Chi è più vivo tra Andrea Bertolacci e Josè Mauri?
L’Europa League è quel multiverso in cui i giocatori che credevamo morti tornano in campo dall’aldilà. È quello che è successo anche ieri in Dudelange Milan, dove i rossoneri si sono presentati con un centrocampo che sembrava un’allucinazione:Josè Mauri, Bakayoko e Bertolacci.
La partita è stata quindi anche l’occasione per misurare il grado di vitalità di due centrocampisti che erano stati rimossi dai nostri meccanismi di memoria selettiva. Era arrivato al Milan nell’estate del 2015 dopo essersi svincolato dal Parma fallito, aveva scelto la maglia numero 5, quella di Sulley Muntari, e non giocava titolare da un anno. Bertolacci invece era arrivato al Milan all’interno del pacchetto che portava dalla Roma al Milan anche Alessio Romagnoli - e a cui sembra indirettamente legato anche il mancato riscatto da parte del Milan di Mattia Destro. Bertolacci.
Dopo ottime stagioni col Genoa di Gasperini, la delusione delle prestazioni di Bertolacci è riassunta da Silvio Berlusconi che va da lui e gli dice: «Sei lo stesso che lo scorso anno ci ha segnato un gol bellissimo in inserimento?».
Abbiamo riguardato la partita di ieri per stabilire chi appartiene al regno dei vivi e chi a quello dei morti.
Prendere una busta da un giocatore del Dudelange di nome Couturier
Bertolacci 0 Josè Mauri -1
Lancio oltre la difesa
Bertolacci 1 Josè Mauri -1
Cambio gioco col piede debole
Bertolacci 1 Josè Mauri 0
Scivolata da argentino pazzo
Bertolacci 1 Josè Mauri 1
I 999 passaggi all’indietro ai difensori
Bertolacci 0 Josè Mauri 1
Risultato: Josè Mauri è l’unico tra i due ad aver mostrato qualche segno di vita nella partita contro il Dudelange.
Bonus: Bakayoko
Il gol del 3 a 2 del Red Bull Salisburgo
Ieri il mondo è finalmente arrivato alla fine della storia quando si sono incontrate sul campo due squadre di calcio, nella stessa competizione europea, appartenenti allo stesso proprietario, che è un produttore di energy drink.
Come tutti i migliori prodotti del capitalismo globale - dello “sradicamento di massa” direbbe il maestro Fusaro - è stata una partita divertente. Quel tipo di divertimento frivolo costruito su difese allegre, giocatori di ogni nazionalità - dal Mali a Israele - fare grandi giocate e un gol segnato con uno stile puramente Harlem Globetrotters.
Dopo che il Red Bull Lipsia è riuscito a rimontare dal 2 a 0 al 2 a 2, il Red Bull Salisburgo ha sviluppato una ripartenza in tre tocchi: due colpi di tacco e il tiro con cui Guldbransen ha permesso al Salisburgo la vittoria contro la squadra di cui fino allo scorso anno erano di fatto la formazione satellite.
La vittoria ha avuto un sapore particolare anche per i due allenatori. Sulla panchina del RB Lipsia sedeva Ralf Rangnick, uno dei maggiori teorici del gegenpressing in Germania e padre nobile della galassia Red Bull; su quella del RB Salisburgo Marco Rose, che anche in estate sembrava destinato a sedere sulla panchina del Lipsia. Rangnick a fine partita è andato fuori di testa: «Non è possibile, non ho mai visto niente del genere in vita mia».
È possibile che ora ai suoi giocatori tocchi la ormai mitica “ruota della sfortuna”, una ruota di cartone che i suoi devono girare quando non rispettano il regolamento. A ogni spicchio della ruota corrisponde una punizione: allenarsi con le giovanili in una giornata libera; lavorare nello store ufficiale; indossare un tutù da ballerina; acquistare regali per 60 membri dello staff.
Guardado doesn’t feel so good
C’è qualcosa di più bello del Betis in Europa League, qualcosa di più bello di Quique Setièn in Europa League, qualcosa di persino più bello di Andrès Guardado in Europa League. Questa cosa è Andrès Guardado in Europa League con la maglia del Betis con sopra disegnato il meme disintegration.
