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Ayan Meer
L'estasi dell'India ai Mondiali di cricket
17 nov 2023
17 nov 2023
La Nazionale asiatica ha dominato i Mondiali di casa in un contesto iper politicizzato.
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Ayan Meer
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IMAGO / Shutterstock
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Da poco più di un mese, gli appassionati di cricket hanno gli occhi fissi sull’India, dove si sta tenendo il Mondiale, che si concluderà domenica ad Ahmedabad con la finale tra la Nazionale organizzatrice e l’Australia. La partita si giocherà nello stadio più grande del mondo, il Narendra Modi Stadium. Ha una capienza da 132.000 posti, porta il nome dell'attuale primo ministro indiano, ed è stato inaugurato proprio da Narendra Modi nel 2020 insieme a Donald Trump.

Solo questo credo renda interessante questa finale, che tra l'altro arriva dopo un torneo dominato in maniera schiacciante dalla Nazionale indiana. Un Mondiale che quindi ha amplificato, se mai ce ne fosse bisogno, le pulsioni nazionaliste che in India sono sempre più forti, rappresentando i cambiamenti profondi del Paese aldilà del cricket. Per capire perché, però, bisogna fare un passo indietro e procedere con cautela.

"Un gioco indiano scoperto per caso dagli inglesi"

Il cricket è permeato da questa profonda contraddizione: è il secondo sport più seguito al mondo ma allo stesso tempo è praticamente invisibile fuori dai Paesi che lo praticano e lo seguono, che sono soprattutto quelli dell’ex-impero coloniale britannico. Al Mondiale si qualificano dieci squadre, che si affrontano tutte una volta in un girone unico. Le prime quattro in classifica si qualificano in semifinale. In generale il cricket si gioca in due versioni: o partite che durano cinque giorni - il cosiddetto formato Test - o partite di poco più di due ore - il Twenty20. Il Mondiale però fa eccezione e si è quasi sempre giocato nel format One Day International (ODI), con 50 over per ogni squadra (dove un over vale sei lanci della pallina). In questo tempo limitato, con partite che durano una giornata intera, la squadra che lancia deve provare ad eliminare il più presto possibile dieci battitori o limitare il numero di run segnati. Quando i ruoli si invertono, ovviamente, lo scopo diventa segnare più run dell’avversario, che a sua volta ha a disposizione 50 over, ovvero 300 lanci.

La prima edizione dei Mondiali di cricket si tenne nel 1975. Le prime tre edizioni vennero disputate in Inghilterra, che mantenne l'onorata tradizione di perdere immediatamente il dominio sugli sport che aveva inventato. La Nazionale inglese venne battuta due volte dalle Indie Occidentali (la Nazionale, esistente praticamente solo nel cricket, che riunisce le isole dei Caraibi) e poi dall’India nel 1983. Tenutosi in altri continenti negli ultimi quarant’anni, il Mondiale è stato soprattutto dominato dall’Australia, che ne ha vinti cinque degli ultimi nove e tre di fila dal 1999 al 2007, con il Pakistan, lo Sri Lanka e l’India come principali avversari (un'edizione vinta a testa dopo il 1983). L’Inghilterra ha finalmente trionfato nel 2019, in una finale assurda contro la Nuova Zelanda finita con un rarissimo pareggio, e decisa da un super over supplementare finito anche quello con un pareggio.

Con la penetrazione dell’economia di mercato nel sud est asiatico a partire dagli anni ’80, il centro economico e culturale del cricket mondiale si è spostato, spinto anche dalle diaspore del subcontinente indiano in Occidente ed in Medio Oriente. Il carattere indispensabile dell’India fu sancito nel 2008 con la creazione dell’Indian Premier League (IPL), un campionato pensato per la televisione e formato con il modello delle franchigie, vetrina di capitalisti indiani che cercano nel cricket la propria affermazione personale. Anche il cricket, come quasi tutti gli sport moderni, ha i suoi problemi con la giustizia: l’ideatore dell’IPL, il magnate Lalit Modi (nessuna relazione con il primo ministro), è ora latitante in Inghilterra per alcune accuse di corruzione e riciclaggio di denaro.

