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Daniele Manusia
I gol più belli di Fabio Quagliarella
01 dic 2023
01 dic 2023
Abbiamo catalogato i capolavori dell'attaccante napoletano.
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Daniele Manusia
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Illustrazione Giorgio Mozzorecchia
(foto) Illustrazione Giorgio Mozzorecchia
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Quando Fabio Quagliarella era bambino, e il padre entrava nello spogliatoio dopo che aveva giocato con la squadra dell’oratorio vicino casa sua, nel rione Annunziatella di Castellammare di Stabia, lo trovava in lacrime. «Perché piange?», chiedeva il padre. «Piange perché è finita la partita», rispondeva l’allenatore. «Voleva continuare a giocare». Basta questo, forse, a spiegare il ritardo di Quagliarella nel dire addio. Poteva farlo quando la Samp è retrocessa e lui aveva il contratto in scadenza, nell’ultima partita di campionato, il 4 giugno contro il suo Napoli campione d’Italia. Oppure la settimana prima, quando è uscito dal campo col pubblico in piedi nascondendo le lacrime nella maglia blucerchiata: invece, proprio dopo quella partita con il Sassuolo ha detto di essere “disponibile” a giocare anche in Serie B. La Sampdoria l’ha salutato sui social a luglio, lui ha risposto con altrettanto affetto ma non ha chiarito se avrebbe smesso di giocare o se avrebbe cercato un’altra squadra. Alla fine si è arrivati a un anonimo lunedì di novembre perché dichiarasse ufficialmente di voler smettere. Che poi, voler smettere. Insomma. Per usare le sue parole: Quagliarella è costretto a smettere dalle sue condizioni fisiche «inaccettabili». Fosse per lui, è chiaro che continuerebbe anche a quarant’anni. Non c’è forse giocatore che più di Fabio Quagliarella abbia espresso il proprio talento nei suoi migliori gol. Se nel caso di altri attaccanti è sempre un po’ riduttivo, nel suo - pur tenendo conto che la stessa qualità che gli permetteva di segnare da ogni posizione la usava anche per cambi di gioco e filtranti - i gol sembrano una sintesi coerente con il suo percorso in carriera: sempre più centravanti, lasciando via via le zone esterne di campo, concentrandosi su un cono sempre più stretto con la porta avversaria alla base.

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Fabio Quagliarella è stato un viaggiatore lento, a cui sono serviti più di vent’anni per spostarsi di venti o trenta metri, studiando la topografia dell’area di rigore, le valli, le cime e i burroni, i venti che la percorrono, fino a diventare la guida d’area di rigore più esperta che il nostro campionato avesse. Ogni viaggio è una trasformazione e Quagliarella, partito come seconda punta/attaccante esterno, è diventato il più affilato dei numeri 9: ha segnato più di duecento gol in carriera e quasi la metà li ha fatti nelle ultime sette stagioni e mezzo, dopo essere tornato alla Sampdoria a 35 anni compiuti.

Marzo 2004, Fabio Quagliarella aveva 21 anni e con la maglia del Chieti in Serie C ha segnato 17 gol in 32 presenze. Delle rovesciate si parla più avanti, ma intanto pensavo vi avrebbe fatto piacere vederla, così, tipo l’amuse-bouche con cui lo chef vi accoglie nel suo ristorante stellato.

