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Dario Pergolizzi
L'Italia cambia gli interpreti ma non l'identità
21 giu 2021
21 giu 2021
Mancini ha cambiato quasi tutta la squadra, ma gli azzurri hanno superato senza grandi sforzi anche il Galles.
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Dario Pergolizzi
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Italia-Galles si è giocata in un clima inusuale per una partita della Nazionale in un torneo maggiore. Era la terza gara di un girone dominato, a qualificazione matematicamente certa, e senza nemmeno prospettive sicure sugli accoppiamenti agli ottavi. Per Mancini è stata un’ottima occasione per dare minuti a quasi tutti i giocatori convocati: alla fine della gara, infatti, è rimasto solo Meret a non aver collezionato una presenza. Al di là delle possibili riflessioni sulle dinamiche di gruppo, insondabili dall’esterno, può essere interessante confrontare le differenze di interpretazione tra l’Italia “titolare” che abbiamo visto nelle prime due partite e quella che, per la verità senza nemmeno faticare troppo, ha superato il Galles per 1-0.

 



La squadra di Robert Page si è presentata nella sua forma più classica, dopo il 4-1-4-1 delle prime partite che aveva portato alla vittoria per 2-0 contro la Turchia e al pari per 1-1 all’esordio contro la Svizzera. Con la qualificazione in tasca, Page ha preferito rinunciare a Ben Davies, uno dei giocatori più esperti e determinanti, a causa della sua diffida, e si è affidato a una difesa a tre davanti a Ward, con Rodon a destra, Ampadu centrale e Gunter a sinistra. I due esterni larghi erano Williams a sinistra e Roberts a destra, e i mediani Allen e Morrell. Il fluido trio avanzato, invece, era composto da Daniel James, Aaron Ramsey e Gareth Bale. Sin dai primi momenti di gioco è stato chiaro il tema dominante: un Galles stabile ad altezza medio-bassa senza palla, con il tridente offensivo molto stretto e i due mediani negli spazi intermedi arretrati, cercava di limitare le verticalizzazioni centrali dell’Italia, spingendola sull’esterno. I due esterni Williams e Roberts partivano molto bassi, per poi alzarsi in pressione quando la palla giungeva agli esterni dell’Italia.

 


Gli assetti iniziali ben definiti in questo fotogramma.


 

La strategia difensiva di Page mirava a tagliare fuori le combinazioni di catena degli azzurri portando dei raddoppi proprio in queste circostanze, facendo scivolare aggressivamente i due mediani verso la fascia e ripiegare le punte per limitare gli scambi tra terzino, interno e ala di Mancini. Il piano B era l’abbassamento di Ramsey e James ai fianchi dei mediani quando l’avversario riusciva a prendere campo.

 


I due mediani continuano a giocare stretti ma vengono affiancati da James e Ramsey. Questa disposizione, unita alla possibilità di far scalare in avanti i braccetti sulla trequarti, serve a limitare ulteriormente le soluzioni tra le linee all’avversario.


 

Una strategia comprensibile: sebbene l’Italia abbia mostrato una certa versatilità nella ricerca di soluzioni per risalire il campo, l’utilizzo dell’ampiezza sia come strumento per fissare l’avversario, sia come appoggio sicuro da entrambi i lati rimane una risorsa meno pericolosa rispetto alle tante ricezioni tra le linee che gli azzurri sono capaci di trovare e sfruttare. D’altro canto,

nel loro percorso di avvicinamento agli Europei ci ha mostrato una squadra particolarmente incline a sfruttare queste situazioni di circolazione laterale per riconquistare il possesso.

 

Col pallone il Galles aveva davvero poche soluzioni: la mossa più creativa da segnalare è l’avanzamento di Ampadu, difensore centrale, sulla rimessa dal fondo, per portare all’indietro Belotti lasciando alti entrambi i mediani, forse più per avere uomini in più sulle potenziali seconde palle che per trovare trame elaborate tra le linee. Se il pressing e la riaggressione dell’Italia hanno funzionato abbastanza bene sin dall’inizio, grazie anche alle poche soluzioni del Galles, la Nazionale ha avuto qualche difficoltà in più rispetto al solito nella creazione di occasioni pulite.