Conosci la tua squadra di Europa League: Dudelange F91
Sulla collina dietro Dudelange ci sono dei resti di un castello e di una chiesa della fine del ‘400 che appartenevano all’ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Nel 1794 un frate eremita lo ha eletto a luogo di pellegrinaggio ed è ancora oggi un sito carico di spiritualità. Le rovine disposte circolarmente attorno a questo colle verdeggiante iscrivono il Mont Saint Jean in un immaginario Voyager. Il grande Johannes Bertelius, abbate di Altmunster e redattore della migliore Storia del Lussemburgo descrive scene di pellegrini che danzano tarantolati per raggiungere il Monte e chiedere a San Giovanni la cura per tutti i loro problemi. Oggi ogni 24 giugno una processione parte da Dudelange per raggiungere il monte, da dove si può apprezzare una visuale mozzafiato sulla valle de l’Alzette.
Il nome Dudelange suona come una marca di maglioni da papà o come una birra belga trappista troppo fruttata. In lussemburghese il nome corretto della città sarebbe “Diddeleng” ma, come ogni cosa che viene dal Lussemburgo, ha a che fare col capitalismo. La ‘D’ di Dudelange è l’ultima della sigla ARBED, la più importante industria metallifera lussemburghese, motore propulsivo della crescita durante “Les Trentes Glorieuses”, i trent’anni di crescita economica esponenziale della Francia nel dopoguerra.
Oltre all’industria del metallo, però, Dudelange è anche una città di cultura. Non solo perché ospita gli studi televisivi nazionali ma anche perché ha dato i natali a un genio della pittura impressionista come Dominique Lang. Nel suo Esch-sur-Alzette il fiume Alzette scorre tra banchi vegetali verde smeraldo restituendo l’idea di un Lussemburgo mitico.
Al centro dello stemma del Dudelange F91 c’è il leone dello stemma del Gran Ducato di Lussemburgo, solo che è incorniciato da una scritta anni ‘80 che riporta la dicitura “F91”, anno di fondazione del club, nato dalla fusione di tre squadre che avevano vinto titoli nazionali: Alliance Dudelange, Stade Dudelange e US Dudelange. Il risultato è un mostro a tre teste che tremare il Lussemburgo farà. Dalla stagione 1999/00 il Dudelange ha vinto 14 titoli nazionali, 14 su 18. Ora, insomma, è più difficile che il Dudelange non vinca rispetto alla possibilità che vinca. Nonostante il dominio domestico, però, la squadra non aveva mai partecipato a una competizione europea, fino a quest’anno, quando il doppio confronto col Cluj li ha promossi in Europa League.
L’autoritario 2 a 0 dell’andata, con i gol commentati da telecronisti lussemburghesi impazziti.
Il Dudelange è la prima squadra lussemburghese della storia a qualificarsi in Europa League e, come potete immaginare, contiene una serie di statistiche e aneddoti assurdi.
- Un mese di stipendio di Higuain pagherebbe un anno di Dudelange, ha dichiarato Dino Topmmoller, tecnico della squadra.
- Dudelange è una cittadina di ventunomila abitanti, che entrerebbero quattro volte dentro San Siro. Sono circa un decimo degli abitanti del secondo Municipio di Milano.
- Transfermarkt stima un valore di circa 3 milioni e 900 mila euro per tutta la squadra del Dudelange, circa la metà dell’attuale valore del solo Fabio Borini.
La sede del Dudelange da fuori sembra un’agenzia di assicurazioni, messa in mezzo tra un bistrot e un “Royal Kebab”. Il Nos Josbaum Stadium contiene appena 2600 spettatori e allora per l’Europa League il Dudelange deve giocare al Josy Barthel Stadium, lo stadio nazionale di Lussemburgo che contiene 8 mila spettatori (5 mila in meno di quello dell’Arezzo) e intitolato al vincitore dei 1500 metri alle olimpiadi del 1952, unico lussemburghese a vincere l’oro olimpico. In città c’è una forte presenze di immigrati italiani, che hanno dato vita nel 1990 al “Silvio Berlusconi Milan Club”, in onore di un presidente che, per il suo spirito europeista, ha sempre avuto un rapporto privilegiato con Lussemburgo.