Non è stato facile per lui, salutare, e mi rendo conto solo adesso che non è facile neanche per me. Perché, altrimenti, non avevo realizzato prima dell’annuncio ufficiale, che no, non avremmo più visto Fabio Quagliarella giocare? Perché conservavo contro ogni logica la speranza che sarebbe tornato, magari in una serie inferiore? Così, per sancire a dovere l’addio, ho deciso di riguardarmi tutti i suoi gol (cosa che comunque faccio periodicamente, per piacere) e provare a classificarli. Fabio Quagliarella è i suoi migliori gol. Se lo giudichiamo da quelli, dalla loro qualità, e non dalla quantità (non ha mai segnato moltissimo, almeno per gli standard dell’élite, solo due volte in carriera ha segnato più di 20 gol stagionali), non dalla continuità, non dai trofei vinti, non dal livello delle squadre o dei tornei in cui ha giocato, se guardiamo alle variazioni nella ripetizione di certi gesti, alla ricchezza di soluzioni a sua disposizione, è difficile non dire che sia stato uno dei più grandi centravanti italiani di sempre. Anziché scegliere i dieci o quindici migliori, ho preferito raccoglierli in quattro macrocategorie in cui, a mio modesto avviso, Fabio Quagliarella ha raggiunto l’eccellenza assoluta. Ci sono stati e ci saranno altri finalizzatori come lui, persino più prolifici e continui, ma nessuno è stato o sarà qualitativamente migliore di lui in queste quattro sottodiscipline.

Diagonali Il calcio - lo dice il nome stesso dello sport - è prima di tutto la capacità di colpire il pallone. Il tiro quindi, il modo in cui la superficie del piede e il pallone entrano in contatto, con il primo che parla al secondo, chiedendogli di fare quello che dice lui, è il primo segno distintivo del talento, fin dalla più tenera età. Il padre di Quagliarella ha anche raccontato che, per avvertirlo della straordinarietà del figlio, il primo allenatore da cui lo aveva mandato (perché nel cortile sotto casa rompeva finestre e caldaie) gli ha detto: “Ha qualcosa di particolare, un modo di calciare che nessuno gli ha insegnato, un dono suo, un po’ diverso dagli altri”. E il tipo di conclusione che meglio certifica il talento di un centravanti è il tiro in diagonale sul secondo palo, dopo l’attacco alla profondità. Fabio Quagliarella resterà nella nostra memoria soprattutto come un creatore di gol sorprendenti, ma sono moltissimi i gol in cui, in modo apparentemente facile, si è limitato a calciare fortissimo, e con la più assoluta precisione, la palla sul palo più lontano. Il punto per lui non è mai stato il gesto eccezionale in sé, quanto scegliere il tipo di tiro necessario in quella specifica situazione, nella varietà davvero sterminata di soluzioni a sua disposizione. Con il destro e con il sinistro. In una puntata di Stili di Gioco (la newsletter per abbonati) che gli ho dedicato lo scorso giugno scrivevo che per lui segnare era come risolvere un rebus: “Immaginatelo come i labirinti della Settimana Enigmistica: Quagliarella trovava sempre la strada giusta per portare la punta della sua matita da una parte all’altra del disegno”. A volte quella strada era una linea dritta, o solo leggermente curva.

