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Marco D'Ottavi
Che cos'è l'umiliazione nel calcio?
03 ott 2023
03 ott 2023
Una domanda che nasce dal gesto di Soteldo in Santos-Vasco da Gama.
(di)
Marco D'Ottavi
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Che cos’è l’umiliazione nel calcio? Esiste un limite che non dovrebbe essere superato oppure, rimanendo all’interno del regolamento, è tutto concesso, anzi dovuto, visto che alla fine parliamo di intrattenimento? È una questione che - qui e lì - torna nei discorsi dell’opinione pubblica, visto che tutti hanno un’opinione sul calcio (anche io, ovviamente). Di solito le posizioni, pro e contro, sono legate a questioni, come dire, universali. Prendiamo l’esempio più banale: è giusto che una squadra continui a infierire su un avversario inferiore segnando quanti più gol possibili o sarebbe più corretto - più sportivo - fermarsi? Le risposte sono opposte e inconciliabili: da una parte c’è chi dice che è insito nello sport una necessità di onorare lo sport stesso (e l’avversario) continuando a dare il massimo fino alla fine; dall’altra parte c’è chi dice che, invece, è insito nello sport un carattere cavalleresco per cui una volta assicurata la vittoria è giusto fermarsi per non umiliare troppo l’avversario. Se ne sto scrivendo è perché domenica sera, in Brasile, è capitato uno di quegli episodi che aggiungono interessanti sfumature morali a questo discorso. Al decimo del secondo tempo della partita Santos-Vasco da Gama, sul risultato di 3 a 1 per il Santos, Yeferson Soteldo ha fatto questa cosa qui.

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Un po’ di contesto: Santos-Vasco da Gama è un derby molto sentito (ma quale non lo è?) e quello di domenica era particolarmente importante, considerando che le due squadre convivono appaiate al limite della zona retrocessione, a meno di due mesi dalla fine del Brasileirao, cioè il campionato brasiliano. Prima di questo gesto - chiamiamolo così - il Santos si era guadagnato un calcio d’angolo al termine di una di quelle azioni che sembrano uscire da un sogno, in cui gli avversari sono il toro che insegue un inafferrabile panno rosso. Soteldo, che di questa azione è stato il direttore d’orchestra, aveva anche ricevuto, dopo l’ultimo scarico, un colpo in ritardo da un avversario.

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Si arriva quindi al successivo calcio d’angolo con due squadre dallo stato d’animo opposto: una galvanizzata dall’attimo di estasi (e dal risultato), l’altra frustrata dall’impotenza (e dal risultato), a cui si aggiunge appunto il caso specifico di Soteldo, esaltato dalle sue giocate e anche, immagino, infastidito dal colpo ricevuto. Quando riceve il pallone allora, dopo un attimo di riflessione, decide di salirci sopra con tutti e due i piedi. Lì per lì non succede nulla, se non il boato del pubblico amico, si giocava in casa del Santos, ma quando il pallone torna tra i piedi di Soteldo pochi secondi dopo, dal centro dell’area arriva come una furia Sebastian Ferreira che prova a colpirlo con un calcione (lo manca) per poi buttarlo giù con una presa stile karate.

