questa immagine glitterata, sia nell’aspetto, sempre perfetto, asciutto e scattante, che nella carriera, dove spesso ha rappresentato il lusso di squadre che puntavano al lusso. Quando il Monaco l’ha preso dall’Atletico Madrid per 60 milioni di euro (che a sua volta l’aveva preso dal Porto per 40 milioni più 7 di bonus per avvicinarsi a Barca e Real) era sembrato lo spirito di un tempo nuovo. In un calcio in cui il dominio dei club storici veniva sfidato dai nuovi ricchi, Falcao doveva essere il piede di porco del Monaco per entrare nell'Olimpo del calcio europeo. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente. Il club monegasco ha finito per essere schiacciato nella sua rincorsa al vertice dal PSG degli sceicchi e da i problemi finanziari del suo proprietario Dmitrij Rybolovlev, mentre Falcao è stato fermato pochi mesi dopo il suo approdo in Francia dalla rottura del legamento del crociato sinistro, in una partita di coppa contro il Monts d'Or Azergues Foot, una squadra di dilettanti. In qualche modo quello era stato l’inizio del declino di un giocatore magnifico. Tornato in una squadra che faceva fatica a pagarne il faraonico ingaggio, avevano provato ad aggregarlo alla Premier League, lì dove girano i soldi, ma non era andata bene, né con lo United né con il Chelsea. Al ritorno al Monaco erano arrivate un paio di ottime stagioni, addirittura l’inaspettata vittoria del campionato da protagonista nel 2016/17, ma a quel punto era tardi per crederci ancora. Il passaggio in Turchia era apparso naturale: il Galatasaray era arrivato con un contratto da 5 milioni di euro l’anno per tre anni e se l’era portato a casa. Con queste premesse, quale poteva essere il passo successivo? Un ritorno in Colombia, dove Falcao è adorato ai limiti della divinità, era improbabile; più naturale un passaggio negli Stati Uniti o in Medio Oriente, dove i calciatori a fine carriera vanno non solo a prendere soldi, ma anche a posizionarsi, preparare il futuro a livello finanziario. Falcao invece ha rotto le tradizioni, si è ribellato a se stesso viene da dire, scegliendo una squadra che non solo “non è ricca”, ma è anche molto distante dall’idea di club che cerca una scorciatoia - sportiva o mediatica - nel nome altisonante. Fin dalla presentazione Falcao ha messo in chiaro il carattere rigenerativo dell’operazione. Niente proclami, a partire dal numero di maglia. Non il “suo” 9, ma il 3, il numero che vestiva il padre Radamel García - scomparso nel 2019 - quando era un difensore in Colombia. «Mio padre mi ha insegnato la passione per questo sport» ha detto il colombiano «Quindi quale modo migliore per rendergli omaggio ora che non è più qui?». Davanti a lui più di 3000 tifosi del Rayo lo acclamavano dalle tribune del fatiscente Stadio Teresa Rivero, senza credere davvero che Falcao potesse giocare per la loro squadra. Il presidente Raúl Martín Presa lo ha paragonato addirittura a Pelè, ricordando come gente del calibro di Pelè non dovrebbe giocare per il Rayo (in qualche modo era una battuta, per continuare dicendo che invece «Maradona sì», ricordando lo strano passaggio del fratello del Pipe a Vallecas). Non che sia tutto rose e fiori: mentre incitavano Falcao, i tifosi del Rayo fischiavano il loro presidente. Oltre ai problemi economici, c’è un rapporto conflittuale tra presidente e tifoseria, acuito dalla scelta di invitare allo stadio - mentre era chiuso al pubblico per via della pandemia - il leader del partito di estrema destra Vox. Il giorno dopo i tifosi si erano presentati allo stadio per disinfettarlo.

A spingere il presidente a fare un’offerta a Falcao era stato Mario Suarez, che con il colombiano ha condiviso lo spogliatoio dell’Atletico Madrid e di cui è grande amico. In quel momento il Galatasaray non voleva più tenerlo - 5 milioni per un 35enne erano diventati troppi. Al Rayo serviva una punta e Presa aveva tentato il colpo. Inaspettatamente dall’altra parte aveva trovato entusiasmo: Falcao vuole arrivare al Mondiale in Qatar con la Colombia e ha bisogno di una squadra che gli dia la possibilità di giocare e di farlo in un contesto competitivo. Il resto è successo molto in fretta, tanto che anche l’allenatore Iraola è stato preso alla sprovvista: «Non c'era molto tempo per esprimere un parere» ha detto dopo l'arrivo del suo nuovo centravanti. Lui era in campo, con la maglia dell'Athletic Club, in una delle notti più magiche della carriera di Falcao, quando ha realizzato una doppietta straordinaria con la maglia dell’Atletico Madrid nella finale di Europa League 2011/12.Falcao ha ricambiato l’affetto dei tifosi da subito, calandosi nella parte con lo spirito giusto. Il primo pallone toccato con la nuova maglia, appena entrato nella sfida contro il Getafe, è stato un recupero in scivolata a centrocampo. In qualche modo è sembrata una dichiarazione di consapevolezza. Il Rayo Vallecano non è solo una squadra che lotta per non retrocedere, che non può permettersi grandi giocatori o stipendi faraonici. Il Rayo è la squadra di un quartiere operaio di Madrid, uno dei più poveri della capitale, con una tifoseria fortemente antifascista; una squadra che prima di tutto si riconosce in un’identità. Forse per questo, dopo il primo gol arrivato pochi minuti, Falcao ha baciato lo stemma sulla maglia. Uno stop a sfilare tra due difensori avversari, due passi di preparazione e poi un destro violento e incrociato a mezza altezza che non ha lasciato scampo al portiere: erano più di 8 anni che il colombiano non segnava nella Liga, ma è sembrato non fosse passato neanche un giorno.

In quella stagione, sempre in una squadra di Madrid, i gol erano stati 28 nella Liga. Oggi è difficile aspettarsi altrettanto. Nel 1993/94, a 35 anni, Hugo Sanchez aveva segnato 16 gol in una stagione con il Rayo Vallecano. Senza sbilanciarsi Falcao ha detto di voler fare una stagione simile. Intanto, pochi giorni dopo, è arrivato il secondo gol. Sempre entrando dalla panchina, il colombiano ha spaiato il risultato a favore dei suoi contro l’Athletic Club con un colpo di testa ben oltre il 95esimo. Falcao è arrivato sulla punizione calciata dal suo compagno con la foga del predatore - della tigre, verrebbe da dire - e dopotutto i soprannomi non ti arrivano per caso (di solito). Per impattare il pallone si è dovuto torcere verso il basso, tanto era saltato in alto.

Ion Alcoba/Quality Sport Images/Getty Images

Grazie a questa vittoria, il Rayo Vallecano è sesto in classifica, in piena lotta per un posto in Europa. Una squadra storicamente minore, con un centravanti storicamente maggiore. Un cortocircuito che ci ha da subito affascinato, in un calcio sempre meno romantico, e che sta funzionando. È vero: è solo l’inizio, ma iniziare bene è il miglior modo per scrivere delle grandi storie.

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