 

In effetti, per buona parte della partita (finché si è giocato in parità numerica), non è sembrata la solita, fluida Italia: pur dominando tranquillamente il possesso e concedendo pochissimo, la sensazione era quella di una squadra un po’ più rigida, con alcuni singoli inizialmente tagliati fuori (soprattutto Emerson, Chiesa e Pessina). La struttura di base dell’Italia non è cambiata molto: Toloi ha avuto la funzione tipica di Di Lorenzo o Florenzi, cioè quella di posizionarsi al fianco destro di Bonucci dando ampiezza in una primissima fase di costruzione per poi stringersi quando il baricentro si alzava. Sul lato opposto, Palmieri doveva spingersi in avanti per combinare con Verratti e (inizialmente) Chiesa, che avrebbe dovuto stringersi e portarsi più vicino a Belotti, mentre Bernardeschi aveva il compito di coordinarsi con Pessina e Toloi per occupare in maniera razionale sia la fascia che l’half-space di destra. Qualcosa però non tornava, nei primi minuti: il Galles, pur mantenendo un baricentro sostanzialmente rinunciatario, si è dimostrato reattivo e capace di modificare le uscite in pressione in base alla situazione.

 

È stato frequente addirittura vedere Bale abbassarsi per coprire l’uscita di Morrell, o Ramsey quella di Allen. Pur mantenendo, generalmente, una disposizione 2+3 sulle prime due linee di pressing, l’occupazione delle posizioni era dunque fluida.

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Bale parte in prima linea ma, data la sua posizione defilata, tocca a lui coprire la scalata in avanti di Morrell, così come James sul lato opposto.


 

Questa capacità di scambiarsi coperture e marcature ha reso un po’ più problematica la circolazione iniziale dell’Italia, che difatti si è trovata più volte a defluire verso l’esterno senza troppa incisività.

 



Questa partita ci ha mostrato ancora una volta quanto sia effimero il concetto di identità riguardo al sistema di gioco, o meglio, in controluce ci ha dimostrato che cambiando molti interpreti di un gruppo (figuriamoci ben 8), anche armonico e funzionante come quello dell’Italia, si ha un’interpretazione sostanzialmente diversa.

 

Le ragioni sono tante: su tutte, il tempo di gioco insieme, requisito fondamentale per la creazione di un’intelligenza collettiva, un’intesa consapevole e inconscia di tutte le parti in gioco; e inevitabilmente le caratteristiche individuali. Chiesa, per esempio, può essere un perfetto esterno da “piedi sulla fascia”, uno che prende l’iniziativa in maniera proattiva con il pallone tra i piedi e che, quando serve, attacca l’area e la porta con i tempi giusti, ma rispetto a Berardi si è trovato meno a suo agio nei momenti in cui ha dovuto stringersi, fraseggiare. L’esterno del Sassuolo nelle prime due partite ha avuto diverse funzioni, pur partendo sempre dalla stessa zolla: contro la Turchia inizialmente si è stretto molto, creando dinamiche di relazione produttive con Immobile e Insigne e favorendo le sovrapposizioni di Florenzi sull’esterno, mentre nel secondo tempo è rimasto più isolato sulla fascia, sfruttando l’accentramento di Barella che faceva da smistatore intermedio di cambi di gioco e occupava il terzino turco, consentendogli di ricevere con più spazio. Un atteggiamento simile Berardi lo ha avuto anche contro la Svizzera, altra partita in cui è rimasto più aperto.

 

Chiesa e Bernardeschi, scelti da Mancini al posto di Insigne e Berardi, si sono scambiati la posizione diverse volte nel corso della partita: all’inizio, Chiesa partiva a sinistra e Bernardeschi a destra, ma non c’era l’armonia a cui eravamo abituati con il terzino sinistro e l’interno destro: Emerson non trovava il tempo giusto per portarsi in avanti, e in ogni caso si trovava a dover affrontare un quinto avversario molto basso; dall’altro lato, Pessina ha iniziato la partita in maniera abbastanza macchinosa, non leggendo rapidamente le opportunità di smarcamento in avanti. Sarebbe curioso capire il perché Mancini abbia deciso di utilizzare Chiesa, che tipicamente fa molto bene partendo in una posizione molto aperta, dal lato del terzino “di spinta”, e Bernardeschi a piede invertito dal lato del terzino “bloccato”.