Il fallo del giocatore del Vasco Da Gama, avvenuto vicino alla panchina del Santos, scatena una lunga rissa fatta di spinte, manate e persone che provano a spiegarsi. Dopo aver, a fatica, riportato l’ordine in campo, l’arbitro espelle tre calciatori (due del Santos e uno del Vasco da Gama, che accidentalmente è Gary Medel), mentre Sebastian Ferreira e Soteldo vengono ammoniti. Perché il giocatore del Santos è stato ammonito? All’interno della rissa Soteldo non ha nessun tipo di reazione. Si prende tutti gli insulti, le accuse e qualche spinta con estrema tranquillità, come se nulla lo riguardasse. È possibile che Soteldo sia stato ammonito per essere salito sul pallone? Che l’arbitro abbia sentito il bisogno di punire il suo gesto allo stesso modo della reazione violenta di Sebastian Ferreira? È la spiegazione più probabile e, in un certo senso, anche la più umana: quello che fa Soteldo infatti è perfettamente legale da un punto di vista regolamentare, ma attraversa una zona grigia, quasi nera, per quanto riguarda quello sportivo. Salire sopra il pallone va anche oltre quelli che possono essere considerati, comunemente, i gesti irriverenti del calcio - quelli che in inglese vengono definiti showboat, un termine che un tempo stava a indicare i battelli che avevano anche un teatro e che oggi potremmo tradurre con “dare spettacolo” (e che nel calcio però viene usato con una sfumatura di giocate spettacolari ma tendenzialmente fini a loro stesse, fatte appunto solo per lo spettacolo). Soteldo infatti non sta cercando di dribblare un avversario in maniera barocca, ma salendoci sopra sta sottomettendo il pallone, in maniera letterale, e gli avversari, in maniera simbolica. Il suo è un gesto così umiliante (prima avevo usato il termine "violento", che secondo me è anche più corretto, ma rischia di essere frainteso) che non può rimanere impunito dentro al campo - e la reazione di Sebastian Ferreira sta lì a dimostrarlo - ma neanche fuori dal campo. E non solo nel giudizio dell'arbitro, che infatti lo ammonisce, ma anche in quello universale del pubblico. Ne sono una dimostrazione le risposte al video dell’utente @SelecaoTalk che chiede su Twitter se il gesto di Soteldo “fosse irrispettoso o totalmente corretto”. Molte di queste non condannano Soteldo, ma è come se lo facessero: totalmente corretto, ma aspettati il fallaccio dopo; non è un gesto che richiede abilità, e va bene farlo, ma dopo aspettati l’entrata dura; Non vedo nulla di sbagliato in entrambi. Per ogni azione c'è una reazione e così via.È un pensiero di pancia, lo stesso che ho avuto io, ma è un pensiero sbagliato. È un’espressione del machismo più o meno latente che c’è nello sport e che nel calcio è significativamente più presente che altrove. Chiunque sia passato per uno spogliatoio può pensarla così, gli è stato insegnato a pensarla così, perché esistono dei codici d’onore da rispettare, e non mi stupirei se, dopo la partita, qualcuno tra i suoi compagni fosse andato da Soteldo a fargli notare che quella cosa lì non la doveva fare. Tuttavia in questo tipo di ragionamento c’è un vizio di forma iniziale, che è - con tutte le dovute differenze del caso - lo stesso di chi dice che «se indossi la minigonna poi aspettati il malintenzionato». Soteldo ha fatto qualcosa di sbagliato? No, eppure è molto difficile accettarlo (ripeto, io per primo ci vedo qualcosa di sbagliato e devo sforzarmi per dire il contrario) perché crediamo che nello sport esistano delle contingenze più profonde di altre che applichiamo alla vita di tutti i giorni. Il giornalista brasiliano Mauro Cezar Pereira, ad esempio, ha scritto che «se vuoi farti bello dovresti farlo mentre la tua squadra sta perdendo, fratello mio, o pareggiando. Quando vinci è facile», come se esistesse un tariffario dei trick che si possono fare in campo. È un altro modo di provare a trovare le colpe di Soteldo: fallo quando “conta”, fallo contro il Real Madrid (sempre parole di Pereira), fallo “da uomo”, perché sono gli uomini a giocare a calcio. Pereira poi cita Neymar, il riferimento ideale quando si parla di questo tipo di giocate diciamo sopra le righe (pur non essendo mai arrivato a salire sul pallone), ricordando come venne ripreso da Puyol, il suo capitano, simbolo di un calcio senza macchia, dopo un paio di dribbling troppo elaborati nei minuti finali di una partita con l'Athletic (ma non ho trovato conferma di questa cosa).

Qui si equiparano i dribbling di Neymar (anche lui scuola Santos) a quello che ha fatto Soteldo.

Il gesto di Sotaldo allora può sembrare una distorsione del joga bonito brasiliano (anche perché è successo in Brasile) dove - idealmente - l’equilibrio tra intrattenimento e rispetto dell’avversario è sempre perfettamente bilanciato e in cui è lo spirito stesso del gioco a diventare spettacolo (e soprattutto è fatto da calciatori che consideriamo prima di tutto uomini). È l’accusa che si fa spesso ai calciatori con uno spiccato senso per la giocata a effetto nel calcio di oggi - i Neymar, appunto, o gli Antony - che avrebbero perso di vista questa sfumatura cavalleresca dei trick per diventare solo dei troll. In realtà questo confine che divide ciò che è sportivo da ciò che è antisportivo esiste da sempre, cioè dalla stessa nascita degli sport moderni per come li conosciamo oggi, e il motivo credo risieda nel fatto che siano stati concepiti dall'aristocrazia, e in particolare dall'aristocrazia britannica. Il calcio, per dire, nasce a metà del diciannovesimo secolo come strumento di repressione sessuale nei college inglesi che avevano il ruolo di istruire la futura classe dirigente dell'impero britannico. Da questo punto di vista, non stupisce che il calcio, e lo sport moderno tutto, cerchi ancora oggi di preservare quell’etica cavalleresca, cioè l'idea che persino in guerra ci siano delle regole da seguire per essere considerati nobili, che affascinava l'aristocrazia, e che era considerata uno dei motivi della sua superiorità rispetto alle altre classi (e che poteva forse avere un senso quando l'aristocrazia era effettivamente l'unica classe ad occuparsi attivamente della guerra, non certo a metà dell'Ottocento). Da questa idea nasce anche il concetto di fair play, che forse non casualmente è ancora piuttosto forte negli sport più legati alle proprie radici inglesi (e aristocratiche), come per esempio il rugby o ancora di più il golf, che addirittura si vanta di non aver nemmeno bisogno dell'arbitro per quanto leali, ovvero sportivi, sono i suoi giocatori. È significativo che stiamo riparlando di questo argomento dopo un episodio accaduto in Brasile, forse il Paese che più ha contribuito alla trasformazione popolare del calcio (cioè alla sua diffusione nelle classi sociali al di sotto dell'aristocrazia, e anche della borghesia, se è per questo), ma lo è ancora di più il fatto che l’origine di questa idea di salire sopra il pallone arrivi dal calcio scozzese, con tutta la sua storia d'opposizione al calcio inglese. Il primo a farlo, addirittura sedendosi sopra il pallone, è stato infatti Willie Johnston in una partita del 1972 contro il Bayern Monaco (anche se c’è chi giura che lo aveva già fatto in una partita del 1970). Johnston verrà imitato qualche mese dopo da Tommy Murray, altro scozzese degli Heart of Midlothian, proprio in una partita contro i Rangers. Murray dal nulla si era seduto sul pallone e poi aveva dato via all’azione del gol che decise la partita (anni dopo racconterà che la sua era stata una vendetta per quanto fatto da Johnston - che evidentemente lo usava come signature move - la stagione precedente durante una larga vittoria dei Rangers contro gli Hearts).

