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Fagioli è un giocatore per palati fini
21 mar 2023
21 mar 2023
La giovane promessa bianconera sta crescendo.
(copertina)
IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
(copertina) IMAGO / Gribaudi/ImagePhoto
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La grande prestazione di domenica contro l’Inter è stata per Nicolò Fagioli quella che viene definita la chiusura di un cerchio. Sempre contro l’Inter, nella partita d’andata giocata pochi giorni prima della pausa per i Mondiali, era arrivato il gol che aveva chiuso la partita, il suo secondo in Serie A dopo quello segnato una settimana prima a Lecce. Al Via del Mare Fagioli aveva messo in scena un teatro della nostalgia per i tifosi della Juventus. Aveva ricevuto dentro l’area giallorossa spalle alla porta, fermando il pallone con il sinistro. Poi si era girato su sé stesso, si era aggiustato il pallone con l’esterno destro e aveva disegnato in aria un arco che aveva finito la sua corsa sul palo alla sinistra di Falcone, che lo aveva osservato in cielo come una stella cadente. Fagioli aveva segnato alla Del Piero, insomma, e poi aveva alzato le braccia e gli occhi al cielo in un modo che sembrava uscito da un video d’epoca. Un video d’epoca di Tardelli, per la precisione.

Quelle immagini, come quelle molto simili viste la settimana successiva contro l’Inter, erano state una proiezione nostalgica per i tifosi della Juventus, pochi giorni dopo l’eliminazione dalla Champions League che certificava il grigiore del suo presente. Fagioli come orizzonte luminoso ma posto in un futuro lontano e indefinito: sembrava questo il suo destino alla Juventus fin dal primo momento in cui Massimiliano Allegri aveva parlato di lui. Era il settembre del 2018. «Noi abbiamo un ragazzo, che è un 2001, e adesso ve lo dico: vederlo giocare a calcio è un piacere. Si chiama Nicolò Fagioli, è un piacere perché conosce il gioco. Ha i tempi di gioco giusti, come smarcarsi, quando e come passare la palla. È bello vederlo giocare». Quattro anni e una proficua esperienza a Cremona dopo, la storia di Fagioli con la Juventus non sembrava essersi mossa poi molto. La pausa per i Mondiali era alle porte, e prima di quei due gol aveva giocato appena 39 minuti in campionato. I suoi gol, in questo senso, apparivano traballanti e vacui come visioni nel deserto, immagini di un futuro che sarebbe potuto anche non arrivare mai.

Che quasi 5 mesi dopo Fagioli, sempre contro l’Inter, non abbia avuto bisogno del gol per emergere come uno dei migliori giocatori della Juventus in questo senso è significativo. Di come il tempo, nel calcio, possa passare molto più lentamente o molto più velocemente che nel resto della realtà. Ma anche del fatto che la maturità di un calciatore sia più una nostra percezione che un oggettivo dato biografico. Come ha notato Giuseppe Pastore, Fagioli è nato lo stesso identico giorno di uno dei giocatori più forti del nostro campionato, Kvicha Kvaratskhelia. Perché dovremmo relegarlo a un orizzonte futuro se sta dimostrando di essere un giocatore di alto livello oggi? Lo stesso Allegri, prima della vittoria casalinga contro la Sampdoria, è sembrato sorpreso di avere a che fare già con un giocatore già formato: «Non lo immaginavo così maturo». Forse non è un caso che nel frattempo le sue parole siano diventate meno evocative, più precise riguardo i limiti e le potenzialità della sua crescita: «Lui è sveglio e furbo, credo che debba migliorare in fase realizzativa. Penso abbia, sia lui che Miretti, la potenzialità di fare qualche gol in più». L’allenatore della Juventus, che una volta aveva detto che per i giovani «c’è la Serie B dove devono giocare tante partite, una medio-bassa Serie A e poi a quel punto lì valuti se possono stare nella Juventus o in altre squadre», su Fagioli sembra aver cambiato idea. La prestazione di domenica contro l’Inter, in questo senso, è arrivata alla fine di un periodo in cui, tra campionato ed Europa League, Allegri lo ha messo titolare sei volte nelle ultime sette partite. Forse anche farli giocare ai massimi livelli della Serie A, questi cosiddetti giovani, non è poi una cattiva idea. E questo vale ancora di più per Fagioli.