via GIPHY Questo è il suo terzo gol con la maglia del Torino, all’inizio della stagione 2014-15. Fabio Quagliarella aveva già 31 anni, si era rotto il crociato quattro anni prima e veniva da stagioni con la Juventus in cui aveva giocato sempre meno. Nell’ultima in bianconero è partito titolare tre volte e ha segnato un solo gol, contro il Chievo, forse la singola squadra ha cui a segnato più gol bellissimi, con cui in quell’occasione invece ha fatto una fatica incredibile a mettere la palla in porta (di testa la schiaccia addosso al portiere, poi da mezzo metro si fa parare con i piedi anche la ribattuta da meno di mezzo metro, la palla va sulla traversa e poi sul palo e solo con i piedi sulla riga di porta riesce a fare gol). Questo gol contro il Napoli - 5 ottobre 2014, in quello che si chiamava ancora San Paolo, è il gol del momentaneo vantaggio in una sconfitta per 2-1 - è incredibile sia per la difficoltà di esecuzione che per il coraggio che richiede. Quagliarella è stato anche uno dei migliori in assoluto a preparare il tiro con il controllo di petto (ci tornerò più avanti) e qui è evidentissimo: sul lancio di Maksimovic deve saltare e inclinarsi come un sedile del treno per controllare il pallone, dandogli un colpo di petto per portarselo in avanti e calciare subito, al volo, incrociando di destro. Lo spazio tra il portiere e il secondo palo è strettissimo, virtualmente inesistente, e lui non guarda mai in quella direzione. Può solo sapere dove si trova la porta. Eppure il tiro è troppo preciso e immediato. Con De Laurentis si erano già lasciati, ma se è vero che è stato un gol segnato contro il Napoli a spingerlo ad acquistarlo, chissà che questo non gli abbia fatto rimpiangere la fretta con cui la loro storia è finita. Con la maglia del Napoli invece ha segnato un bel gol in diagonale nel dicembre 2009, contro il Chievo. Anche in quel caso il controllo di petto era servito da preparazione: addirittura allontanandosi dalla porta, verso sinistra, per tagliare fuori il difensore che lo inseguiva e poi calciare immediatamente con il sinistro. Come detto, di gol di questo tipo ne ha segnati moltissimi. Sono la base su cui un attaccante costruisce tutto il resto. Quagliarella, però, ha mostrato fin dall’inizio un’artisticità non comune. Quando la Sampdoria ha preso metà del suo cartellino dall’Udinese nell’estate del 2006, e ha giocato la sua seconda stagione in Serie A - dopo quella con l’Ascoli, escludendo l’esordio con il Torino a 17 anni, una sola presenza - ha segnato i suoi primi due gol contro l’Atalanta. Il primo è un missile dal limite dell’area dopo aver caparbiamente e un po’ fortunatamente vinto un paio di rimpalli, il secondo invece è un pallonetto delicatissimo di sinistro: il portiere aveva fatto non più di un paio di passi fuori dalla porta per chiudergli lo specchio, e lui era molto esterno, oltre lo spigolo sinistro dell’area piccola. Come gli sia venuta in mente una soluzione così difficile è un mistero tanto quanto la naturalezza con cui lo fa.

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Un gol che ricorda quello segnato di destro alla Slovacchia e che stava per fare di Quagliarella un eroe nazionale.

Quasi quindici anni dopo questo gol - più precisamente a marzo del 2020 - un altro esempio (sempre contro il Chievo) della sua sensibilità euclidea. In quella stagione Quagliarella era già oltre il suo brevissimo “prime” delle due annate precedenti ma comunque si teneva competitivo. La palla di Depaoli viene leggermente da dietro ed è un pelo troppo sul corpo, troppo addosso, Quagliarella deve correre e coordinarsi per ruotare la traiettoria di più di novanta gradi: prende il tempo rallentando e allungando il passo e arriva sulla palla, che non è rasoterra, colpendola al volo di piatto, angolandola là dove non può vedere ma dove sa che il portiere non può arrivare. Ma forse il gol più bello in assoluto di questo tipo - e sarebbe bastato mostrarvelo per chiudere il discorso - lo ha segnato all’Inter il 20 febbraio del 2016. È la sua prima rete dal ritorno con la maglia della Sampdoria. Aveva 33 anni.

Lo segna al 92esimo di una partita finita 3-1, un gol inutile ma prezioso per come è confezionato. Sembrerebbe, anzi, che proprio perché non aveva senso, perché la palla di Muriel era troppo esterna, perché Miranda gli stava troppo addosso, perché era troppo lontano, perché in porta c’era un portiere lungo come Handanovic, che Quagliarella abbia deciso di calciare comunque in porta. Per dimostrare, forse, che lui la palla la mette in porta da dove vuole (come se, a quel punto, non la avessimo già capito). Nel caso sarebbe una piccola manifestazione di onnipotenza, rara per un uomo modesto e umile, forse persino troppo, tornato a Genova per chiudere la carriera, come a dire: sia chiaro che non ho intenzione di chiuderla presto. Se il tiro in diagonale è lo standard che tutti i veri numeri nove devono imparare a suonare, la Summertime per un giovane jazzista della metà del secolo scorso - è un pezzo composto da George Gerwishin negli anni ‘30 e suonato praticamente da tutti i più grandi musicisti - allora Quagliarella è il John Coltrane dell’area di rigore, la Janis Joplin di Castellammare di Stabia.