Al centro della difesa del Dudelange gioca Tom Schnell, impiegato comunale, 33 anni passati a tifare Milan, che ha dichiarato: «Sarà una vera emozione poter stringere la mano a Rino Gattuso. Tra l’altro, il mio idolo qualche anno fa era Philippe Mexès». Accanto a lui, al centro della difesa, c’è Jerry Prempeh, che aggiusta le macchine della Lavazza, sponsor della squadra. Edis Agovic, centravanti della squadra, 5 presenze nel Lussemburgo U-21, nella vita fa il postino. Il tecnico, Dino Toppmoller, è figlio di Klaus Toppmoller, ex allenatore che portò il Bayer Leverkusen in finale di Champions League contro il Real Madrid. Alla fine della partita il tecnico si è dichiarato soddisfatto di non aver subito una goleada: «Abbiamo dato il massimo» ha dichiarato con un sorriso.
5 cose che dovreste sapere sul Lussemburgo oltre l’evasione fiscale
È l’unico gran ducato rimasto al mondo ed è retto da Henri Albert Gabriel Félix Marie Guillaume, gran duca di Lussemburgo e inesausto indossatore di cravatte regimental.
Il Gran Duca, cattolico e praticante, si era opposto alla legge sulla legalizzazione dell’eutanasia, entrata in vigore nel 2009. Il parlamento lussemburghese, in fissa con la morte, ha depotenziato il Gran Duca per impedirgli di interferire sulla promulgazione della legge.
La più massiccia presenza di immigrati in Lussemburgo è costituito dalla comunità portoghese. A Lussemburgo esiste un distretto “portoghese” e dentro ci trovate la cassaforte di CR7.
Esiste una lingua lussemburghese e la prima frase di sempre scritta in tale lingua risale a un’edizione del “Luxemburger Wochenblatt” del 14 aprile del 1821.
Il Lussemburgo è il paese europeo che vende più alcol a persona (tirate voi le conclusioni).
Chi sa solo di Europa League, non sa niente di Europa League
Torna l’Europa League, torna il quiz sull’Europa League il quiz migliore tra quelli che non prevedono la presenza di garra charrua. Ricapitoliamo un attimo come se fosse l’inizio di una nuova stagione di Game of Thrones: noi facciamo le domande, voi date le risposte. Facile, no? In questa puntata si tratta di scegliere tra una serie di nomi quali sono allenatori di squadre partecipanti ai gironi dell’Europa League e quali sono personaggi dei libri di J. R. R. Tolkien.
P.s: potete ovviamente controllare su Google, ma questo andrebbe contro lo spirito stesso dell’Europa League (non sono sicuro ne abbia uno, dovrei controllare, comunque avete capito).
Giles
Sofronis Avgousti
Heiko Herrlich
Tom Bombadil
Grima Wormtongue
Gennaro Gattuso
Berilac Brandybuck
Radoslav Latal
Dino Toppmöller
Fredegario Bolgeri
Risposte: 1) Giles il contadino di Ham, protagonista de “Il cacciatore di draghi”. 2) Allenatore Apollon Limassol. 3) Allenatore Bayern Leverkusen. 4) Personaggio ne “Le avventure di Tom Bombadil” e ne “Il signore degli Anelli”. 5) Personaggio poco raccomandabile de “Il signore degli anelli”. 6) Personaggio poco raccomandabile, allenatore Milan. 7) Hobbit. 8) Allenatore Spartak Trnava. 9) Allenatore F91 Dudelange. 10) altro hobbit.
Una piccola Rio
Scorre placido il fiume Beli Lom a Razgrad, bagnando le notti europee del Ludogorets, ma soprattutto la vita di dieci brasiliani. Tanti sono i giocatori carioca presenti nelle file della squadra bulgara che in questa stagione ha pensato bene di affidarsi anche ad un allenatore brasiliano, Paulo Autuori de Mello, una scelta di buon senso.