Se i puristi si lamentano dello snaturamento del gioco promosso dall’IPL, il suo successo culturale e commerciale non è messo in dubbio. I diritti televisivi ed i vari sponsor hanno portato all’apice internazionale la BCCI, la federazione indiana di cricket, e l’hanno trasformata in potenza assoluta ed indiscussa del cricket mondiale. Con quasi un miliardo di dollari di entrate annuali, più del triplo del suo corrispettivo inglese, la BCCI è uno strumento politico molto importante del governo indiano e del suo partito, il Bharatiya Janata Party (BJP). Non per caso il segretario generale della federazione è il trentenne Jay Shah, figlio dell’onnipotente ministro dell’interno Amit Shah, mentre il presidente dell’IPL è il fratello del ministro dello sport e dell’informazione.

Cricket e nazionalismo induista

In India, però, l'utilizzo a scopi politici del cricket va molto oltre alla semplice spartizione delle sue cariche. Per esempio è usato dal governo come strumento diplomatico nell'eterna rivalità (tutt'altro che sportiva) con il Pakistan, ma anche dai partiti, che cercano di strumentalizzare le stelle della Nazionale indiana. Va notato inoltre che mancano circa sei mesi alle elezioni legislative nazionali, e da questo punto di vista non è neutro che la partita inaugurale e la finale del Mondiale si tengano ad Ahmedabad, la città da cui proviene il primo ministro ed il cui stadio ne porta il nome. Dall’arrivo al potere di Modi nel 2014, l’India è entrata in una nuova era, fatta di culto della personalità e concentrazione di potere nelle mani del suo partito. Modi ha cercato di indebolire le opposizioni e di ridurre le libertà civili, soprattutto delle minoranze etniche e religiose, con lo scopo di portare avanti il progetto nazionalista del Bharatiya Janata Party.

Il nazionalismo induista si fonda sul concetto di hindutva, ovvero l’“induità” che dovrebbe caratterizzare la nazione indiana, l’esatto opposto del pluralismo religioso che pose le radici della repubblica indiana dopo l’indipendenza. Questo neologismo venne coniato nel 1922 da VD Savarkar, un estimatore di Adolf Hitler, e portò un paio di anni dopo alla creazione del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), un’organizzazione politica e paramilitare che conta al giorno d’oggi più di cinque milioni di membri, facendone il più grande gruppo di estrema destra al mondo. Lo stesso assassino di Mahatma Gandhi nel 1948 fu eseguito da un membro del RSS (Nathuram Godse), che gli rimproverava di non difendere a sufficienza gli indù permettendo alla minoranza musulmana di sviluppare quelle velleità politiche che poi tra le altre cose portarono alla nascita del Pakistan. Ispiratosi alle organizzazioni fasciste europee del primo dopoguerra, il RSS lotta da sempre per l’istituzione di una nazione induista fondata su un ordine induista mitologico, al quale le altre minoranze religiose si dovrebbero piegare. Il partito politico affiliato al RSS è per l'appunto il già citato BJP, e le classi dirigenti dei due gruppi sono strettamente legate, tanto che Modi stesso è membro del RSS da quando aveva otto anni.

Lo sciovinismo religioso dell’India odierna si è rivelato in modo palese durante la partita del Mondiale contro il Pakistan il 14 ottobre scorso, stravinta poi dall’India. L’ultima volta che le due squadre si erano affrontate durante un Mondiale in India, nel 2011, erano stati emessi più di seimila visti ai tifosi del Pakistan per permettergli di vedere la partita dal vivo. Questa volta, invece, nessun visto è stato emesso. Se in passato sfottò e tensioni agonistiche hanno sempre accompagnato queste partite, questa volta inni al nazionalismo induista sono stati diffusi direttamente nello stadio. Uno di questi, Jai Shri Ram (“Gloria al Dio Rama”), nella sua versione remix techno, esortava “tutti i figli dell’India” a cantare Jai Shri Ram “in ogni casa”. Questa frase, poi gridata dai tifosi ai battitori del Pakistan quando tornavano in tribuna dopo la loro eliminazione, è diventato attraverso il Paese il grido di battaglia dei nazionalisti induisti contro i musulmani, più che un mantra religioso.