Da lontano o lontanissimo Il tiro da fuori, da molto fuori, da casa propria, è una soluzione quasi più da centrocampista che da attaccante. Oltretutto, statisticamente inefficace - certo, se tutti calciassero come Fabio Quagliarella la statistica cambierebbe. Quagliarella ha segnato una quantità tale di gol da posizioni assurde, oscene, che non si può parlare di eccezione, né tanto meno di casualità (una volta questi tiri erano definiti i “tiri della domenica”, su cui non si poteva fare affidamento ma che con la giusta dose di fortuna poteva segnare chiunque). E a meno che tu non stia cercando la buona sorte, il solo fatto di provarci da lontano denota una singolarità. E Quagliarella era il più singolare di tutti, anche solo per quanto spesso ci ha provato. Ci sono due tentativi che non sono andati a buon fine ma che, ne fosse entrato anche solo uno, avrebbero rafforzato ulteriormente la sua leggenda: il tiro con cui ha preso la traversa con la maglia del Napoli; e quello di due anni dopo in cui ha provato a segnare da centrocampo proprio contro il Napoli con addosso la maglia della Juventus. Anche questo tipo di cose sembravano incredibilmente naturali per Quagliarella, come se l’ipotesi di sbagliare, di colpire male la palla, non fosse neanche esistita. Calciare da fuori area, soprattutto al volo, sembrava quasi come dover calciare un rigore, per lui: i suoi primi due gol con la maglia dell’Italia vengono da una doppietta contro la Lituania, in una partita di qualificazione per Euro 2008: due tiri da fuori, uno di sinistro, con traiettoria a uscire, uno di destro al volo disegnando un piccolo arcobaleno. Il suo undicesimo gol in Serie A, in un Samp-Livorno del dicembre 2006, è un tiro al volo pazzesco dopo che il capitano, Volpi, aveva calciato una punizione sulla barriera. Quasi esattamente un anno dopo, contro la Roma segna uno dei suoi primi bei gol con la maglia dell’Udinese: Quagliarella controlla con l’interno un passaggio che gli rimbalza davanti, mentre corre verso destra, con le spalle alla porta, cioè, si prepara per calciare in porta girandosi dal lato opposto, ruotando verso sinistra. Il tiro poi è una sassata che schiaccia a terra in modo da mandarlo direttamente nell’angolino basso sul palo più vicino. In quella stessa stagione (marzo 2008) segna contro il Livorno con un tiro secco a mezza altezza di quelli che si fanno dal limite dell’area, solo che lui era a trenta metri o giù di lì.

Alla fine di quella stagione, contro il Catania, segna un gol che, se non ne avesse segnati altri dieci ancora più assurdi, forse ricorderemmo come merita. Lancio del portiere, controllo di collo con l’uomo addosso (Silvestre, difensore manesco) girandosi fronte alla porta, conduzione in diagonale sempre con l’uomo addosso, tiro improvviso da fuori area che scavalca il portiere e sbatte sulla parte inferiore della traversa. Nel marzo del 2013, durante la penultima stagione alla Juventus, dopo tre minuti segna un gol pazzesco contro l’Inter da fuori area: colpisce la palla così violentemente, dandole un giro a scendere talmente senza senso, che Bergomi e Caressa in telecronaca sono sicuri ci sia stata una deviazione. Arriviamo così a uno dei suoi gol più belli in assoluto, sicuramente uno dei più importanti della sua carriera se è vero, come ha detto Edoardo De Laurentiis, che il padre si “innamorò” di lui dopo averlo subito. Era alla sua seconda stagione con la maglia bianconera dell’Udinese, il 31 gennaio 2009, il giorno del suo 26esimo compleanno (dieci anni prima, dieci, di vincere il titolo di capocannoniere).