Nella sconfitta per 3 a 2 contro il Leverkusen, una bella partita, il Ludogorets schierava 5 brasiliani in campo e 3 in panchina. Di questi la maggior parte ha la doppia nazionalità. Se infatti può sembrare difficile avere non uno, ma ben due passaporti, questo diventa facile se hai la saudade e giochi sufficientemente bene a pallone.
Renan - brasiliano bulgaro
Portiere, nessuno sa cosa possa avere di bulgaro.
Natanael - brasiliano bulgaro
Terzino sinistro, ruolo in cui è giusto fidarsi solo dei brasiliani.
Lucas Sasha - brasiliano italiano
Non si trovano molte informazioni sul perché Lucas Sasha sia mezzo italiano, vi basti sapere - però - che nella stagione 2011/2012 ha giocato una partita col Catanzaro.
Gustavo Campanharo - brasiliano italiano
Numero 10, se avete vissuto a Verona tra il 2014 e il 2015 forse era vostro vicino.
Marcelinho - brasiliano bulgaro
La star dei brasiliani naturalizzati bulgari. Leader tecnico ed emotivo del Ludogorets si è fatto naturalizzare così tanto da diventare un giocatore della nazionale bulgara.
Wanderson - brasiliano bulgaro
È il Wes Anderson brasiliano. No scherzo, è un’ala rapida e tecnica, il tipo di brasiliano che non puoi non avere se la tua squadra è composta principalmente di brasiliani.
Rafael Forster - brasiliano
Il brasiliani nel Ludogorets a questo punto sono diventati così tanti che non è sembrata una cattiva idea prenderne uno bianco di chiare origini europee e non trovargli un secondo passaporto.
Cicinho - brasiliano
Altro terzino, col nome da terzino e un passato nel Santos.
João Paulo - brasiliano
Hanno così tanti brasiliani, che questo l’hanno dato in prestito nonostante il nome promettente.
Junior Brandão - brasiliano
Il mio preferito, appena preso, il suo score è composto da 9 gol nella serie B brasiliana.
Chersnakov, capitano del Vorslka, si lava la faccia con lo sputo come i gatti
Un antico rito propiziatorio del gol.
Chi è il nuovo Aduriz?
Se avete a cuore questa rubrica - o almeno l’Europa League (o quanto meno le cose belle) - ieri avete pensato ad Aritz Aduriz. La sua assenza rende questa edizione un po’ meno Europa League, ma non è il caso di abbattersi: come diceva Inaki Williams, “morto un Aduriz, se ne fa un altro”.
Come trovare però il nuovo Aduriz? Ecco alcune caratteristiche che deve avere:
- rughe quando sorride;
- fortissimo, ma non un fenomeno;
- carriera un po’ di nicchia;
- numero partite di Europa League;
Ryan Babel - Besiktas
Rughe
Babel ha “solo” 31 anni, ma sta in giro da tanto, quasi da sempre.
È molto forte?
In questa stagione ha già segnato 6 gol, di cui uno alla Francia in Nations League (l’Europa League delle nazionali?).
Carriera
Alcuni passaggi della carriera di Ryan Babel: TSG Hoffenheim, Kasimpasa, Al-Ain FC, Deportivo La Coruna.
Partite in Europa League
18, con 5 gol e 2 assist.
Ivan Santini - Anderlecht
Rughe
Ivan Santini ha 29 anni, ma 29 anni croati equivalgono ad almeno 37 anni non croati, come si evince dalla foto.
È molto forte?
Nell’indifferenza più totale Ivan Santini ha segnato 119 gol in carriera tra cui 7 concentrati tra il 28 luglio e il 12 agosto di quest’anno. Da qualche settimana gioca anche nella nazionale vice-campione del Mondo.
Carriera
La carriera di Ivan Santini forse non la conoscete, ma potreste riscriverla su un foglio bianco in questo momento. È così tortuosa ed indecifrabile che ad un certo punto ha giocato nel Koninklijke Voetbalclub Kortrijk, squadra in cui ora gioca Avenatti, futuro uomo Europa League.
Partite in Europa League
Ieri era la prima, speriamo di una lunga serie.
