
A metà maggio il ritmo a Tunisi comincia a rilassarsi. Le temperature si alzano ma non sono ancora insopportabili e ci si inizia ad organizzare per andare al mare. Anche qui la stagione calcistica sfuma nelle ultime partite di campionato e di coppa viste insieme nei caffè e nei bar.
Fin dalla mattina del 15, la città si è tinta di giallo e di rosso, puntellata da bandiere, sciarpe e magliette con lo stemma del “Taraji” — com’è più comunemente conosciuta l’Espérance Sportive de Tunis. Nel pomeriggio, allo stadio di Rades, a pochi chilometri dal centro, la squadra più titolata del Paese sarebbe stata impegnata nell’ultima partita di campionato contro la seconda in classifica, l’Union Sportive Monastirienne, squadra di Monastir, la città del primo presidente del Paese, Habib Bourguiba. Una partita che avrebbe potuto prendere i contorni dello psicodramma collettivo se non fosse stato che il campionato si era deciso un turno prima, grazie a un pareggio a sorpresa del Monastirienne in casa, che ha regalato il campionato all’Espérance (che nel frattempo vinceva con un sonoro 5-0 in trasferta).
È stata una piccola notizia, per una squadra che in Tunisia, come si dice, è condannata a vincere. Negli ultimi anni l’Espérance ha fatto incetta di titoli, grazie anche alle difficoltà economiche e sportive della sua rivale storica, il Club Africain (della rivalità tra queste due squadre abbiamo scritto qui). Dalle nubi di un campionato deciso sul rettilineo finale, si è passati alla festa: lo stadio, in un bellissimo pomeriggio assolato, si è riempito di bandiere giallorosse per celebrare il 34° scudetto e salutare la squadra prima della partenza per la Coppa del Mondo per Club. "Ci vediamo in America”, recitava un messaggio pieno di orgoglio e speranza, i sentimenti che più stanno accompagnando i tifosi dell’Espérance anche al Mondiale per Club.

La speranza, oltre a essere incastonata nell’origine stessa del nome (Taraji in arabo ed espérance in francese significano appunto “speranza”), è quella di andare avanti il più possibile in una competizione dove tutti i pronostici la danno per spacciata. L’orgoglio è quello dei tifosi, fieri di rappresentare fuori dal continente africano i colori di una squadra storica. La sconfitta per 2-0 contro il Flamengo nella partita d’esordio a Philadelphia sembrava aver di fatto già compromesso le poche possibilità di passaggio del turno, ma poi è arrivata la sorprendente vittoria contro il Los Angeles FC che ha rimesso in discussione le cose. Adesso l’Espérance se la giocherà con il Chelsea all’ultima giornata di un girone complicato. Certo, sarà difficile ma questo non ha scalfito la passione dei tifosi esperantisti, che già dall’esordio contro il Flamengo hanno dato vita a uno spettacolo sugli spalti in netta controtendenza rispetto a quanto visto nell’altra partita del girone, Chelsea contro Los Angeles FC, giocata in uno stadio mezzo vuoto ad Atlanta.
«Non lo dico perché sono esperantista, ma i nostri tifosi lasciano un segno ovunque vadano. Sarà straordinario», mi dice Riadh Jabberi, tifoso storico della squadra tunisina che ha accompagnato il “Taraji" nei trionfi più intensi e nelle sconfitte più dure. Originario di Boudria, quartiere popolare alle porte di Tunisi dove il senso di appartenenza e il desiderio di riscatto sociale legati al calcio si fanno ancora più forti, è un Virgilio ideale per chiunque voglia addentrarsi nei meandri della memoria ultras dell’Espérance. «Mi ricordo ancora la finale di Champions League del 2018 contro l’Al Ahly. Siamo andati in dodicimila al Cairo. Allo stadio hanno fatto entrare solo tremila persone e anche io sono rimasto fuori. Ora, per la Coppa del Mondo, ho amici negli Stati Uniti e so di tante persone disposte a indebitarsi pur di andare».