Come ha scritto Marco D’Ottavi in un pezzo di più di un anno fa, quando era ancora alla Cremonese, «Fagioli è un centrocampista che va per volume più per singoli momenti, che deve toccare il pallone molte volte per accendersi, trovare il ritmo della partita e trasmetterlo alla squadra». Questo è vero dentro le singole partite, come vedremo, ma credo anche all’interno della stagione. Fagioli non è un giocatore che spacca la partita, che sa squarciare il suo arco narrativo con un singolo passaggio, ma ha bisogno di tempo e ritmo per trovare confidenza con il pallone nell’arco dei minuti, ma anche delle settimane e dei mesi. Credo sarebbe stato più difficile per lui trovare la stessa prestazione contro l’Inter se alle spalle non avesse avuto circa un mese di titolarità senza interruzioni. Da questo punto di vista, Fagioli rappresenta un prototipo di talento che è molto diverso da quelli che è solito produrre il calcio italiano. Calciatori che si caricano tutto il mondo sulle spalle, grandi portatori di palla che cercano di tagliare il nodo gordiano con la spada, come Chiesa, Barella o Zaniolo. Giocatori che ambiscono a esaudire il desiderio più recondito del pubblico: risolvere da soli le partite. Che Fagioli oggi sia invocato da molti in Nazionale maggiore, che sia addirittura preso a simbolo di un’istituzione che non riesce ad accorgersi dell’ovvio, potrebbe essere quindi un segno che persino il palato del nostro pubblico sta cambiando.

Potrebbe, perché c’è da dire anche che Fagioli può essere facilmente frainteso. Le due giocate che hanno fatto da copertina alle sue ultime prestazioni, il tacco con cui ha propiziato il rigore del momentaneo 0-1 contro il Friburgo e quello volante ai limiti del fallo laterale con cui ha servito centralmente Locatelli contro l’Inter, sono infatti rappresentazioni un po’ distorte del giocatore che è.

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Il tacco è infatti la giocata che illumina il buio, che crea alla cieca, e istintivamente quindi lo associamo alla visione di gioco. Ma Fagioli non è un numero 10 demiurgo che cambia la grammatica di una partita in corsa. I suoi numeri in fase di creazione sono piuttosto pallidi: in campionato appena 1.2 passaggi chiave e 0.07 xA su azione manovrata ogni 90 minuti. Il pallone, per Fagioli, non è uno strumento per creare nuove trame ma per annodare quelle già esistenti. In definitiva: per fare ordine.

È per questo che Fagioli ha bisogno di un po’ di tempo per entrare dentro la partita, sintonizzarsi sulle sue frequenze, e questo non significa solo toccare il pallone. Contro l’Inter, per esempio, la sua partita è cominciata realmente negli ultimi secondi del primo tempo. La squadra di Inzaghi stava provando a recuperare lo 0-1 sfondando a destra con Dumfries. Il terzino olandese ha superato con un rimpallo fortunato il ritorno di Kostic e poi ha messo la palla dietro per l’arrivo di Lautaro, che avrebbe voluto concludere l’azione dal limite dell’area. Alle sue spalle, però, è spuntato Fagioli, che gli ha tagliato la traiettoria di corsa costringendolo a inciampare sulle sue gambe. Non era la prima volta durante il primo tempo che Fagioli anticipava Lautaro (era successo già pochi minuti prima vicino al cerchio di centrocampo), segno del grande lavoro difensivo che Allegri gli aveva richiesto. In fase di pressing il numero 44 della Juventus doveva salire sul braccetto di sinistra dell’Inter, cioè Acerbi, ma se gli avversari riuscivano a superare la prima linea di pressione doveva correre tutto il campo all’indietro per coprire le ricezioni alle spalle di Locatelli, soprattutto quando questo scalava verso sinistra per seguire il possesso perimetrale dell’Inter.

Alla luce di tutto questo lavoro difensivo è ancora più impressionante che Fagioli sia salito così tanto di livello nel secondo tempo. La sua partita, negli ultimi 45 minuti di partita, ha iniziato a mostrare i colpi che più contraddistinguono il suo stile: controlli orientati a eludere la pressione, tocchi minimali con l’esterno, finte di corpo a ingannare il diretto marcatore. E questo nonostante la Juventus abbia mantenuto un atteggiamento piuttosto reattivo che l’ha vista chiudere la partita con poco più del 30% di possesso palla. Come se Fagioli potesse crescere di rendimento anche senza toccarlo, il pallone; anzi, come se l’avesse toccato. Per i giocatori come Fagioli, infatti, toccare il pallone significa assorbire la fiducia che emana, come se fosse un espediente magico, ed è raro vedere, soprattutto in un giocatore con un’esperienza a questi livelli così limitata, fare lo stesso con appena 20 tocchi di palla nel secondo tempo (uno in meno di Szczesny, per intenderci).