Joaquín - Betis
Rughe
Joaquín ha 37 anni (come Aduriz), ma soprattutto la faccia bruciata dal sole come un pescatore dell’Andalusia.
È molto forte?
Beh, conoscete Joaquín sufficientemente bene da rispondere a questa domanda da soli.
Carriera
Mai in squadre veramente blasonate, sempre in squadre vagamente di culto. Il Betis con Ricardo Olivera e Denilson, il Valencia con David Villa, Mata, Banega e Nikola Žigić, la Fiorentina di Montella.
Partite in Europa League
26, con 5 gol e 4 assist. Purtroppo anche 13 in Coppa UEFA (2 gol, 2 assist).
Simon Kjaer - Siviglia
Rughe
Simon Kjaer appartiene alla tipologia di persone più soggette alle rughe sulla faccia della terra: i nordici che si fanno le lampade. A 29 anni non ha capito che la pelle va protetta come un tesoro e non stressata come un trofeo.
È molto forte?
Domanda la cui risposta è complicatissima. Analizziamo la situazione: al Palermo molto forte, al Wolfsburg mezzo scarso, alla Roma un disastro, al Wolfsburg di nuovo ma perché non lo voleva nessuno, al Lille neanche ce lo ricordiamo, al Fenerbahce inaspettatamente bene, al Siviglia ancora meglio.
Carriera
Guarda sopra + una volta ha fatto quasi a botte con Ibrahimovic.
Partite in Europa League
22, 3 gol.
Siccome l’Europa League è un processo democratico, noi vi abbiamo fornito gli strumenti, ma il nuovo Aduriz ve lo scegliete voi, stasera al bar con gli amici, domani a colazione con la vostra fidanzata/o, domenica a pranzo dai parenti.
Il non gol più Europa League
Islam Slimani
Caos: 10
Senso di disfacimento: 7
Scenicità: 6
Quest’azione va di diritto nei momenti slapstick del calcio - insieme a cose come il primo gol di Chevanton in Serie A - dove Islam Slimani potrebbe essere interpretato da Buster Keaton.
Senad Lulic
Caos: 6
Senso di disfacimento: 9
Scenicità: 7
Per un attimo Lulic sembrava poter fare un gol molto bello, quello in cui l’attaccante sfrutta tutto il gap di calma che ha sul difensore che prova a salvare disperatamente un gol per fargli fare una brutta figura. Quel momento è quasi Lulic rientra d’esterno sul destro. Poi però invece di segnare tira pianissimo nell’unico centimetro di spazio in cui il difensore poteva salvare il gol, facendogli fare una brutta figura.
Andreas Giannotis
Caos: 10
Senso di disfacimento: 9
Scenicità: 7
Giannotis esce con tempismo su un filtrante di Lo Celso e spara la palla nell’iperspazio. Quando ridiscende è quasi in area di rigore. Il portiere del Betis ne è intimorito come fosse un asteroide e per poco l’attaccante dell’Olympiakos non ne approfitta per segnare.
L’assist di Gavranovic è buono come un Ćevapčići con la salsa di peperoni
Il trionfo della Dinamo Zagabria sul Fenerbahce ha la faccia di Mario Gavranovic, che ha realizzato gli assist per i primi due gol dei croati. Il secondo assist contiene una caratteristica che rende speciale ogni assist: la sensazione che chi ha servito l’assist viva su una frequenza percettiva diversa e più ampia rispetto a tutti quelli che lo circondano. Gavranovic stoppa la palla col sinistro, la porta in area difendendola e poi se ne libera con un colpo di tacco sulla corsa del compagno che assomiglia a una regina che tira brioche al popolo.
Tre giocatori del Dudelange che farebbero la gioia di ogni titolista
“Il portiere che ti lascio di ghiaccio Frising”
“Il centrocampista dal passo elegante, Stelvio”
“L’ala che fa accademia, Kruska”
Come è andato l’esordio europeo di Marchisio con lo Zenit?