Non è un caso che il nuovo formato di questa competizione stia riscuotendo entusiasmo in particolare tra i tifosi delle squadre del “sud del mondo”, come si diceva una volta. Da giorni circolano decine di video che mostrano migliaia di tifosi non europei invadere Times Square a New York, inclusi quelli dell’Espérance. La Coppa del Mondo per Club rappresenta un’occasione rara per portare le istanze locali su un piano davvero internazionale. Al di là del risultato, ciò che conta è sedersi allo stesso tavolo dei grandi club europei e, possibilmente, restarci. «La passione per l’Espérance è cresciuta anche grazie alle amichevoli contro il PSG o il Milan», mi dice Jabberi, parlando delle partite organizzate con queste due squadre alla fine degli anni ‘90 «Per me era un sogno vedere dal vivo George Weah e quel sogno me l’ha regalato l’Espérance».
Tra le tante amichevoli internazionali, ce n’è stata una anche contro la Roma nel giugno 1996. Una partita dall’alto valore simbolico per gli ultras esperantisti che, legati anche dagli stessi colori sociali, vedono nella Curva Sud dell’Olimpico una fonte di ispirazione storica per cori e slogan (anche in italiano). Allo stadio di Rades, il settore a loro riservato si chiama proprio Curva Sud e non è raro trovare sciarpe e magliette della Roma e di Francesco Totti. Un giovane Totti che, in quella partita, si era anche lamentato bonariamente di «un arbitraggio troppo casalingo».

Oggi quelle amichevoli estive di trent’anni fa si sono trasformate in partite con un peso reale, soprattutto economico. Certo, nei bilanci delle squadre europee ha ancora un peso relativo e forse è anche in questo modo che si può leggere lo scetticismo nei confronti di questa competizione nel “Vecchio Continente”. David James, ex portiere tra le altre di Liverpool e Manchester City, per esempio ha dichiarato: «Se fossi il City, dichiarerei tutta la prima squadra infortunata e manderei i giovani. Questo torneo è una barzelletta». Un’opinione condivisa anche da Tony Scholes, direttore della Premier League: «Perché dovremmo modificare il nostro calendario per una competizione imposta dalla FIFA a cui non crediamo?».
Per una squadra come l’Espérance, però, la sola partecipazione rappresenta un’opportunità economica senza precedenti. Il bilancio 2023 della squadra tunisina si è chiuso a 50 milioni di dinari (circa 15 milioni di euro). Questo significa che, anche senza vincere una sola partita, la sola presenza (che frutta all’Espérance circa 8,8 milioni di euro) vale più della metà del fatturato. Risorse fondamentali per coprire perdite strutturali e rilanciare le ambizioni di un club che in patria e in Africa conosce solo un imperativo: vincere.
Le ambizioni dell’Espérance si sentono in maniera viscerale allo stadio di Rades dopo una sconfitta inattesa o nei bar del centro come il Garibaldi, ritrovo storico per i tifosi dell’Espérance e delle altre squadre tunisine. Il bar prende il nome proprio dalla via dove si trova, intitolata a Giuseppe Garibaldi, il quale trovò rifugio in Tunisia nel 1834 come ricorda una targa nella Medina. Qui, due settimane dopo l’ultima giornata di campionato, decine di tifosi hanno sfidato il primo vero caldo di giugno per vedere la finale della Coppa di Tunisia, pochi giorni prima della partenza per Detroit, sede del ritiro americano. Tra una birra e l’altra e sessanta minuti di tensione dopo per una partita ferma sullo 0-0, un tiro dalla distanza del nigeriano Onuche Ogbelu ha colto impreparato il portiere dello Stade Tunisien, regalando all’Espérance un trofeo che mancava da quasi dieci anni. Uno scherzo per chi è abituato a dominare. «Per me la stagione inizia dai quarti di finale della Champions League», scherza un tifoso.