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E non è incredibile che undici anni dopo, nel 2020, abbia segnato un gol quasi uguale sempre contro il Napoli???

È il tiro che gli è valso il premio di gol più bello dell’anno agli Oscar del Calcio AIC e contiene una qualità che Quagliarella condivide con tutti i più grandi attaccanti: la capacità, cioè, di trasformare un cross brutto, basso e teso, in un assist perfetto per catapultare una mezza rovesciata a fil di palo. D’accordo la coordinazione, con il piede d’appoggio che scivola per fargli colpire la palla scendendo, tenendola bassa, d’accordo la tecnica pura che gli permette di impattare la palla così perfettamente, ma senza l’intuizione e il coraggio di poter calciare in quel modo da quella distanza questo gol non esisterebbe. In un’intervista Quagliarella ha detto che a volte, guardando le partite, gli capita di gridare: “Tira!” ai giocatori in tv. Ecco, con lui non sarebbe stato possibile: ha sempre tirato prima che la voce potesse uscirci di gola, a volte ha tirato anche quando nessuno, neanche il più fantasioso di noi, pensava che avrebbe potuto farlo.

via GIPHY Ad esempio, contro l’Atalanta, in una partita (con Mazzarri sulla panchina del Napoli) che ha portato poi all’esonero di Antonio Conte. Immaginate di giocare contro uno che dopo sei minuti su una palla morta a trequarti di campo, da fermo, carica un hadouken imparabile che sale e scende e sbatte sul palo più lontano dal portiere. Certi tiri di Quagliarella ti fanno pensare, semplicemente, che il portiere non serva a niente. Forse neanche due portieri lo avrebbero parato un tiro del genere. Ovviamente il capolavoro di questo tipo di gol è quello segnato al Chievo Verona con la maglia nera della Samp, il primo aprile del 2007.

via GIPHY È un gol che conoscono tutti, incredibile per l’esecuzione balistica, ma forse se conoscete e amate Quagliarella quanto me, riguardandolo, ne apprezzerete ancora di più la preparazione. Il passaggio al volo di Volpi è praticamente una spazzata, è così forte che quasi non sembra per Quagliarella. Ma lui non solo ha la lucidità di vederlo arrivare e controllarlo con il petto, ma lo controlla appositamente per prepararsi il tiro. Schiaccia la palla con il petto - fateci caso, lo fa calcolando il rimbalzo successivo - e, senza una pausa, senza niente che tradisca un momento di riflessione, si gira sulla palla e calcia in porta. Da, boh, quanti saranno, quaranta metri? E a quanti metri di altezza spedisce il pallone per poi farlo spiovere dentro la rete di Lorenzo Squizzi (portiere alto un metro e novantuno, oltretutto)? La porta, da quella posizione, poteva solo immaginarla. Noi, neanche quello.

Tacchi Questa categoria può sembrare superflua o comunque aneddotica, nel senso che il colpo di tacco è percepito come gesto superfluo e aneddotico per eccellenza, ma per Quagliarella anche questa era un’opzione di tiro al pari delle altre. Certo più complicata, ma possibile in determinate situazioni. Anche questo è un colpo raro, che un calciatore può usare una volta in carriera e se lo fa di più allora c’è qualcosa di unico, di eccezionale. Noi ricordiamo il tacco di Roberto di Mancini, il tacco di Amantino Mancini, il tacco di Del Piero, il tacco di Zamorano. Quello che è andato oltre è stato Zlatan, in quel sottogenere chiamato “scorpione”. Fabio Quagliarella, invece, ha segnato tre gol di tacco, ognuno leggermente diverso dall’altro, tutti fantastici.