Un servizio di quest’anno sulle canzoni e gli slogan dell’islamofobia in India.

La partita contro il Pakistan veniva in più giocata ad Ahmedabad, capitale di uno degli stati più conservatori in India, dove le relazioni tra indù e musulmani sono storicamente difficili, dove sono avvenuti gravi pogrom contro le popolazioni musulmane nel 2002.

L’islamofobia, sempre più sdoganata nell’India del BJP, può anche essere puntata contro gli stessi giocatori della Nazionale. Nel 2021, dopo una brutta prestazione del lanciatore Mohammed Shami contro il Pakistan, il giocatore ha iniziato a ricevere insulti sui social, che lo definivano traditore per via della sua fede musulmana. Esponendosi politicamente, l’allora capitano della nazionale Virat Kohli aveva dovuto difenderlo pubblicamente davanti ai giornalisti: «Non capisco come si possa discriminare qualcuno per via della sua religione, è una cosa sacra ed intima che si dovrebbe lasciare stare. Non ho voglia di perdere neanche un minuto a commentare i messaggi di odio di persone che non hanno idea della passione di Mohammed Shami e della sua storia con questa squadra».

Ironia della sorte: Shami è emerso in questo Mondiale come il giocatore più importante della squadra, alla testa di un gruppo di lanciatori che hanno tormentato i battitori avversari. Non solo Shami ha battuto il record di battitori eliminati da un lanciatore indiano ai Mondiali, ma è stato anche quello ad aver raggiunto questo traguardo in meno tempo, con 50 eliminazioni in 17 partite. Nella semifinale contro la Nuova Zelanda, che aveva eliminato l’India quattro anni fa, Shami è diventato il primo lanciatore indiano ad eliminare 7 battitori (su 10) in una partita dei Mondiali.

Pressione e predestinazione

Al di là delle tensioni religiose che si riflettono in questo Mondiale, il cricket è anche il solo sport internazionale nel quale l’India eccelle e produce i migliori giocatori al mondo. Forse era inevitabile che diventasse una vetrina per le ambizioni internazionali di Modi. Come ripete spesso nei suoi discorsi, il primo ministro persegue l’idea dell’India come Vishwaguru, ovvero “insegnante del mondo”, uno spirito che si rivela a metà strada tra la saggezza ascetica e la volontà di potenza. Questi due binari portano a iniziative solo apparentemente lontane. Da una parte per esempio l’istituzione nel 2015 della Giornata Internazionale dello Yoga, come strumento per estendere il "soft power spirituale" dell’India. Dall’altra, il gigantismo di eventi globali come il Mondiale di cricket o le riunioni del G20, un buon esempio della potenza simbolica che l’India vuole proiettare all'estero, forte della sua rinvigorita alleanza con gli Stati Uniti e il resto del blocco occidentale per contrastare la Cina.

Prima della sua ascesa al potere, uno dei rivali di Modi lo etichettò come un “bravo organizzatore di eventi". Era di fatto un insulto mascherato, ma il primo ministro indiano ne ha fatto invece un motivo di orgoglio, utilizzando proprio i grandi eventi per governare con una spettacolarizzazione continua, aiutato da un paesaggio mediatico quasi interamente agli ordini. Mentre gli indicatori economici e sociali peggiorano anno dopo anno, Modi continua a godere di un grande sostegno nel paese, ed è il favorito per vincere per la terza volta le elezioni che si terranno in primavera l’anno prossimo. L’inaugurazione di infrastrutture e l’organizzazione di grandi eventi danno l’idea agli indiani che il loro Paese è entrato in una nuova dimensione e che è ora sia rispettato da tutto il mondo (cosa che ha un suo fondo di verità).