Secondo alcune voci non confermate, uno dei motivi per i quali Marchisio ha scelto lo Zenit di San Pietroburgo è l’impossibilità di incontrare la Juventus. Questo vorrebbe dire che il centrocampista italiano ha scelto scientemente l’Europa League come il suo torneo di riferimento e che proverà a rimanerci più anni possibile (ipotizzando una Juventus sempre in Champions e mai terza nei gironi).
Partito dalla panchina, Marchisio è entrato al minuto 58 al posto di Mak per occupare la posizione di centrocampista centrale sinistro in coppia con Paredes in un 4-2-3-1. Un ingresso non molto fortunato, dato che il Copenaghen è riuscito a pareggiare pochi minuti dopo grazie ad un tocco ravvicinato di Pieros Sōtīriou (altro materiale da Europa League da tenere d’occhio). Marchisio non è riuscito a chiudere in tempo su Viktor Fischer che ha servito l'assist, ma non è di certo il più colpevole.
Da quel momento il numero 10 dello Zenit ha giocato una partita ordinata, ma un po’ incolore, con due soli lampi: un filtrante che avrebbe mandato in porta Erokhin se il suo stop non fosse stato a metà tra il ridicolo e l’imbarazzante e uno sgambetto da terra che gli è costato il giallo nel recupero.
A dimostrazione di come l’adattamento ad una nuova realtà non è mai facile, Marchisio sembra ancora lontano dalla posizione che si è scelto, quella di leader tecnico di una squadra che vuole vincere in Russia e in Europa.
Come si dice in russo “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta?”
Ma se c’è una cosa che sappiamo è che l’Europa League aspetta tutti, soprattutto chi è in cerca di riscatto.
8 posti dell’universo in cui è finito Kololli dopo l’esultanza
Ieri Benjamin Kololli, svizzero di origini kosovare, ha segnato il rigore dell’1 a 0 dello Zurigo sull’AEK Larnaca e poi è andato ad esultare sotto il settore dei suoi tifosi. Durante l’esultanza è però precipitato in un Ponte Einsten-Rosen predisposto proprio sotto le tribune dello stadio di Larnaca. Nei trenta secondi in cui non sapevamo se Kololli era ancora vivo oppure no Dani Olmo, talento della Dinamo Zagabria, ha segnato un gol, ad esempio. Kololli aveva invece appena compiuto un viaggio dimensionale che ora proveremo a ricostruire. Ecco 5 luoghi in cui può essere finito Kololli, in un tempo che sappiamo essere diverso da quello che viviamo noi tutti:
A Lorien, fra la gente degli alberi, nel regno di Arda
Nel luogo mentale in cui finisce anche Tony Effe quando ascolta le sue Nike
Nella loggia nera
Nel multiverso in cui le sedie si siedono sopra esseri umani ordinando dei telefoni tramite delle pizze
Nel posto che Andreotti immagina nel futuro dei bambini (probabilmente nel mondo del video degli a-Ha Take on me)
Dentro il pianoforte di Antonello Venditti
Al Mont Saint-Jean di Dudelange
Sotto al riporto di Schifani
Fuoco dei miei lombi, mio peccato, anima mia. Ka-ba-nan-ga.
A Gennaio di quest’anno Junior Kabananga deve aver pensato che ne aveva abbastanza delle steppe kazake: dopo tre stagioni all’Astana, in cui ha collezionato 38 gol e 19 assist in 89 partite (che ne fanno il terzo miglior marcatore della storia del club della capitale caucasica) ha deciso di trasferirsi in Arabia Saudita, all’Al-Nasr, scegliendo la destinazione probabilmente in base al colore della maglia, perché ormai al giallo deve aver fatto una specie di abitudine scaramantica.
Dopo una manciata di partite, però, durante un tramonto scenografico sul deserto saudita in cui rifletteva su cosa gli mancasse di più dell’Europa, deve essergli venuto un soprassalto. E le parole Europa League, come Apriti Sesamo con l’accesso alla grotta dei Quaranta Ladroni, devono avergli scardinato il baule della nostalgia.