via GIPHY Il primo con la maglia della Juventus, contro la sua ex Udinese - contro Zapata che doveva conoscerlo piuttosto bene oltretutto. È il suo secondo gol per la Juve, con cui prima di rompersi il crociato aveva segnato 9 gol, che basteranno per finire la stagione come miglior marcatore in campionato insieme a Matri. Con Quagliarella la Juventus aveva speranza di qualificarsi in Champions League e invece (era la stagione 2010-11, con Luigi Del Neri in panchina) senza Quagliarella finirà settima. Di eccezionale in quel colpo di tacco c’è la rapidità con cui legge il cross di Krasic e pianta i piedi, si lascia cadere, un po’ perché Zapata da dietro lo carica e lo trascina, un po’ perché in quel modo può tenere il piede nel punto giusto per fare da sponda verso il secondo palo. Il principio di questi colpi di tacco è sempre lo stesso. E forse una coincidenza più straordinaria delle altre è che ne abbia segnati due nella stessa stagione, quella dei 26 gol (2018-19). Il primo lo ha realizzato il 2 settembre, nella prima partita giocata in casa, contro il Napoli, e gli è valso la candidatura al Puskas.

Quagliarella in questo caso non trasforma neanche il cross di Bereszyinski in un assist, fa davvero tutto da solo, con un movimento del corpo contorto e un tiro - un vero e proprio tiro, non solo una sponda come prima - con la parte più dura e insensibile del piede. Non esulta, come al solito da dopo la stagione 2009-10 in cui ha giocato per la squadra del suo cuore ed è stato costretto a separarsene a causa delle minacce anonime di un agente della polizia postale che verranno alla luce solo anni dopo, ma questa non-esultanza a me pare diversa dalle altre. Qui c’è qualcosa della non-esultanza di Eric Cantona dopo il gol al Sunderland, quando guarda il suo pallonetto storto entrare sotto l’incrocio e prende una posa da statua girando su se stesso come se volesse contemplare la sua stessa grandezza nello sguardo di chi lo circondava (Cantona, anche lui, era praticamente a fine carriera quando ha segnato quello che oggi resta come il suo gol più bello). Anche Quagliarella ha un atteggiamento regale, la sua camminata lenta, un po’ legnosa per l’età, il sorriso che trattiene sotto una maschera seria a me parla di un calciatore che non ha avuto il riconoscimento che sa benissimo di meritare. Fosse così, sarei stato - e lo sono ancora - d’accordo con lui. Due mesi dopo, il giorno di Santo Stefano, in mezzo a una striscia in cui segnerà per 11 partite di seguito eguagliando il record di Gabriel Omar Batistuta, Quagliarella segna con un altro colpo di tacco ridicolo.

Stavolta è un tacco-esterno, una specie di rovescio con cui risolve il problema di calciare in porta anche se la punizione di Gaston Ramirez lo aveva costretto a girarsi con le spalle a Sorrentino. Quello contro il Napoli era più geniale, ha dovuto imprimere più forza alla palla e colpirla veramente alla cieca, qui forse, con l’area piena di gente, è stato anche un po’ fortunato. Dopo il gol si lascia andare, corre sui tabelloni e allarga le braccia davanti al suo pubblico genovese. Immaginate avere un attaccante che a 35 anni segna due gol del genere proprio davanti a voi a due mesi di distanza l’uno dall’altro. Immaginate aver avuto un attaccante del genere in Serie A e non averlo celebrato come un fenomeno rarissimo, unico.