Anche in un contesto così difficile Fagioli ha fatto quello che sa fare meglio: utilizzare la palla per uscire da situazioni complesse. Al 48', per esempio, su una palla piovuta dal cielo sulla trequarti su cui si era avventato Brozovic ha cercato un sombrero al volo all’interno di un cerchio di centrocampo pieno zeppo di giocatori. Il centrocampista croato non ci è cascato ma alle sue spalle è intervenuto Soulé, che ha permesso a Fagioli di entrare nuovamente in possesso. Il numero 44 ha dato uno sguardo avanti e ma poi è tornato indietro spostandosi la palla con l’esterno per eludere il ritorno di Dimarco. Se non fosse stato per il raddoppio di Calhanoglu alle sue spalle sarebbe riuscito a riciclare un pallone che sembrava perso. Da quel momento la frequenza delle sue giocate, e il livello della sua ambizione, ha cominciato a salire.

Al 50' ha controllato una palla difficile, sputata fuori dall’area di rigore, e ha aperto il campo a Rabiot con un passaggio semplice solo all’apparenza, innescando l’immediata transizione della Juve. Il tacco con cui verrà ricordata questa sua partita arriverà solo pochi secondi dopo. Fagioli mette giù una palla difficile, che cade in verticale appena fuori l’area di rigore bianconera, mentre è pressato da una parte da Dimarco e dall’altra da Acerbi. Sono i momenti in cui, mentre tutti annaspano sudati, Fagioli sembra giocare col frac. Il numero 44 tocca all’indietro per De Sciglio, con un esterno sprezzante per la fatica avversaria, e poi si propone immediatamente sull’esterno, indicando il passaggio al compagno con il dito. De Sciglio esegue, ma la palla è alta e lenta, e Fagioli sente arrivare alle sue spalle di nuovo Calhanoglu. Questa volta, però, è il centrocampista italiano ad avere la meglio, con un colpo di tacco che ancora una volta mette Locatelli nella condizione di giocare subito in verticale.

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È una giocata che riassume Fagioli: un giocatore che cerca l'eleganza nelle cose semplici, che nel calcio com'è noto sono le cose più difficili. Ma le cose semplici non fanno statistiche rilevanti, ed è indicativo in questo senso che l'algoritmo di WhoScored come voto alla sua prestazione abbia restituito uno scialbo 6.2. Forse è per questo che, tra tutti i giovani della Juventus, è il più apprezzato da Allegri, sempre più interessato all'intangibile che al misurabile nel calcio. Fagioli è un giocatore per palati fini, quelli che sanno apprezzare l'effetto farfalla creato da una semplice finta di corpo.

Una delle costanti di queste azioni, poi, è che hanno bisogno dei compagni per funzionare. Nonostante la classe antica insita in alcuni dei suoi colpi, Fagioli non gioca in maniera solipsistica ma come una moderna mezzala di sistema. È significativo, in questo senso, che l’altra giocata che ha definito la sua partita sia nata a partire da un recupero difensivo sulla fascia destra, per coprire una precedente sovrapposizione di De Sciglio, come se Fagioli gli volesse restituire il favore di qualche minuto prima. Il terzino della Juventus non era riuscito a tenere in campo un cambio di gioco e l’Inter aveva provato a battere la rimessa laterale di fretta per prendere gli avversari di sorpresa. Fagioli, dalla trequarti, ha immediatamente cercato di correre all’indietro per recuperare la posizione e, sulla palla verso Mkhitaryan, e riuscito a mettere il corpo tra la sfera e l’avversario, costringendolo a girargli intorno mentre quello utilizzava il bacino per tenerlo lontano. La finta di corpo finale, con cui Fagioli si è liberato definitivamente del centrocampista armeno, ha fatto pensare alle parole di Allegri di qualche giorno prima quando aveva messo l’accento sul fatto che «spostarlo è difficile perché ha un bel culotto, con le gambe piantate in terra».

Le parole contadine di Allegri sembrano cozzare con l'eleganza aristocratica di Fagioli, che dal canto suo rappresenta un piccolo paradosso per la Juventus. Da una parte l’eleganza del suo gioco, lo sguardo da nobile sabaudo lo rendono il giocatore perfetto per incastrarsi nelle aspettative dei tifosi della Juventus, che infatti già provano per lui un’attesa messianica. Dall’altra però, per il tipo di giocatore che è, Fagioli sembra avere bisogno di una fiducia e un’idea di squadra intorno a sé che sembrano collidere con il modo con cui la Juventus si è pensata fino ad adesso. Se oggi ci sembra di vedere solo l’inizio delle potenzialità di Fagioli non è solo per l’età che ha ma anche perché ce lo immaginiamo in una squadra che avvicina molto i giocatori tra di loro, che li esalta facendogli toccare spesso il pallone, che li fa ruotare nelle posizioni per dare sempre sempre una possibilità al portatore di palla. Questa squadra non è la Juventus di ieri e di oggi, dove si cerca la vittoria correndo dritto per dritto, i giocatori vengono lasciati soli a trovare soluzioni e i giovani vengono visti con diffidenza, ma può essere la Juventus di domani. Il bello deve ancora venire, se lo si vuole davvero.

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