 

Probabilmente, alla base c’era uno studio più minuzioso che teneva anche conto delle caratteristiche avversarie, ma sono bastati appena undici minuti per invertire le posizioni in maniera stabile.

 


Pochi istanti dopo lo scambio di posizione, subito un’occasione nata da un dribbling di Chiesa sulla fascia destra, che arriva poi al cross.


 

L’Italia ha gradualmente alzato l’altezza media dei possessi arrivando spesso a rifinire attraverso cross, grazie alla nuova posizione di Chiesa e, di conseguenza, dando a Pessina qualche sicurezza in più per invadere l’area, mentre Toloi e Bastoni riuscivano a portarsi più frequentemente fino alla trequarti, con il secondo che ha potuto a sua volta mettere qualche traversone interessante.

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Altri due segnali di un funzionamento più scorrevole dell’attacco dell’Italia. Chiesa che attacca il lato debole e Pessina che arriva più puntualmente in area su palla laterale.


 

Una delle chiavi principali per il predominio territoriale dell’Italia è stata la partita di Marco Verratti, al rientro dopo l’infortunio, nella posizione precedentemente occupata da Locatelli, cioè quella di centrocampista sul lato sinistro del campo, tipicamente più vicino a Jorginho rispetto all’interno opposto, molto coinvolto nelle risalite palleggiate e riferimento anche diretto dei difensori. Anche dopo una lunga assenza, Verratti ha mostrato tutta la sua influenza e capacità di prendersi grosse responsabilità. Se in linea di massima, come abbiamo detto, il centrocampista di sinistra nell’Italia di Mancini è una figura di grande associatività, e se in questa descrizione molto larga possono rientrare sia Locatelli che Verratti, le differenze tra i due sono sostanziali anche nello stile. Qui sotto, quattro delle sue giocate ad alto valore aggiunto.

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Locatelli ha giocato due partite mostrando un ventaglio di possibilità: con compiti di supporto all’impostazione contro la Turchia, in cui è rimasto per di più defilato al fianco sinistro di Chiellini per consentire l’avanzamento di Spinazzola, e con compiti di attacco allo spazio e occupazione della trequarti contro la Svizzera, partita in cui ha dovuto fare i conti con una marcatura abbastanza stretta. L’interpretazione di Verratti, generalmente, è diversa da entrambe queste possibilità: il centrocampista del PSG ha una raffinatezza nella protezione del pallone e una capacità di muoversi nello stretto tali che è naturale immaginarlo più al centro del campo possibile, in mezzo al traffico, dove può creare opportunità sia saltando la pressione, sia verticalizzando all’improvviso, sia smistando rapidamente grazie alla sua grande consapevolezza spaziale. Verratti è stato uno dei motivi per cui è valsa la pena guardare Italia-Galles, anche se i ritmi bassi e l’espulsione di Ampadu avranno certamente contribuito a rendere più morbido il suo rientro.

 

Questa Nazionale di sicuro non ci fa mancare gli spunti, oltre ai risultati: la profondità della rosa dà a Mancini soluzioni differenti per interpretazioni peculiari all’interno di una sovrastruttura definita, ma non stringente. Oltre alle differenze già trattate, è possibile passare da Chiellini a Bastoni trovando un’altra fonte di gioco e rifinitura, da Immobile a Belotti guadagnando qualcosa sull’aggressività senza palla e alla partecipazione difensiva, da Berardi a Chiesa forse perdendo qualcosa sulle soluzioni interne ma trovando più possibilità sulle corse in profondità e sull’occupazione dell’area.

 

Nonostante la struttura contro il Galles fosse sostanzialmente la stessa a quella a cui l'Italia di Mancini ci ha abituati in questi anni - cioè: con un “terzino” bloccato a destra e uno di spinta a sinistra, con l’interno destro a muoversi in funzione dell’esterno di parte per buttarsi dentro o dare supporto largo, con quello sinistro più “palleggiatore” nel corridoio intermedio e una punta capace di attaccare la profondità e a muoversi “con” la squadra - in realtà ieri abbiamo visto una squadra molto diversa. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato cambia eccome, ma questo non significa che non sia possibile rimanere coerenti.

 

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