«Sono cresciuto tra la fine degli anni ’90 e l’inizio dei 2000. Ho cominciato a tifare Espérance perché non perdeva mai», mi dice Adem Chedly, originario di Mourouj, altro quartiere popolare a sud di Tunisi. «Abbiamo vinto dieci derby di fila contro il Club Africain». Una passione nata quasi per convenienza, che lo ha portato a vedere la squadra trionfare due volte consecutive nella Champions League africana - nel 2018 e soprattutto nel 2019, anno del centenario - e soffrire nella finale persa nel 2024 contro l’Al Ahly, ma che ha garantito comunque all’Espérance l’accesso alla Coppa del Mondo. Una passione che vale per Adem e per altre centinaia di migliaia di tifosi almeno tre notti insonni e partite viste nei caffè rimasti aperti per l’occasione.
L’Espérance però non è solo sinonimo di vittorie. Per chi è cresciuto durante la dittatura di Ben Ali (che ha retto il Paese dal 1987 al 2011), tifare “Taraji" significava sentirsi parte di qualcosa di più grande. Lo racconta anche Jabberi: «Ho 43 anni e ho cominciato ad andare allo stadio molto presto con mio padre. La prima volta fu per vedere la Nazionale ma non mi sentii coinvolto. Forse noi giovani di allora avevamo un problema di appartenenza: non ricevevamo nulla dallo Stato». Questo vuoto è stato colmato dal “Taraji” che ha portato a momenti ricchi di significato.
Un esempio è la partita dell’8 aprile 2010 contro l’Hammam Lif allo stadio de El Menzah, a Tunisi, quando i tifosi sfidarono apertamente la polizia aprendo le prime crepe all’interno del regime di Ben Ali - crepe che poi portarono alla rivoluzione del 2011. «Quel giorno ero là ed è stata un’esperienza indimenticabile. La resistenza a quel tempo, oltre a cantare canzoni un po’ provocatorie contro il sistema, era di salire sulle balaustre dello stadio e spezzare il cordone di sicurezza dei poliziotti. Poco a poco siamo riusciti a ribaltare le cariche e a invertire i rapporti di forza. È stato come ribellarsi direttamente allo Stato».

Nonostante i rivali vedano l’Espérance come il club del potere, complici i tanti successi e le voci secondo cui Ben Ali fosse un tifoso accanito, le sue origini affondano in uno dei quartieri più popolari della Medina: Bab Souika. Il nome stesso viene da un caffè nella piazza centrale, dove ancora oggi molti giovani si ritrovano per passare il tempo in un Paese segnato da una durissima crisi economica e un lavoro che si fa molta fatica a trovare.
La sede storica è ancora lì, anche se soffre il passare del tempo. Oggi però i campi di allenamento della prima squadra, delle giovanili e delle sezioni di pallamano e pallavolo (l’Espérance è una polisportiva) si trovano in pieno centro, in una grande area verde alle spalle della tangenziale che porta allo stadio di Rades. Un radicamento quotidiano che alimenta un legame profondo con la tifoseria. Poco importa se dalla Coppa del Mondo si tornerà già dopo la fase a gironi o se giocatori simbolo come l’algerino Youcef Belaïli o il brasiliano Yan Sasse cambieranno maglia il prossimo anno.
Quello che resta a Tunisi è la storia di un club che ha segnato un’epoca e che ora si gode un palcoscenico ancora più grande. Per festeggiare l’occasione, contro il Flamengo, l’Espérance ha scelto di giocare con una maglia bianca e verde, i colori originari del club prima che negli anni ’20 lo studente Chedly Zouiten, poi storico presidente, offrisse delle casacche giallorosse.
La storia per l’Espérance è importante, così come lo è l’attaccamento dei tifosi. Lo è ancora di più in un Paese in cui le restrizioni della polizia sono molte e gli stadi sono fatiscenti, tra logiche di sicurezza e controllo sociale. Nonostante tutto questo, però, quello che conta è una cosa sola, ed è riassunta da uno striscione apparso contro il Monastirienne a pochi minuti dalla fine: «A casa da noi è sempre fiesta». Anche negli Stati Uniti.