Rovesciate Vi ho già mostrato, come antipasto, la rovesciata segnata in Serie C, con il Chieti. Quante altre rovesciate può fare un attaccante in carriera? Ecco, diciamo che per Fabio Quagliarella il decimo gol in Serie A, segnato a 23 anni, è già la sua seconda rovesciata in carriera. Lo ha segnato con la maglia della Samp, contro la Reggina.

via GIPHY Ci sono almeno due cose incredibili qui: 1) il difensore lo trattiene e lui riesce lo stesso a saltare e sforbiciare; 2) dopo quel gesto tecnico assurdo Quagliarella cade in piedi. Cioè fa in tempo ad alzarsi, sdraiarsi in aria come se avesse un tappeto volante sotto la schiena, rovesciare la palla in rete fortissima, e poi a far riscendere le gambe per non finire sul sedere. Il difensore che lo marca, invece, finisce in ginocchio. E ti credo. Era il dicembre 2006, in quella stessa stagione, ad aprile 2007, ha segnato da centrocampo al Chievo. Dicembre 2010, Chievo Verona-Juventus, partita decisa da questo gol in cui Quagliarella, ancora con un difensore che lo trattiene, si avvita su se stesso per calciare la palla in rete come se fosse fronte alla porta. Povero Sorrentino, ha preso anche questo. Questo è l’ultimo gol di Quagliarella nella prima stagione con la Juventus, prima di rompersi i legamenti crociati. Dopo, niente sarebbe più stato uguale, ed è difficile non chiedersi cosa sarebbe successo se….

Comunque, Quagliarella torna a giocare e due stagioni dopo e tra settembre e novembre del 2012 segna altre due rovesciate. La prima, neanche a dirlo, contro il Chievo. È una rovesciata meno spettacolare delle altre ma forse tecnicamente più difficile, la palla è più bassa e lui è più lontano. Colpisce con la gamba rigida e non alza il tiro, non angola neanche e colpisce quasi il povero Sorrentino, che forse sorpreso arriva a deviare il tiro ma solo per mandarlo sotto all’incrocio. (In quella partita ha segnato una doppietta, il secondo anche è un bel gol in cui salta l’ultimo difensore alzandosi la palla, con un pallonetto che gli fa sfilare il pallone all’altezza del fianco, prima di concludere in diagonale). A novembre, contro il Pescara di Stroppa, segna una tripletta (più un assist) e il terzo gol è una sua classica rovesciata appoggiandosi al marcatore. Stavolta prende la palla di collo pieno e quando entra in rete sembra sparata da un cannone. A marzo del 2019 segna la sua rovesciata più brutta contro la Spal, che è forse più una mezza-rovesciata ma che comunque fa con l’uomo addosso, che lui sposta con l’anca, colpendo la palla con forza tale che il portiere, Viviano, ci arriva ma non riesce a pararla. Aveva 36 anni. Se li contate, vedrete che sono la bellezza di 5 gol in rovesciata. Di cui 3 nel travagliato passaggio in maglia juventina. Ma la sua ultima sua grande rovesciata è della stagione 2019-20 (2 dicembre) nella partita finita 4-3 per il Cagliari. Ronaldo Vieira, da destra, mette un cross arretrato, Quagliarella si appoggia a Faragò e gli impedisce di arrivare di testa là dove lui arriva di piede. Colpisce fortissimo e la palla viaggia sotto la traversa, dove però arriva anche la mano di Rafael.

Intorno a lui i suoi compagni si mettono le mani nei capelli mentre Quagliarella in ginocchio sorride: possibile che uno faccia una cosa del genere a quasi 37 anni e un portiere che nessuno ricorderà (senza offesa) si permetta di fare un miracolo del genere? In una partita, oltretutto, con 7 gol, in cui Quagliarella stesso farà doppietta (di cui un gol con uno splendido sinistro al volo sul primo palo). Da questa mia selezione sono rimasti fuori molti gol bellissimi ed eccezionali - tipo il colpo di testa rasoterra in un trascurabile Juve-Lecce, o quell’altro gol bellissimo di testa contro il Milan, sempre nella prima stagione alla Juve - il mio è un tentativo di categorizzare l’incategorizzabile, la fantasia di un calciatore unico che abbia

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