Dopo questa partita, però, il comitato degli arbitri scozzesi deciderà che da quel momento in poi sedersi sulla palla sarebbe stato da considerarsi condotta “poco elegante” (ungentlemanly in inglese) e quindi punibile con un cartellino giallo, affossando una possibile nuova tendenza tattica (sedersi sul pallone è un modo estremo di attirare il pressing? E non potrebbe tornare utile nel calcio di oggi dove si studiano modi sempre più elaborati per ingannare gli avversari?). Senza voler fare un’improbabile ricostruzione storica del fenomeno, bisogna tornare al calcio scozzese anche per assistere al primo - o almeno al più famoso - caso di calciatore che sale sopra il pallone. L’autore è Andrei Kanchelskis, in una partita di coppa scozzese di inizio 2000 contro l’Ayr United. Per quanto surreale, anche in questo caso, un gesto di sottomissione del pallone dà il via a un’azione che termina con un gol.

Kanchelskis spiegherà il suo gesto come la necessità di “cercare” in area di rigore il suo compagno non proprio altissimo Billy Dodds (e quindi il suo mettersi la mano sopra la testa non è da intendere come saluto militare, ma come il bisogno di vedere oltre l’orizzonte).

Solo dopo la partita - racconterà lo stesso - Kanchelskis «la gente ha iniziato a parlarne. E lo fanno ancora adesso. L’ho fatto senza pensarci, lo facevo in allenamento perché è un buon esercizio per la coordinazione». In campo, infatti, il gesto era passato inosservato, senza cioè reazioni da parte degli avversari o dell’arbitro, anche perché la partita era finita 7 a 0 per i Rangers. L’unico ad arrabbiarsi sarà allora l’allenatore del russo, Dick Advocaat: «Dopo la partita non mi diede una pacca sulle spalle, anzi era molto arrabbiato, ma i miei compagni l’avevano adorato». Anni dopo l’altro allenatore, Dalziel, quello del povero Ayr United, dirà che anche lui si era arrabbiato moltissimo, ma non con Kanchelskis, quando piuttosto col suo terzino John Robertson: «l’ho appiccicato al muro dello spogliatoio e gli ho chiesto perché non aveva spedito Kanchelskis in tribuna», aggiungendo che «Lo avrei rispettato di più se lo avesse picchiato». Eppure nelle sue parole non manca una certa fascinazione verso il gesto del giocatore dei Rangers: «Una parte di me voleva applaudirlo [...] e non penso che fosse irrispettoso. A quel punto erano così a loro agio che [Kanchelskis] voleva solo trovare un modo per intrattenere il pubblico». Alla fine si ritorna sempre lì: c’è un confine nell’intrattenimento? Oppure, forse, il punto è piuttosto un altro: il calcio è davvero intrattenimento? Ovviamente la questione è molto più ampia del singolo gesto di Soteldo, ma il fatto che secondo la maggior parte delle persone il suo gesto sia "anti-sportivo" prefigura l'esistenza di un carattere opposto - chiamiamolo "sportivo" - che non risponde alle regole dell'intrattenimento ma a qualcosa di più profondo e morale. Lo sa anche il giocatore del Santos, che - ancora prima che la partita riprendesse - ci ha tenuto a scusarsi con i giocatori del Vasco da Gama, accorgendosi per primo di aver infranto una regola che non esiste. Se lo stesso Soteldo pensa di aver superato questo limite è difficile allora sostenere il contrario o, ancora più difficile, sostenere che non esiste un limite tra cosa è umiliante e cosa non lo è. Il calcio, come sempre, continua a autoregolarsi, a esistere in uno spazio estetico - quello dell'intrattenimento - e in uno etico, e a fiorire in questo continuo contrasto.

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