Allora è tornato, ha scelto deliberatamente di colpire questa traversa (e non segnare) contro la Dinamo Zagabria nel preliminare di Champions League con l’unico e neppure troppo velato intento di farsi eliminare dalla competizione più imbolsita d’Europa, ha dissimulato delusione ma dentro di sé neppure ve lo potete immaginare quanto fosse contento: l’Astana, e Kabananga, erano finalmente, nuovamente, in Europa League.
Contro la Dynamo Kiyv non ha segnato, ok, però ha appoggiato sulla testa di Marin Anicic un pallone facile facile da trasformare nel gol del momentaneo 1-1. A noi kabanangers è bastato.
Perché se cercate la bellezza di Junior Kabananga, oltre che nelle fucilate da fuori area e nelle corse a campo aperto, dovreste andarla a scovare nella maniera in cui rincorre (al minuto 1.14 del video) un pallone schizzato a latere dell’area, col suo passo dinoccolato, nella grazia in cui l’amministra col sinistro e temporeggia, prima di accarezzare la sfera con la suola una volta (il 94 della Dinamo si gira di spalle), una seconda (il 94 non ci casca più, ma è come mesmerizzato), nella pausa leggera che precede la parabola arcuata.
Quando il pallone si infila, Kedziora (proprio il nome di uno che ti aspetti scelga come numero il suo anno di nascita) ha un riflesso istintivo, e alza le braccia al cielo. Il gesto di giubilo che adottiamo noi kabanangers ogni volta che Junior fa qualcosa di sublime col pallone, d’altronde.
Si fa presto a dire Rafael-quello-brasiliano
Agli interisti distratti che stavano seguendo l’Europa League di spalle è bastato un secondo per farsi passare l’hangover da godimento: come sarebbe a dire che per lo Sporting Lisbona ha segnato Rafinha??? Ma non poteva tornare a Milano, doveva andare a sbattere nella capitale indiscussa del bacalao?
Tranquilli, amici tiphosi dell’Inter: si legge Rafinha, ma si scrive Raphinha. E non indossa la maglia numero 12, ma la numero 21.
Una specie di copia tarocca ma fatta bene, come quella delle maglie esotiche che comprate su internet e la settimana dopo il badge dell’Europa League comincia a scucirsi dalla manica.
Giocatore più Europa League
Nuova stagione, vecchia spiegazione: chi è un giocatore “Europa League”? Un giocatore su cui a un certo punto qualcuno ha creduto molto, ma che poi, per qualche motivo, è caduto in disgrazia, ritrovandosi alla periferia del calcio a districarsi fra le nebbie di una partita d’Europa League. Quindi, i giocatori Europa League sono un grande manifesto di come possono cambiare velocemente i destini di un essere umano.
Adem Ljajic
Quanto ci abbiamo creduto: 10
Quanto è stato realmente forte: 7?
Quanto è caduto in disgrazia: 7
Quanto sembra depresso: 0
Cresciuto calcisticamente nel Partizan di Belgrado, Ljajic provò a far sbocciare il suo promettente talento a Firenze. Se magari voi lo ricordate per i capelli lunghi e gli sprazzi di classe tra dribbling e destri a giro, il suo nome è universalmente legato ai viola per una rissa con l’allenatore Delio Rossi durante una partita con il Novara.
Cambiata aria, tutti pensavamo che a Roma - questa volta sì - Ljajic potesse far sbocciare il suo talento. Qui gioca 74 partite, segna 15 gol, mostrando anche dei buoni momenti di calcio. La sua indole prende però il sopravvento: i tifosi vedono in lui la personificazione del talento balcanico irritante e svogliato e la sua esperienza a Roma è più turbolenta che altro. Il terzo capitolo - la terza città in cui sbocciare - è Milano, sponda Inter, dove finisce per fare le stesse identiche cose.
Quarta tappa, come una via Crucis del giocare benino ma essere inconcludente, è Torino, dove passa 2 anni così e così prima di scomparire in estate e ricomparire ieri sera, durante Besiktas - Sarpsborg 08.
Contro la compagine norvegese, Ljajic ha giocato una buona partita, anche un assist per lui, ma soprattutto - prima del previsto - ha sposato la causa dei giocatori Europa League, assicurandoci una grande stagione di metafore sull’insensatezza della vita.