Modi canta l’inno indiano in campo con la Nazionale di cricket, per la prima partita giocata nello stadio più grande del mondo, che porta il suo nome.

Questi risvolti geopolitici hanno creato delle aspettative enormi per una vittoria casalinga di questo Mondiale di cricket, e questo rende ancora più clamoroso il fatto che l'India sia riuscita ad andare oltre le attese. Tutte le partite che ha giocato finora sono state dominate, in certi casi in modo sproporzionato. Se la vittoria finale domenica non è scontata, contro un’Australia abituata a queste partite, gli indiani aspettano con trepidazione l’incoronazione di una generazione d'oro per il cricket indiano. I giocatori con più esperienza, che hanno vissuto tante disillusioni con la maglia azzurra della Nazionale, stanno giocando con grande serenità, sorprendente vista la pressione che devono sopportare in tutto il Paese.

Rohit Sharma, il capitano e allenatore in campo della squadra ha azzeccato tutte le scelte fino ad ora, emanando grandissima tranquillità come opener, cioè il primo battitore ad entrare in campo. In realtà lui e gli altri battitori sono stati soprattutto aiutati da un gruppo di lanciatori che stanno facendo un Mondiale eccezionale: abbiamo già citato Mohammed Shami, ma bisognerebbe fare anche i nomi di Jasprit Bumrah e Mohammed Siraj. Questi tre fast bowlers, cioè dei lanciatori veloci, sono affiancati dallo spin bowler veterano Ravindra Jadeja, probabilmente al suo ultimo Mondiale. Un uomo che riesce a imprimere questo tipo di effetto alla pallina, per intenderci.

Che finisca con un trionfo o con un tonfo, di tutti i giocatori indiani quello che si prenderà i titoli sarà comunque Virat “King” Kohli, il miglior giocatore del mondo al momento e uno dei migliori di sempre. Dal 2021 ha lasciato la fascia di capitano per concentrarsi sul campo, dato che nel cricket il capitano è praticamente anche un allenatore, avendo un ruolo centrale di selezione e di gestione dello spogliatoio. Anche se poco conosciuto da coloro che non seguono il cricket, Kohli è il terzo atleta al mondo più seguito su Instagram, dopo soltanto Cristiano Ronaldo e Messi. Questa fama se l’è costruita dalla sua prima selezione nel 2008, quando già era stato segnato con un’aura da predestinato, pronto a ereditare il ruolo di trascinatore della Nazionale da un altro geniale battitore indiano, Sachin Tendulkar. Nella semifinale contro la Nuova Zelanda, Kohli ha battuto il record di Tendulkar, segnando il suo cinquantesimo century, cioè partite con più di 100 run segnati. Un record assurdo, che in pochi pensavano potesse essere battuto, tra l'altro raggiunto con 170 partite d'anticipo rispetto al suo predecessore.

Nel 2012 un tifoso indiano aveva predetto su Facebook che Kohli avrebbe battuto il record di centuries di Tendulkar, aggiornando nei commenti ogni volta che ne segnava uno. Poi cinque anni fa il tifoso è morto, ma i suoi amici hanno continuato ad aggiornare nei commenti, fino alla realizzazione della profezia nella semifinale di questo Mondiale.

La serenità dei giocatori indiani, che sembrano soltanto divertirsi sul campo, come se fossero riusciti ad alienarsi dalle milioni di voci che li circondano, contrasta in maniera spettacolare con tutto ciò che rimane a fatica fuori dallo stadio. La passione di una tifoseria mai così sopra le righe, ma anche l’esaltazione nazionalista promossa dal governo, che presenta questo evento come una vetrina dell’India che verrà.

Domenica, nella città del primo ministro indiano, nello stadio più grande del mondo, intitolato all’uomo politico che l’ha inaugurato con un comizio, la frontiera tra sport e politica sarà più sottile che mai. Un eventuale vittoria dell’India, che oggi sembra inevitabile, non sarebbe solo un trionfo dei giocatori della sua Nazionale.

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